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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del II fascicolo 1998


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

I Punti di Vista di Boccardi, Sibilla e Postacchini

Un nuovo Punto di Vista
Scoliosi idiopatica: screening e storia naturale in termini di dolore e disabilità
Riduzione della massa ossea: possibile ruolo eziopatogenetico nella scoliosi idiopatica, esercizi per prevenirla e trattarla nell’anziano ed esercizi per prevenire la caduta ed il conseguente rischio di frattura
Verifica di efficacia di diversi protocolli di esercizi per i pazienti lombalgici cronici e trattamento della lombalgia in gravidanza
I meccanismi all’origine del dolore vertebrale
Metodiche diagnostiche e terapeutiche per l’ernia del disco lombare a confronto tra loro e con la storia naturale della patologia
Le "Pagine Verdi"
Indice



Un nuovo Punto di Vista

Siamo così giunti al secondo appuntamento del 1998. Anche questo fascicolo di presenta con un arricchimento importante: possiamo oggi infatti vantare tra i nostri collaboratori, impegnati a produrre dei Punti di Vista (PdV) in esclusiva per il nostro gruppo su articoli di particolare interesse, insieme al Prof. Boccardi ed al Dott. Sibilla, un altro illustre studioso del rachide: il Prof. Postacchini, cattedratico di Ortopedia presso l’Università La Sapienza di Roma, Presidente della “International Society for the Study of the Lumbar Spine” (la società più importante degli studiosi del rachide lombare, quella per intenderci che promuove i premi Volvo ogni anno) e già Presidente in passato della “European Spine Society” e della Sezione Europea della “Cervical Spine Researh Society”. Accanto quindi ad un Fisiatra e ad un Medico Ortopedico grande esperto di scoliosi abbiamo ora anche un Chirurgo Ortopedico di chiara fama, da sempre impegnato nel settore del trattamento cruento del rachide. Questa collaborazione ci è poi particolarmente gradita anche perché il Prof. Postacchini sta organizzando a Roma per il novembre di quest’anno un Congresso sulla “Patologia Discale Lombare” che si preannuncia particolarmente interessante e di cui i Soci sono già a conoscenza. Sperando che questi arricchimenti possano risultare sempre più graditi, passiamo agli articoli di questo fascicolo.



Scoliosi idiopatica: screening e storia naturale in termini di dolore e disabilità

I lavori sulla misurazione del paziente scoliotico con lo Scoliometro oramai si moltiplicano sempre di più. Samuelsson ci propone infatti alcuni dati sul confronto tra questa misura di superficie ed il Gold Standard di riferimento, ossia i gradi Cobb radiografici. Vale la pena sottolineare che anche qui, come in altri lavori in letteratura, i valori suggeriti per lo screening variano da 5° a 7° di inclinazione del tronco in flessione anteriore (test di Adams); attenzione però che questi possono andare bene se si considera solo un trattamento ortesico (qui si parla infatti di non perdere curve di 25°-30° Cobb) mentre per una indicazione cinesiterapica 3° ci paiono sicuramente più corretti.

Cordover ci presenta un lavoro interessante sulla storia naturale dei dolori vertebrali nella patologia scoliotica lombare e dorso-lombare. Vengono infatti rivalutati un gruppo di pazienti ad oltre 20 anni di distanza constatando come non ci siano differenze importanti rispetto a soggetti sani. Questo studio ha una serie di limiti metodologici ed un grosso limite concettuale: tra i primi va segnalata la selezione dei due gruppi controllati, la non completa descrizione del campione di pazienti scoliotici in termini di trattamenti effettuati nel passato ed attualmente (corsetti, cinesiterapia ?), la mancanza di un confronto con un possibile terzo gruppo di estremo interesse costituito da pazienti sottoposti ad artrodesi; per quanto riguarda il secondo, non viene presa in considerazione la possibilità di una evolutività della scoliosi negli oltre 20 anni di follow-up, secondo un’altra limitazione mentale tipica della letteratura anglosassone, ben nota invece nel mondo medico “latino”: le scoliosi evolvono anche dopo la maturità scheletrica. Un’ultima parola sulla cinesiterapia: ci viene infatti da pensare che quanti l’abbiano fatta in passato o quanti la stiano facendo tuttora possano godere di migliori condizioni fisiche.



