bordo Gruppo di Studio della Scoliosi e delle patologie vertebrali. bordo Vuoi ricevere GRATIS
le GSS News?
Leggi qui!.
Vuoi diventare Socio
del Gruppo di Studio?
Ecco come fare

Home Page

Novità

Mappa

GSS Online

Scrivici

Sezione del sito: Home Page > Pubblicazioni > Fascicoli

Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del I fascicolo 1998


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

I Punti di Vista di Boccardi e Sibilla

Come fare lo screening per la scoliosi sapendo che il trattamento ortopedico ha dimostrato la sua efficacia
Eziopatogenesi della scoliosi: dati nuovi ed interessanti ed una ipotesi unificante
Esami radiologici per il rachide lombare
La prevenzione del mal di schiena: i fattori psicosociali sono certamente più importanti degli aspetti biomeccanici
Esercizi per la lombalgia: quando farli e come aiutare il paziente a farli a domicilio
Cervicalgia: il colpo di frusta esiste? Trattamenti e cuscini a confronto e fattori di rischio specifici
Le “Pagine Verdi”: tre lavori pratici con esercizi (scoliosi e lombalgia) ed una verifica di efficacia
Indice



Come fare lo screening per la scoliosi sapendo che il trattamento ortopedico ha dimostrato la sua efficacia

Il primo lavoro del 1998, di Huang corredato dal Punto di Vista (PdV) di Lonstein, è molto bello ed interessante soprattutto per chi si occupa di screening scolastico. Viene qui rivista la letteratura relativa ad uno strumento che oramai si è affermato come estremamente utile per la valutazione del paziente scoliotico, lo scoliometro. Questo strumento è infatti dotato di una ripetibilità inter-esaminatori molto elevata, che consente con maggior facilità di andare anche a determinare delle soglie, come si fa in questo lavoro, al di là delle quali intervenire con una radiografia. Rispetto a questo lavoro va sottolineato che la soluzione al dilemma relativo ai falsi negativi derivanti dalla misurazione con il Bunnel, può essere trovata nell'espediente che ogni medico adotta nella sua vita clinica quotidiana quando si deve confrontare con un test diagnostico: la verifica con un altro test analogo. Anche da questo lavoro, infatti, si evince come l'associazione fra test di Adams (classica misurazione del gibbo) e valutazione con lo Scoliometro, incrementi la specificità dal 66% all'86%. Va poi sottolineato che il modello di screening qui proposto prevede la sua effettuazione da parte di personale sanitario (infermieri specializzati), con il passaggio immediato ad una eventuale radiografia, in ogni caso senza il "confronto” di un secondo livello (visita dello specialista) come invece previsto da altri modelli: probabilmente sarebbe così possibile ridurre ulteriormente il numero di radiografie inutili. Infine, un'ultima annotazione: i valori rilevati con lo Scoliometro di 5° suggeriti per lo screening possono andare bene se si considera solo un trattamento ortesico, mentre possono mancare l'obiettivo di individuazione precoce se si pensa di intervenire anche con un trattamento cinesiterapico preventivo (meglio i 3° in questo caso).