Riduzione della massa ossea: possibile ruolo eziopatogenetico nella scoliosi idiopatica, esercizi per prevenirla e trattarla nell’anziano ed esercizi per prevenire la caduta ed il conseguente rischio di frattura

Di estremo interesse lo studio di Cheng sul possibile ruolo dell’osteopenia nella genesi o nell’evolutività della scoliosi. Finora essa era stata considerata solo come una conseguenza ipotetica di un trattamento ortesico immobilizzante, ma non si era pensato che potesse giocare un ruolo di qualche tipo a livello eziopatogenetico. Consigliamo a tutti di leggere l’ultima frase di questo articolo che lo riassume con notevole efficacia. Utile sottolineare comunque come sia molto ben fatto anche nella discussione: gli autori sono infatti ben consapevoli delle possibili trappole metodologiche legate alla misurazione della massa ossea e le descrivono accuratamente, oltre a confrontarsi con più misurazioni. Indubbiamente si aprono ancora altre prospettive sia per il trattamento che per la prognosi di questa patologia. Come è possibile infatti notare anche negli articoli successivi, dal momento che non è in realtà ancora completamente noto come frenare adeguatamente la riduzione della massa ossea in età post-menopausale ed anziana e dal momento che l’attività fisica in questi periodi della vita viene considerata più come un ulteriore supporto, un aiuto, ma non in realtà un vero fattore di incremento della mineralizzazione, una grande fetta della ricerca si è orientata a studiare i modi in cui le ossa crescono il loro contenuto calcico durante l’età evolutiva ed una forte corrente di pensiero sostiene l’importanza dell’attività fisica regolare proprio in questo periodo, date le sue indubbie potenzialità come fattore di incremento della massa ossea. Ora, se la massa ossea risulta ridotta nelle pazienti scoliotiche in giovane età, sia questo dovuto a fenomeni secondari al trattamento o, come in questo articolo si ipotizza, a caratteristiche proprie della patologia, allora si aprono ulteriori spazi per un ruolo sia della ginnastica medica che, soprattutto delle attività fisico-sportive. In questo senso potrà essere utile per i nostri soci rivedere la Monografia del 1993 sulla prevenzione dell’osteoporosi.

Swezey rivede in modo molto aggiornato, esaustivo, pur restando sintetico, un argomento di sicuro interesse: l’effetto sulla massa ossea dell’esercizio fisico (utili in questo senso anche le tabelle e le appendici). Rimane la conclusione che sembra oramai essere nel consenso generale di quanti si occupano oggi di questo argomento: l’attività fisica può avere un debole effetto di risparmio della massa ossea, che tende però ad essere perso non appena si cessa l’attività. Come citato nell’articolo, invece, l’attività fisica è determinante nell’acquisizione della massa ossea nella fase di accrescimento scheletrico, e questo è l’ennesimo motivo che dimostra l’irrinunciabilità dell’attività fisico-sportiva nei ragazzi. Le finalità primarie degli esercizi in caso di osteoporosi conclamata potranno allora essere: miglioramento della postura, in particolare evitando l’evoluzione in cifosi dorsale; la prevenzione delle cadute, migliorando l’equilibrio, la coordinazione ed il controllo neuromotorio; il trattamento del dolore, ove presente; la valorizzazione funzionale. Il mantenimento o lieve miglioramento della densità minerale ossea sarà un obiettivo solo secondario.

Ad un obiettivo primario del trattamento del paziente osteoporotico anziano (la prevenzione delle cadute) si rivolge il lavoro di Means, sicuramente molto bello ed interessante anche per le sue conseguenze operative. E’ questa infatti la strada più proficua per un programma di esercizi destinati agli anziani ma, come sottolineato anche nella discussione, la dimostrazione della sua efficacia deve certamente passare per numeri più elevati e follow-up più lunghi, in particolare se si tiene conto che l’incidenza della frattura di femore a 70 anni è di circa 1/100. Peraltro queste indicazioni saranno sicuramente preziose, anche in termini di protocollo di lavoro, per quanti sono impiegati in case di riposo o per coloro che fanno praticare attività ginnica a gruppi di pazienti anziani. Soprattutto per questi, infatti, è fondamentale sottolineare come una ginnastica esageratamente “dolce”, esclusivamente in scarico, venga a mancare almeno due obiettivi importanti: il miglioramento della capacità aerobica ed appunto la prevenzione delle fratture.