Il lavoro di Winter e Lonstein è imperdibile come del resto il Punto di Vista di Sibilla: insieme questi contributi illustrano magistralmente un cambiamento sensibile intervenuto nella letteratura internazionale a favore del trattamento ortesico ed a discapito di quello cruento. Questo a noi ed ai nostri Soci, da sempre sostenitori dell'importanza del trattamento conservativo, non può che suonare come conforto di anni di lavoro ed anche di lotta contro una tendenza internazionale, ma anche italiana (diffusa sia a livello scientifico che di mass media da personaggi che svolgono ruoli universitari anche di prestigio), a fare della chirurgia la base del trattamento della scoliosi. Si tratta quindi in questo caso di prese di posizione giuste e doverose, sia pure con una annotazione che è inevitabile per noi che cerchiamo di fare dei contributi della scienza la base per le nostre impostazioni cliniche. Non esiste nè deve esistere una dicotomia tra clinico e scienziato, come si adombra in questo contributo. La scienza deve essere al servizio della clinica sia perchè da questa ella può trarre gli spunti coerenti e correnti di lavoro, sia perchè su di essa sola si possono riversare le conseguenze delle scoperte effettuate. Quanto detto da Winter e Lonstein riguarda correttamente la degenerazione della scienza medica e della clinica: gli studi randomizzati controllati sono l'unico modo per ottenere delle risposte coerenti ed impedire ai cialtroni ed ai ciarlatani, che anche tra gli operatori sanitari inevitabilmente ci sono, di fare della loro "esperienza clinica”, magari manipolata ad arte, oppure più semplicemente male interpretata, una fonte di scelte errate e dannose per il paziente. Ciò ovviamente non vale per Winter e Lonstein, ma non tutti sono di questo livello! Infine una doverosa precisazione: non è corretto equiparare, come fanno gli autori, i corsetti ascellari, per i quali è stata effettivamente provata l'efficacia (vedi gli studi randomizzati controllati della Scoliosis Research Society), con il corsetto di Milwaukee, di cui essi sono da sempre sostenitori, e per il quale non esiste invece prova altrettanto valida di efficacia. Un'ultima considerazione di estrema importanza per noi che abbiamo sempre creduto nel ruolo fondamentale dello screening scolastico: l'invito perentorio degli autori alla Preventive Services Task Force americana di rivalutare l'efficacia dello screening alla luce delle prove documentate di efficacia del trattamento ortesico.



Eziopatogenesi della scoliosi: dati nuovi ed interessanti ed una ipotesi unificante

LeBlanc offre una lettura nuova e molto interessante rispetto ad una caratteristica di solito ignorata del paziente scoliotico, che pure potrebbe giocare un ruolo nel processo eziopatogenetico. Purtroppo, come spesso avviene di fronte ad uno studio comparativo come quello considerato, non è possibile affermare cosa venga prima, se la scoliosi o il morfotipo ecto-endomorfico. Se infatti un morfotipo fosse legato alla fase iniziale dello sviluppo (sulla base dell'età biologica e non cronologica) ecco che il riscontro di una prevalenza ecto- endomorfica nei soggetti con scoliosi sarebbe solo il riflesso di una tendenza ad uno sviluppo tardivo. Quindi, anche qui è fondamentale procedere a studi prospettici, sulla base di ipotesi come quella formulata dopo questo lavoro, che permettano di inferire rapporti di causalità con maggior sicurezza. In ogni caso, interessante è anche considerare come il soggetto mesomorfico, ossia quello che tende a sviluppare scoliosi meno facilmente è anche quello con maggior sviluppo osteo- legamentoso, cosa che potrebbe contribuire a mantenere più facilmente la stabilità del sistema rachide.

Goldberg (PdV di Stokes) ci propone uno dei più difficili ma stimolanti lavori di questo fascicolo. In questo lavoro sembra di ripercorrete certe distinzioni scolastiche sulle ipotesi di origine delle caratteristiche della personalità, classicamente rinchiuse nella dicotomia patrimonio genetico e ruolo dell'educazione. Gli autori propongono una ipotesi di origine della scoliosi che vedrebbe: da un lato una tendenza naturale in fase di crescita a sviluppare delle forze destabilizzanti che tendono con il tempo a svilupparsi in senso cranio- caudale (per cui le scoliosi più "antiche” avrebbero una vertebra apicale più alta), dall'altro una caratteristica genetica predeterminata che implica in alcuni soggetti una tendenza all'asimmetria, più o meno direzionale, e che spiegherebbe sia la prevalenza della scoliosi nelle femmine sia la tendenza delle scoliosi dorsali ad essere destro-convesse, dall'altro infine la presenza di stimoli ambientali, che possono anche essere in alcuni casi i processi patogenetici delle scoliosi secondarie, ma più spesso sono dati dalla crescita ma anche da elementi posturali che favoriscono il consolidarsi di quelle spinte asimmetriche geneticamente determinate. Se è vero, come affermano gli autori, che gli stimoli ambientali possono ostacolare o favorire una caratteristica genetica predeterminata verso una tendenza all'asimmetria, dovremmo ritenere particolarmente benefiche tutte quelle attività motorie e riabilitative che rafforzano l'equilibrio e la stabilità della colonna. Molto interessante infine l'annotazione conclusiva di Stokes che invita "a concentrarsi di più sul problema clinico di prevenire l'evoluzione da piccole curve a grandi curve”: perfettamente d'accordo!

Lo studio di Kesling (PdV di Kling) è molto interessante rispetto alla teoria, oramai accettata da anni sull'origine della scoliosi. Infatti il confronto tra le scoliosi presenti in gemelli mono e dizigoti consente di ottenere degli elementi di sicuro rilievo. Gli autori in conclusione propendono per un fattore ereditario poligenico che si esprime con penetranza variabile essendo influenzato anche da fattori ambientali non definiti. Secondo le ipotesi di Goldberg, sopra citate, questi ultimi potrebbero essere tutte quelle condizioni di instabilità del rachide che possono rendere manifesto il patrimonio genetico individuale.



Esami radiologici per il rachide lombare

La serie di lavori sulle problematiche del rachide lombare si apre con la conclusione del contributo di Boden iniziato nel precedente fascicolo. Il rigore di questo autore (accanto alla enorme esperienza e capacità clinica) si conferma e l'attenta lettura permetterà di cogliere alcune impostazioni di fondo che devono oramai diventare punti centrali della nostra pratica quotidiana: la clinica viene sempre prima degli esami strumentali, perchè solo con una buona anamnesi ed un valido esame obiettivo è possibile dapprima scegliere ed in seguito interpretare l'esame radiologico; l'esame radiologico va scelto accuratamente sulla base dell'ipotesi diagnostica posta in atto. L'esame radiologico va effettuato solo in funzione dell'approccio terapeutico: se questo non viene ad essere modificato o non subisce conseguenze sulla base degli esami strumentali, allora è inutile effettuarli essendo la clinica di per sè più che sufficiente. In pratica: la clinica è regina incontrastata ed insostituibile.



La prevenzione del mal di schiena: i fattori psicosociali sono certamente più importanti degli aspetti biomeccanici

Il lavoro di Burton presenta una revisione sistematica della letteratura, rispetto alla prevenzione della lombalgia nei lavoratori, estremamente aggiornata e completa, pur essendo a volte di lettura impegnativa. L'impostazione generale è largamente condivisibile, e la conclusione sull'importanza prevalente dell'approccio metodologico applicato sul paziente rispetto alla sola indicazione di regole ergonomiche suona forse un po' forte per orecchie non abituate, ma è sicuramente al passo con le ultime indicazioni: in pratica è più importante fornire indicazioni ragionevoli rispetto all'autorisolversi della patologia, alla necessità di gestione corretta e coerente nella vita quotidiana, piuttosto che disporre di un corretto approccio ergonomico. La maggiore importanza del primo aspetto non costituisce peraltro negazione del secondo, in quanto spesso è proprio l'autocoscienza del problema e la positività nell'affrontarlo, che un'attenzione ergonomica alla propria vita quotidiana impone, che consente una migliore gestione della lombalgia. Ovviamente è invece completamente condivisibile questa impostazione quando si considera una possibilità alternativa che potrebbe rientrare più che nella corretta ergonomia nel terrorismo ergonomico: controproducente è infatti cercare di far fare qualcosa ad un lavoratore quando le condizioni stesse di lavoro gli impongono altre soluzioni o indicargli strategie di evitamento che a lungo andare sono dannose proprio in termini di gestione adeguata del proprio problema. In pratica, la prevalenza dei fattori psicosociali fa si che anche l'ergonomia si pieghi alle loro esigenze e non viceversa. Va sottolineato infine la completa mancanza in questo lavoro di indicazioni rispetto all'attività fisica regolare, altro caposaldo della prevenzione, che non va secondo noi assolutamente trascurato.