Verifica di efficacia di diversi protocolli di esercizi per i pazienti lombalgici cronici e trattamento della lombalgia in gravidanza

Il gruppo svedese di Östgaard, cui si deve il lavoro di Norén, è da anni impegnato nello studio e nel trattamento delle lombalgie in gravidanza. Questo contributo è molto interessante sia per le conseguenze operative, sia perché è stato possibile applicare quanto non si riesce spesso a fare nella lombalgia comune: suddividere i pazienti in gruppi diagnostici abbastanza precisi e, sulla base di questi, applicare trattamenti differenziati. Nella gravida, infatti, grazie alla relativa semplicità biomeccanica di origine, alla situazione “a termine” della condizione, che sicuramente finisce per ridurre le implicazioni psicologiche, e alla minor implicazione di problematiche lavorative, è stato possibile arrivare a formulare una classificazione diagnostica che, sia pure semplificata, dimostra con questo lavoro già una notevole efficacia, consentendo di avere conseguenze operative anche in corso di trattamento. Sicuramente, come viene sottolineato in conclusione dell’articolo, “un paziente ben informato sulle proprie condizioni potrebbe essere in grado di ritornare al lavoro persino con un dolore notevole, ma controllabile”; certamente questo è più facile proprio in gravidanza quando si presuppone che la causa scatenante il dolore possa scomparire ad un certo punto; altrettanto certamente però queste considerazioni “umanistiche”, poco “scientifiche” e “tecniche” sull’efficacia del trattamento del paziente lombalgico, non possono più essere trascurate, soprattutto dai medici, che molto possono fare per motivare il paziente al suo recupero o per inibirlo etichettandolo come “cronico” e “inguaribile”.

Il lavoro di Bentsen è magistralmente accompagnato dal PdV di Boccardi che ne coglie in pieno l’essenza. Si tratta di un lavoro scientificamente serio che dimostra in modo abbastanza inequivocabile come l’adesione agli esercizi sia in realtà un fattore cruciale per garantirne l’efficacia, al punto che la differenza tra i due protocolli valutati nel trattamento della lombalgia (domiciliare e presso un centro di fisioterapia) dipendeva fondamentalmente dalla motivazione iniziale e dalla supervisione. Di fatto, chi faceva gli esercizi aveva il medesimo risultato: il problema era solo che la compliance risultava maggiore nel trattamento ambulatoriale. Di conseguenza, quando si consiglia ad un paziente che termina un trattamento di effettuare regolarmente dell’attività fisica per prevenire possibili ricadute, diventa importante sottolineare la necessità di mantenere la continuità per poter raggiungere l’obiettivo. I motivi per cui più spesso i nostri pazienti non la osservano sono fondamentalmente la scelta di un’attività per loro poco piacevole (ecco perché, visto che non esiste in realtà lo “sport ideale”, è meglio consigliare quello che al paziente piace fare: così si garantisce maggiormente la continuità) e l’insorgenza di dolori nel primo periodo (spesso legati alla mancanza di allenamento o alla scarsa gradualità nella progressione dei carichi di lavoro). E’ interessante inoltre la considerazione di Boccardi circa le differenze culturali tra le donne svedesi e le italiane (a parte un possibile, del tutto recente, uniformarsi conseguente al maggior credito goduto oggi da noi dall’attività fisica), anche se probabilmente i meccanismi legati ad una personale predisposizione ed alla supervisione rimangono immutati. Da sottolineare infine, la conclusione del PdV che, nella sua sinteticità, coglie in pieno l’essenza del trattamento del paziente lombalgico.

Il lavoro di Rose chiude degnamente questa triade di contributi sulla verifica di efficacia nel trattamento riabilitativo del paziente lombalgico. Anche questo lavoro dimostra come il trattamento individuale non ottenga differenze statisticamente o clinicamente significative rispetto ad un trattamento di piccolo gruppo. In una stretta logica di costi benefici, la scelta diventa ovvia. In un periodo di costante contrazione della spesa sanitaria, queste indicazioni per il trattamento del paziente lombalgico diventano estremamente interessanti e possono aprire strade terapeutiche finora non esplorate adeguatamente. Un altro punto che merita di essere sottolineato in questo articolo è relativo all’approccio cognitivo-comportamentale utilizzato. Nel PdV di Polatin e Gatchel (da non perdere) si sottolinea questo aspetto e come noi riabilitatori “muscolo-scheletrici” facciamo fatica spesso ad ottenere i medesimi risultati. D’altra parte, è utile sottolineare che un riabilitatore è tale proprio quando riesce ad indicare al paziente la strada verso la riabilitazione, a fargli adottare quella che Basaglia ha giustamente definito la “logica del bicchiere mezzo pieno”: il trattamento della lombalgia non solo non fa eccezione, ma conferma in pieno la regola.