Il lavoro di Hadler è un altro momento forte di questo fascicolo. Bellissimo! La lettura dei primi tre paragrafi, che vanno di pari passo con quelli del lavoro precedente, servono solo da premessa, da antefatto per una conclusione che è forse un po' troppo filosofica, forse addirittura un po' troppo poetica, ma che suona ad un orecchio allenato come troppo profondamente vera per essere denigrata. Forse le soluzioni non saranno quelle adombrate, ma la direzione corretta è indubbiamente quella. Per aiutare il lettore, proponiamo i tre punti dell'articolo che preparano alla conclusione, che gli lasciamo gustare con solo un piccolo antipasto virgolettato. Cosa c'è di così speciale nel soffrire di mal di schiena: "Nulla, tutti ne soffrono esattamente come per il raffreddore: inoltre, applicare il concetto di infortunio lavorativo al mal di schiena non è un procedimento valido; lo si può fare tanto quanto si potrebbe in caso di un comune mal di testa”. Qual'è il modo "corretto” per sollevare un peso? "La biomeccanica conta ma non è tutto, soprattutto non esistono modelli teorici di riferimento affidabili (neanche quelli del NIOSH)”. Cosa ci sfugge? "Gli aspetti psicologici giocano un ruolo fondamentale, soprattutto in termini di soddisfazione sul lavoro, di inquietudine sociale e di necessità di affetto; non vanno trascurati altri fattori di rischio come il fumo”. Quo vadis? Non esiste una singola risposta, esistono varie risposte. Queste risposte possono essere integrate in una soluzione solo se siamo preparati ad assoggettare il riduzionismo della nostra tradizione scientifica al nostro umanesimo”.

Dall'aulico ed umanistico al prosaico e scientifico, con il lavoro di Frank, che tratta il medesimo argomento secondo la medesima ottica, come si evince dalla conclusione, però con un'ampiezza di letteratura e riferimenti scientifici assolutamente notevole. In pratica è il corretto accompagnamento del lavoro precedente, elencandone in dettaglio tutti i riferimenti bibliografici. Questo studio si concentra sulla prevenzione della disabilità cronica, cioè sulle possibilità di ridurre l'importanza di quella popolazione relativamente ridotta di pazienti (5-10% del totale) che sono i più costosi per la società (più dell'80% del peso economico di questo costosissimo problema). A questo fine va però rivisto in primo luogo la storia naturale della lombalgia cronica e le conoscenze eziologiche disponibili. Di notevole interesse è qui l'ipotesi che la lombalgia cronica possa originare per il superamento di un "equilibrio” tra le richieste del mondo personale (occupazionale, famigliare, ma anche di salute) e la necessità di tollerare un dolore recidivante e mutevole; questo equilibrio si può spezzare però anche in senso inverso, con esito nel ritorno al lavoro. Questo modello ha due implicazioni importanti: primo, non è possibile disporre di efficaci predittori univoci della cronicizzazione; secondo, si possono spiegare le difficoltà da sempre notate nel cercare di conoscere quali siano i fattori di rischio reali.



Esercizi per la lombalgia: quando farli e come aiutare il paziente a farli a domicilio

Faas presenta una metaanalisi sulle dimostrazioni di efficacia degli esercizi nel trattamento della lombalgia che aggiorna quella pubblicata da Koes qualche anno fa e che aveva concluso che non esistevano dati che dimostrassero la necessità di utilizzarli in questi pazienti. In primo luogo è fondamentale sottolineare i 3 PdV da cui è corredato questo articolo: il primo in esclusiva per i nostro Soci è di Boccardi, che magistralmente ci ricorda l'importanza della cosiddetta "Evidence based medicine” (medicina basata sulle evidenze scientifiche di efficacia), che è fondamentale in tutti i tempi, ma in particolare in Riabilitazione, una scienza costosa e che potrebbe diventare per i sistemi Sanitari Nazionali anche facoltativa (secondo la logica, per anni applicata, che si può riassumere nell'evangelico "alzati e cammina” tipicamente proposto ai pazienti dopo interventi o applicazione di ortesi), se non dimostra la sua efficacia; gli altri due, di Battié (metodologico/scientifico) e Malmivaara (riassuntivo) sottolineano in realtà la validità di questo contributo nel merito del lavoro. Entrando nel merito del lavoro, si sottolinea qui come in caso di lombalgia in fase acuta gli esercizi generici sono apparentemente inefficaci, anche se ci sono dei dubbi rispetto ad un approccio (metodologicamente sicuramente più valido) che faccia precedere una attenta valutazione per identificare come orientare il tipo di esercizi da effettuare (in questo senso, infatti, alcuni risultati validi sono stati ottenuti con una tecnica, come quella di McKenzie, che adotta proprio questo approccio). Viceversa, gli esercizi sono per ora da considerare validi in fase sub- acuta e cronica: l'appunto qui è che garantirsi la collaborazione dei pazienti è comunque l'aspetto critico, e proprio di questo si occupa il lavoro successivo.

Perchè i nostri pazienti non fanno gli esercizi a casa che noi consigliamo loro? Una risposta breve ma certamente efficace ed interessante ci viene dal lavoro di Blanpied, che applica a questo problema un modello teorico esplicativo delle modalità che permettono ad una persona di modificare alcuni aspetti comportamentali e che è stato già utilizzato in medicina in altri campi (p.e. smettere di fumare). Questa teoria, denominata Transteorica, prevede 5 stadi. Precontemplazione (non c'è ancora intenzione di cambiare comportamento). Contemplazione(c'è intenzione, ma ancora non si è cambiato comportamento). Preparazione (c'è variazione del comportamento ma ci sono avvii e pause). Azione (cambiamento consistente del comportamento per meno di 6 mesi). Mantenimento (cambiamento del comportamento per oltre 6 mesi). Questa chiave di lettura può essere molto utile a chi opera in palestra, perchè può consentire un approccio meno colpevolizzante e punitivo verso il paziente, permettendo contemporaneamente di differenziare il trattamento in modo adeguato e consentendo così il reale raggiungimento dell'indipendenza dal terapista (anche se va detto che non tutti i pazienti sono in grado di ottenerlo).



Cervicalgia: il colpo di frusta esiste? Trattamenti e cuscini a confronto e fattori di rischio specifici

Con il fondamentale contributo di Stovner sul colpo di frusta, si apre una sezione di questo fascicolo dedicata ai problemi del rachide cervicale. Questo studio è molto interessante, ma non ci si deve spaventare per l'approccio metodologico utilizzato. La lettura del testo sarà in particolare utile per scoprire la complessità di un approccio scientifico corretto, quando si deve definire se una diagnosi possa veramente esistere in quanto indicatrice in modo univoco di una condizione del paziente (come ancora non si può dire con certezza per il colpo di frusta). In realtà da questo lavoro si evince come esistano "i colpi di frusta” e non "il colpo di frusta”, come del resto dimostrano inequivocabilmente le Tabelle (queste si da leggere anche da chi ha un interesse più clinico, per vedere la qualità di studi proposti ad oggi su queste condizioni patologiche originate da un unico meccanismo patogenetico). Verrebbe quasi da dire che il colpo di frusta è un fattore di rischio, più che un elemento patogenetico, ma anche qui qualche perplessità è inevitabile.