I meccanismi all’origine del dolore vertebrale

Le vie neurologiche percorse dallo stimolo dolorifico dal momento della nocicezione alla percezione all’eventuale riflesso di evitamento sono tra le più studiate in assoluto, sia a livello “topografico” che biochimico, ma risultano tuttora tra le più complesse e misteriose. Fa fede in questo senso l’articolo magistrale di Siddal, uno tra gli “Spine Update”, ossia editoriali di aggiornamento, pubblicati dalla rivista Spine con regolarità ed affidati ad esperi del settore. Questo articolo si rivela in realtà estremamente aggiornato ma, come l’argomento stesso richiede, anche molto complesso. Le conseguenze terapeutiche elencate in conclusione riguardano soprattutto il trattamento neurochirurgico di dolori cronici ribelli a qualunque altro tentativo terapeutico. Il lettore troverà qui una revisione completa utile soprattutto per conoscere la situazione attuale delle conoscenze in materia. Risulta evidente comunque che la sensazione del dolore è in realtà un processo diverso dal solo stimolo nocicettivo e questo si applica in pieno anche alla lombalgia. Dalla lesione infatti avrà origine uno stimolo primario con una sensibilizzazione sia periferica che midollare che inevitabilmente porterà a percepire come dolorosi stimoli che normalmente sarebbero sotto la soglia. Come è noto, poi, la presenza di inibitori e stimolatori centrali gioca anch’essa un ruolo determinante. Ecco allora che l’ipotesi del dolore lombare come un malfunzionamento generale del sistema colonna vertebrale, che ha origine dopo un insulto iniziale scatenante, potrebbe trovare un completamento in questo processo di sensibilizzazione periferica, midollare e centrale. Il trattamento della lombalgia risulterebbe così sempre più come un trattamento d’insieme, di sistema, sia fisico che ergonomico che psicologico: non dimentichiamo che trascurare di indicare al paziente a chiare lettere la strada verso la riabilitazione da sé dal proprio problema, porta spesso al fallimento del trattamento meglio riuscito. Nella maggior parte dei casi infatti risulta perfettamente inutile curare la lesione senza da un lato diminuire gli stimoli nocivi sovrapposti dalla vita quotidiana e dall’altro attivare i processi interni di recupero (siano essi fisici [muoversi è meglio che star fermi] o psicologici [non c’è nulla di grave nella sua schiena, deve solo osservare delle regole di vita]).



Metodiche diagnostiche e terapeutiche per l’ernia del disco lombare a confronto tra loro e con la storia naturale della patologia

Il lavoro dovuto a numerosi autori che sono tra i più noti scienziati impegnati da anni nello studio dell’ernia del disco lombare costituisce il Consenso Scientifico attuale sul suo trattamento. Tre di essi sono infatti autori dei contributi immediatamente successivi presenti in questo stesso Fascicolo. Questo studio, molto sintetico, merita lettura attenta e meditata: i suoi pregi principali stanno nella completezza, scientificità e ampiezza del quadro di riferimento che offre, consentendo a tutti di chiarirsi perché ci siano così tante incertezze e così tanti modi di pensare; il suo limite sta invece nell’aprire problemi (come è utile per il ricercatore) più che offrire soluzioni (come sarebbe utile per il clinico). In questo editoriale cerchiamo quindi di ripercorrerlo offrendo un commento pratico conclusivo che, sia pure nella sua limitatezza, possa consentire un taglio più operativo ai lettori. Diagnosi clinica: è fondamentale non trarre conclusioni sia diagnostiche che terapeutiche sulla base di un solo test positivo; vanno invece fatte delle ipotesi che devono necessariamente trovare conferma con altri test, siano essi anamnestici che derivanti dall’esame obiettivo; gli esami diagnostici sono inutili in prima battuta (salvo precise eccezioni). Test neurofisiologici: per la diagnosi di livello la clinica viene prima di tutto, mentre gli esami neurofisiologici sono utili per una diagnosi differenziale rispetto a patologie neuropatiche. Valutazione radiologica: tenuto conto di quanto sopra prospettato, cioè che essa va limitata a un secondo momento, quando già si pensa ad una possibile chirurgia, viene qui indicata una superiorità della Risonanza Magnetica, anche se vengono precisate in dettaglio una serie di modalità tecnico-applicative che non possono essere trascurate e che, anche se già applicate in molti centri, non sono attualmente patrimonio di tutti. Trattamento conservativo: è fondamentale fissarsi bene in mente la prima frase di questo paragrafo, peraltro già ben nota e spesso sottolineata, ma non ancora chiara a tutti i non Soci del GSS: “l’ernia del disco lombare ha una prognosi favorevole nella maggior parte dei casi”; in pratica, il trattamento conservativo, salvo eccezioni, è il presidio iniziale di scelta, ancor prima di procedere ad ulteriori indagini; un’altra frase è assolutamente scontata ma di estremo interesse per i riabilitatori, laddove viene detto: “in passato la maggior parte degli studi sull’ernia del disco lombare hanno riguardato l’intervento chirurgico, a causa della concezione erronea che l’ernia del disco lombare fosse una patologia chirurgica”. Trattamento chirurgico: è sufficientemente esplicativo (e da leggere) in particolare il Paragrafo “Azione”.