Persson (PdV illuminante di Sherk) pone a confronto la cinesiterapia con il collare con la chirurgia in caso di cervicobrachialgia. Va subito sottolineato che i risultati dei 3 trattamenti a 12 mesi sono sovrapponibili, e questo è un dato da non trascurate, soprattutto quando si considerino alcuni limiti metodologici che vedrebbero proprio favorire i risultati del trattamento chirurgico (i pazienti erano tutti stati ricoverati per essere sottoposti a questo trattamento). Altri limiti si possono trovare in una non chiara distinzione tra gruppi, motivo per cui è un lavoro questo che va comunque considerato fondamentalmente preliminare indicativo di una possibilità, peraltro interessante perchè paragonabile con quanto si ottiene per il rachide lombare, dove lo spazio per l'intervento cruento si sta sempre più riducendo. Un'ultima sottolineatura: quali potrebbero essere i risultati del dolore a più di un anno di distanza, ponendo a confronto gli stessi tre gruppi, e pensando alle menomazioni anatomo-fisiologiche derivanti da una artrodesi o dall'indossamento prolungato di un collare?

Laurén offre un lavoro interessante per l'approccio: molto raramente sono state indagate le prestazioni neuromotorie dei pazienti come possibili fattori correlati all'insorgenza del dolore, sia esso a livello lombare che cervicale. Ovviamente, come sempre in caso di lavori che non siano prospettici, non è possibile dire fino a che punto l'elemento alterato verificato (in questo caso la velocità di movimento del braccio molto alta o molto bassa) possa essere causa o conseguenza della patologia indagata. Sapendo questo, vale la pena però di leggere attentamente la discussione, dove vengono elencati una serie di elementi correlati al movimento del braccio che possono spiegare i dati ottenuti rispetto alla patologia cervicale. Anche questo lavoro ci spinge sempre più a considerare il rachide, sia esso cervicale o lombare, come inscindibilmente correlato alle capacità di controllo neuromotorio del corpo in generale e della colonna in particolare: agire solo sui tiranti muscolari o sugli elementi anatomici, senza cercare di intervenire con la riabilitazione anche a livello del "controllore”, ossia il sistema di controllo del movimento e della postura, è troppo limitante.

Lo studio di Lavin pone a confronto tre tipi di cuscini in un lavoro certamente interessante, anche se falsato da alcuni limiti metodologici. Infatti tutti i partecipanti già riferivano dolori con il loro cuscino, quindi erano più facilmente portati a denunciare i limiti. Peraltro il cuscino rotondo è notoriamente disagevole. Il risultato favorevole quindi al cuscino ad acqua era quasi scontato, ed anche così il risultato è solo debolmente positivo. E' comunque utile qui sottolineare che in effetti il cuscino ha una sua importanza ergonomica abbastanza marcata in caso di cervicalgia.



Le "Pagine Verdi”: tre lavori pratici con esercizi (scoliosi e lombalgia) ed una verifica di efficacia

Mahaudens presenta un interessante lavoro per migliorare il controllo neuromotorio del rachide tramite uno strumento molto utile per la sua facilità di approccio al paziente in età evolutiva e per la completezza di stimolazione che può offrire: il pallone grande (comunemente chiamato Bobath). Si noti che questo strumento offre delle possibilità, anche rispetto ad altre esigenze sentite dal rieducatore, come per esempio un miglioramento dell'articolarità vertebrale in preparazione ad un corsetto ortopedico. In questo lavoro è inoltre completamente condivisibile l'impostazione teorica moderna ed aggiornata, rispetto ai concetti di autocorrezione, potenziamento del controllo neuromotorio del rachide, rinforzo degli effettori muscolari.

Con una revisione completa di test da applicare prima di procedere ad un trattamento riabilitativo, inizia un contributo sull'argomento da parte di Farrela. Il massimo pregio di questa prima parte si troverà in una ragionevolezza di fondo dell'approccio ed in una completezza notevole dei test. Molto interessante l'attenzione riservata all'ergonomia: è questo un aspetto secondo noi irrinunciabile, altrimenti si rischia di perdere uno dei target principali della rieducazione che è proprio l'intervento ergonomico. Inoltre valido l'interesse (importante per chi lavora direttamente sul paziente), alle variazioni del dolore durante le attività della vita quotidiana: si tenga infatti presente che non esistono regole di comportamento o di applicazione di esercizi che siano codificate in modo assoluto e quindi valide per tutti, ma piuttosto risposte individuali del dolore alle singole attività, che vanno analizzate da personale esperto (ed esperti si diventa solo imparando ad ascoltare i pazienti). Discutibile invece il concetto proposto di evitare a tutti costi il dolore durante gli esercizi. Si corre infatti così il rischio di insegnare questo concetto al paziente, ponendo in atto una strategia passiva di solo evitamento del dolore, che non è sempre la migliore: sicuramente è infatti più importante la strategia di gestione del dolore, che a volte comprende l'evitamento, ma che si giova di più di un atteggiamento positivo, affrontando il dolore secondo linee guida corrette. Un'ultima annotazione: questi sono test e come tali non sono necessariamente esercizi, risultando addirittura a volte controindicati se applicati come tali.

Il lavoro di Ljunggren è in realtà un lavoro di ricerca, condotto però da tecnici competenti (come raramente purtroppo avviene per lavori che riguardano l'esercizio fisico), che hanno elencato gli esercizi posti in atto e da loro confrontati in maniera completa, al punto da poter costituire due validi eserciziari (i risultati ottenuti sono sovrapponibili) per programmi di rinforzo e lieve mobilizzazione da effettuarsi autonomamente a domicilio. Rispetto ad un lavoro completo mancano qui esercizi di controllo neuromotorio del rachide e di allenamento aerobico ed anche la mobilizzazione risulta più sottostimata. Di estremo interesse in discussione l'annotazione circa l'importanza dell'aspetto motivazionale per adulti che debbano continuare gli esercizi: questa si può trovare nel lavoro di gruppo oppure in una supervisione attenta e continuativa per un certo periodo, fino a quando può scattare la molla data dai risultati ottenuti e dai vantaggi generali in termini di salute (non solo della schiena). Si noti come il concetto di progressione sia ben presente (sia pure non sottolineato con forza) in tutto l'articolo, essendo elencato in un eserciziario e rappresentato laddove si dice che gli esercizi erano standard quanto a tipo di esercizio, ma individualizzati quanto a dosaggio: come sempre dovrebbe avvenire sia tra pazienti, sia per lo stesso paziente sulla base dell'evoluzione della condizione fisica e della situazione patologica.

Le "pagine verdi” si concludono con la II Parte del contributo di Robinson sulla stabilizzazione lombare. E' dedicato all'illustrazione degli esercizi applicando una progressione che è di estremo interesse, proprio perchè a volte trascurata: spesso infatti si pensa che un eserciziario possa essere una ricetta definitiva , quando invece, nel campo delle abilità dell'apparato locomotore, è solo l'incremento progressivo delle richieste che consente un reale miglioramento delle prestazioni, se non addirittura un mantenimento dell'efficacia dell'approccio; in particolare quando si tratta di un intervento medico, che è sempre molto finalizzato e preciso e quindi tutto sommato monotono nelle sue qualità di applicazione. Vale la pena quindi di leggere con attenzione questa progressione, che rimane comunque una esemplificazione (sia pure molto valida, completa ed interessante) e non una ricetta, dal momento che ciascuno può poi applicare questo concetto alle proprie metodiche di lavoro. Infine in questo studio è interessante anche il protocollo di valutazione delle capacità di stabilizzazione e funzionali del rachide lombare. Utile sottolineare ancora che in Riabilitazione non può e non deve più esistere trattamento senza valutazione iniziale e finale, che consenta di quantificare i risultati ottenuti e, nel tempo, di migliorare l'approccio.