E' una revisione estremamente valida e completa quella di Herzog sulla valutazione radiologica dell’ernia discale. Le prime considerazioni puntualizzano come sia inutile procedere ad esami con TAC ed RM entro le prime 4-6 settimane di dolore, salvo casi molto particolari. Questa impostazione ci vede particolarmente consenzienti, perché francamente non si giustifica né la spesa economica né la spesa sanitaria (la dose di radiazioni per la TAC) necessaria se l’esame effettuato non cambia le decisioni terapeutiche (che non sono in ogni caso chirurgiche entro questo lasso di tempo). Il rischio di non individuare patologie compressive radicolari non erniarie è peraltro chiaramente superato da una buona anamnesi e da un buon esame obiettivo. Si procede quindi con una puntualizzazione, che può essere sin troppo fine per la pratica clinica quotidiana, circa le lacerazioni anulari, per arrivare ad una classificazione dei tipi di ernia del disco che, se non si discosta per nulla da concetti classici, ha però il grande merito di illustrarli e discuterli bene e completamente con dovizia di particolari. Questo paragrafo merita quindi di essere letto con attenzione, come del resto merita quello finale di questa prima parte dove viene descritto cosa si vede negli esami per poter diagnosticare un protrusione, oppure una espulsione, oppure ancora un sequestro di materiale discale. La seconda parte di questo lavoro ci attende nel prossimo fascicolo.

Molto interessante il lavoro di Saal: viene qui rivisto il trattamento conservativo e la storia naturale dell’ernia discale. Le considerazioni sono tutte aggiornate e basate sulla letteratura anche se vengono introdotte una serie di considerazioni pratiche, desunte dalla lunga esperienza clinica quotidiana “monotematica” su questo problema, che saranno di sicuro aiuto (e spesso anche conforto) per le decisioni che ognuno di noi è chiamato a prendere. In particolare, tutti coloro che si occupano di trattamento conservativo hanno avuto modo di osservare la risoluzione spontanea, spesso anche a breve termine, dei deficit neurologici. Benchè più raro, è comunque possibile osservare deficit neurologici anche gravi dieci giorni dopo un dolore acutissimo risolto in pochissimo tempo: in questo caso spesso la funzione recupera gradualmente sul lungo periodo. Un’altra osservazione clinica mi ha personalmente portato a cambiare idea sui tempi di recupero dal danno neurologico: mi è infatti capitato di osservare un paziente con uno steppage da deficit dell’ECD e dell’EPA cui avevo detto, dopo 18 mesi dall’inizio dei sintomi, che non avrebbe più recuperato e che è tornato da me 6 mesi dopo per dimostrarmi che avevo torto. Tutte queste evenienze ed altre ancora vengono qui considerate e descritte: una lettura quindi utile ed istruttiva.

Il contributo di McCulloch, degna conclusione di questa sessione monotematica del fascicolo, riguarda il trattamento cruento dell’ernia del disco lombare, con una chiara predilezione da parte dell’autore per la micro-chirurgia (anche se appare probabilmente vera e sensata l’affermazione secondo la quale entro qualche anno si considererà il microscopio semplicemente come uno strumento utile in più disponibile per il chirurgo). Il lavoro è diviso in una prima parte di estremo interesse per tutti, in quanto rivede il procedimento attraverso il quale si giunge alla scelta di operare il paziente, secondo una impostazione moderna, ed una seconda parte, più tecnica e relativa in particolare alla microdiscectomia, che può essere interessante come cultura generale mentre per i chirurghi che la utilizzano risulta estremamente ricca di spunti e di esperienza. Per quanto riguarda le indicazioni al trattamento, si tenga presente che questa è comunque l’ottica di un chirurgo, cioè di chi di per sé, a parità di condizioni cliniche, tende a prescrivere più facilmente un intervento, esattamente come il sottoscritto tende più facilmente a prescrivere un trattamento conservativo; detto questo, risulterà ancor più chiara l’enorme differenza esistente tra chi conosce a fondo la letteratura in materia ed i numerosi suoi colleghi che invece si possono incontrare nella nostra pratica quotidiana. Da non lasciarsi sfuggire e leggere con attenzione: gli 8 punti riassuntivi sulle evidenze circa il trattamento chirurgico della sciatalgia all’inizio dell’articolo; la Tabella 4, con i criteri aggiornati per poter porre la diagnosi clinica di ernia: ne devono essere presenti 3 su 4; le indicazioni forti, moderate e discutibili all’intervento. In particolare, su queste ultime, vale la pena di sottolineare come le indicazioni moderate siano in realtà un po’ più interventiste di quanto traspare dal resto dell’articolo e dipendono chiaramente dalle idee dell’autore: infatti non è detto che si debba operare una forte sciatalgia se non risponde dopo 2-3 giorni di riposo a letto senza miglioramento; inoltre, non ci sono dati sul fatto che l’intervento debba comunque essere fatto entro 3 mesi dall’inizio del dolore (noi lasceremmo la scelta al paziente, che di solito tra l’altro, nella nostra esperienza, sceglie per continuare il trattamento conservativo); qualche cautela in più sarebbe almeno auspicabile rispetto all’ernia del disco in un canale stenotico; infine, per quanto riguarda il deficit neurologico ricorrente, anche questo aspetto non è provato. Perfettamente condivisibili sono invece le indicazioni discutibili per un intervento: la logica del “via il dente, via il dolore” non funziona assolutamente per l’ernia del disco: questo deve essere spiegato bene ed a chiare lettere al paziente. Illuminante infine il PdV di un altro chirurgo con ottime competenze scientifiche come Postacchini, che avrebbe per altro potuto egli stesso essere autore di questo articolo. Postacchini sottolinea con equilibrio alcuni punti critici del lavoro e ci offre delle soluzioni e dei commenti estremamente interessanti e degni di nota. In particolare, condivide il nostro parere di allungare a 6-8 mesi i tempi per considerare comunque necessario l’intervento. Da leggere e soppesare.



Le "Pagine Verdi"

Continua il lavoro di Farrell che avevamo già presentato nel fascicolo scorso. In questo contributo vengono discussi i principi secondo i quali possono essere impostati gli esercizi dopo i test che erano stati elencati in precedenza. Questa parte può essere definita come estremamente ragionevole e molto ben calibrata, come raramente si osserva nella letteratura anglosassone dove si tende a preferire il rinforzo ed il recupero dell’articolarità ad un adeguato recupero anche delle potenzialità neurologiche del controllo del rachide. In questo senso quindi è utile leggere attentamente questo contributo. Completamente condivisibile appare poi il concetto di stabilizzazione del rachide intesa in senso dinamico e non statico, come spesso erroneamente si tende a fare. In questo senso viene condotta una vera e propria rieducazione posturale, dove per postura non si intende un meccanismo di tiranti (siano essi di singoli muscoli o di catene muscolari o di fasce) quanto piuttosto, nella corretta e più moderna accezione del termine, un insieme osteo-muscolo-articolare finemente controllato a livello neurologico. Interessante poi il paragrafo sull’allenamento cinestesico dove, in conclusione, si offre una definizione di fatica muscolare che da un punto di vista pratico è estremamente valida: la fatica compare quando il paziente è costretto a cambiare la posizione del corpo durante un movimento. In questo senso ci ricorda quanto comunemente riferito da chi si occupa di scoliosi a proposito dell’autocorrezione, che è quel movimento spia che ci riferisce quando un esercizio è troppo intenso per il paziente che lo effettua, in quanto è obbligato a perdere l’autocorrezione. Queste analogie probabilmente non sono casuali.

Molto bello e con grosse implicazioni pratiche il lavoro di Axler, che mette a confronto una serie di esercizi per gli addominali per valutare quali possano essere più o meno pericolosi. Gli esercizi confrontati sono 12 e la conclusione è estremamente interessante e logica: non esiste l’esercizio ideale, esattamente come non esiste l’esercizio in grado di reclutare tutti i muscoli addominali contemporaneamente. Se si ricerca un allenamento di tutta la muscolatura, allora sarà necessario usare più esercizi. Se questi vengono eseguiti a scopo terapeutico o di allenamento, allora sarà meglio adattare il tipo di esercizio effettuato alle necessità del paziente/atleta. Lo schema tridimensionale finale che illustra tre direttrici entro le quali è possibili orientarsi a seconda delle esigenze (la direttrice sul rapporto sforzo muscolare/affaticamento del rachide; quella sull’affaticamento del rachide e quella sul tipo di addominali da rinforzare) potrebbe essere affissa in palestra assieme allo schema esemplificativo degli esercizi per servire come Linee Guida nella scelta di quelli più adeguati alle singole esigenze.

Il fascicolo si conclude con due contributi pratici molto interessanti dedicati a problemi particolari. Il primo di Watkins è utile più come eserciziario che per la teoria. Come viene infatti sottolineato nell’introduzione, sin dai tempi degli antichi Romani e delle terme, l’idroterapia, anche in termini di idrocinesiterapia, è stata praticata in Italia. In questo lavoro si considera una realtà come quella statunitense dove le piscine sono relativamente diffuse e si consigliano degli esercizi da fare a domicilio: nella nostra realtà, invece, l’idrocinesiterapia viene praticata solo in Centri particolari, sotto la guida di terapisti appositamente addestrati e con costi molto elevati. Proprio questo è il principale limite di questa forma terapeutica, per altro estremamente efficace sia a scopo antalgico che di vera e propria rieducazione. Le basi teoriche di questa riabilitazione si trovano nella estraneità, nell’anormalità dell’ambiente acquatico, nella vera e propria rivoluzione sensoriale che provoca, con uno scardinamento di schemi motori consolidati in seguito alle variazioni somatoestesiche, propriocettive e barocettive. In questi elementi si trovano i massimi pregi dell’ambiente acquatico, che superano di gran lunga il concetto di “eliminare dalla forza di gravità” o di “proteggere dai gradi estremi di movimento”, così spesso invocati in ortopedia in generale ed anche in questo articolo in particolare: certamente anche questi elementi sono presenti, ma la nuova motricità che può scaturire da questo ambiente è sicuramente più interessante per la rieducazione nelle patologie vertebrali dell’adulto.

Anche il ciclismo, riferito nel lavoro di Burke come in forte espansione negli Stati Uniti, è uno sport dalla notevole tradizione in Italia, dove conta un gran numero di appassionati, veri e propri amatori, spesso impegnati a compiere migliaia di chilometri all’anno. Tra questi i disturbi alla schiena ed al collo non sono certamente rari ed il problema clinico è abbastanza sentito. Come sempre conta molto l’ergonomia, in questo caso la posizione in sella, insieme ad una adeguata preparazione fisica. Questo articolo offre una serie di consigli pratici, derivati spesso più dalla quotidiana esperienza di chi fa ciclismo agonistico più che da accurati studi scientifici. Ovviamente non si vuole negare qui il valore dell’esperienza, spesso estremamente importante, ma si intende solo sottolineare l’importanza di compiere studi precisi anche in questo settore, di punta nella nostra attività sportiva nazionale.

Buona lettura e, per quanti non si fossero ancora collegati al nostro Sito, vi ricordiamo l’indirizzo (http://www.gss.it) con l’unico scopo di potervi anche augurare buona navigazione.

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del II fascicolo 1998

  1. Rotazione del tronco nella scoliosi. L'influenza del tipo e della direzione della curva in 150 bambini. Estratto da: Samuelsson L, Noren L: Trunk rotation in scoliosis. The influence of curve type and direction in 150 children. Acta Orthop Scand 1997; 68(3):273-76.

  2. La storia naturale della scoliosi idiopatica adolescente toracolombare e lombare in età adulta Estratto da: AM Cordover, RR Betz, DH Clements, SJ Bosacco. Natural History of Adolescent Thoracolumbar and Lumbar Idiopathic Scoliosis into Adulthood. Journal of Spinal Disorders 1997: 10(3); 193-6.

  3. Osteopenia nella scoliosi idiopatica dell'adolescente. Un problema primario o secondario alla deformità spinale? Estratto da: Cheng JCY, Guo X Osteopenia in Adolescent Idiopathic Scoliosis. A Primary Problem or Secondary to the Spinal Deformity? Spine 1997: 22(15); 1716-21.

  4. Valutazione degli esercizi per osteoporosi Estratto da: Swezey RL. Spine Update. Exercise for Osteoporosis-Is Walking Enough? The Case For Site Specificity and Resistive Exercise. Spine 1997: 21(23); 2809-13.

  5. Riabilitazione dell’anziano che cade: studio pilota di un programma di esercizi di intensità da bassa a moderata Estratto da: Means KM, Rodell DE, O’Sullivan PS, Cranford LA. Rehabilitation of Elderly Fallers: Pilot Study of a Low to Moderate Intensity Exercise Porgram. Arch Phys Med Rehabil 1996: 77; 1030-37.

  6. Riduzione delle assenze per malattia causate da lombalgia e da dolore pelvico posteriore in gravidanza Estratto da: L Norén, S Östgaard, TF Nielsen, HC Östgaard. Reduction of Sick Leave for Lumbar Back and Posteriori Pelvic Pain in Pregnancy. Spine 1997: 22(18); 2157-60.

  7. Efficacia di esercizi di rafforzamento dinamici eseguiti in un centro e di un allenamento a domicilio in donne con lombalgia cronica Estratto da: Bentsen H, Lindgärde F, Manthorpe R. The Effect of Dynamic Strength Back Exercise and/or a Home Training Program in 57-year-old Women With Chronic Low Back Pain. Results of a Prospective Randomized Study With a 3-Year Follow-Up Period. Spine 1997: 22(13); 1494-500.

  8. Programmi di riabilitazione per la lombalgia cronica: studio sulla durata ottimale del trattamento e confronto fra terapia di gruppo e terapia individuale Estratto da: Rose MJ, Reilly JP, Pennie B, Bowen-Jones K, Stanley IM, Slade PD. Chronic Low Back Pain Rehabilitation Programs. A Study of the Optimum Duration of Treatment and a Comparison of Group and Individual Therapy. Spine 1997: 22(19); 2246-53

  9. Meccanismi del dolore spinale Estratto da: Siddall PJ, Cousins MJ. Spine Update. Spinal Pain Mechanisms. Spine 1997: 22(1); 98-104.

  10. Consenso attuale sul trattamento dell'ernia del disco lombare Estratto da: Andersson GBJ, Brown MD, Dvorak J, Herzog RJ, Kambin P, Malter A, McCulloch JA, Saal JA, Spratt KF, Weinstein JN. Consensus Summary on the Diagnosis and Treatment of Lumbar Disc Herniation. Spine 1996: 21(24S): 75-8.

  11. La valutazione radiologica di un’ernia del disco lombare (Ia Parte) Estratto da: Herzog RJ. The Radiologic Assessment for a Lumbar Disc Herniation. Spine 1996: 21(24S); 19-38.

  12. Storia naturale e trattamento conservativo dell'ernia del disco lombare Estratto da: Saal JA. Natural History and Nonoperative Treatment of Lumbar Disc Herniation. Spine 1996: 21(24S); 2-9.

  13. Macro e microdiscectomia per ernia del disco lombare Estratto da: McCulloch JA. Focus Issue on Lumbar Disc Herniation: Macro and Microdiscectomy. Spine 1996: 21(24S); 45-56.

  14. Tecnica 1- Esercizi terapeutici per il mal di schiena (IIa Parte) Estratto da: Farrell J, Drye C, Koury M. Therapeutic Exercise for Back Pain. In Physical Therapy of Low Back. (Twomey LT, Taylor JR eds), pp 379-410, Churchill Livingstone, New York.

  15. Tecnica 2 - Pressioni sul rachide lombare negli esercizi per gli addominali: ricerca del carico compressivo meno intenso - Estratto da: Axler CT, McGill SM. Low back loads over a variety of abdominal exercises: searching for the safest adbominal challenge. Medicine & Science in Sports & Exercise 1997: 29(6): 804-11.

  16. Tecnica 3- Programma esercizi in acqua (Ia Parte) Estratto da: Watkins RG, Buhler W. Water Workout Program. In The Spine in Sport (Watkins EG, ed), pp 271-82, Mosby, St. Louis, Missouri.

  17. Tecnica 4- Esercizi per prevenire il mal di schiena nei ciclisti Estratto da: Burke ER. Cycling. In The Spine in Sport (Watkins EG, ed), pp 592-6, Mosby, St. Louis, Missouri.


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