Buona lettura e buon anno di lavoro, anche con il contributo del nostro Gruppo di Studio.

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del I fascicolo 1998

  1. Valore soglia dello Scoliometro nello screening scolastico per la scoliosi Estratto da: Huang SC. Cut-off Point of the Scoliometer in School Scoliosis Screening. Spine 1997: 22(17); 1985-89.

  2. Indossare il corsetto ortopedico o non indossarlo: il valore reale dello screening scolastico Estratto da: Winter RW, Lonstein JE. Editorial. To Brace or Not to Brace: The True Value of School Screening. Spine 1997: 22(12); 1283-4.

  3. Scoliosi idiopatica dell’adolescente e somatotipi morfologici Estratto da: LeBlanc R, Labelle H, Rivard CH, Poitras B. Relation Between Adolescent Idiopathic Scoliosis and Morphologic Somatotypes. Spine 1997: 22(21); 2532-36.

  4. Scoliosi idiopatica dell'adolescente e teoria dello sviluppo Estratto da: Goldberg CJ, Fogarty EE, Moore DP, Dowling FE. Scoliosis and Developmental Theory. Adolescent Idiopathic Scoliosis. Spine. Spine 1997: 22(19); 2228-37.

  5. La scoliosi nei gemelli. Metaanalisi della letteratura e analisi su sei casi Estratto da: Kesling KL, Reinker KA. Scoliosis in Twins. A Meta-analysis of the Literature and Report of Six Cases. Spine 1997: 22(17); 2009-15.

  6. L'uso della diagnostica per immagini nella valutazione di pazienti che presentano patologie degenerative del rachide lombare (IIa Parte)* Estratto da: Boden SD. The Use of Radiographic Imaging Studies in the Evaluation of Patients Who Have Degenerative Disorders of the Lumbar Spine. The Journal of Bone and Joint Surgery 1996: 78-A(1); 114-24.

  7. Lesioni alla schiena e assenze dal lavoro. Influenze biomeccaniche e psicosociali Estratto da: Burton AK. Spine Update. Back Injury and Work Loss. Biomechanical and Psychosocial Influences. Spine 1997: 22(21); 2575-80.

  8. Il mal di schiena sul posto di lavoro. Che cosa sollevi e come lo sollevi è molto meno importante: ciò che importa veramente è se sollevi o quando lo fai Estratto da: Hadler NM. Editorial. Back Pain in the Workplace. What You Lift or How You Lift Matters Far Less Than Wherther You Lift or When. Spine 1997: 22(9); 935-40.

  9. Disabilità causata da lombalgia occupazionale. Cosa sappiamo sulla prevenzione secondaria? Revisione delle prove scientifiche sulla prevenzione dopo l’insorgenza della disabilità Estratto da: Frank JW, Brooker AS, DeMaio SE, Kerr MS, Maetzel A, Shannon HS, Sullivan TJ, Norman RW, Wells RP. Disability Resulting From Occupational Low Back Pain. Part II: What Do We Know About Secondary Prevention? A Review of the Scientific Evidence on Prevention After Disability Begins. Spine 1996: 21(24); 2918-29.

  10. Esercizi: quali vale la pena di provare, in quali pazienti, e quando? Estratto da: Faas A. Exercises: Which Ones Are Worth Trying, for Which Patients, and When? Spine 1996: 21(24); 2874-9.

  11. Perché i pazienti non vogliono eseguire i programmi di esercizi a domicilio? Estratto da: Blanpied P. Why Won’t Patiets Do Their Exercise Programs?. JOSPT 1997: 25(2); 101-2.

  12. Lo stato nosologico della sindrome da colpo di frusta: una analisi critica basata su un approccio metodologico Estratto da: Stovner LJ. The Nosologic Status of the Whiplash Syndrome: A Critical Review Based on a Methodological Approach. Spine 1997: 21(22); 2735-46.

  13. Dolore radicolare cervicale cronico trattato chirurgicamente, con la fisioterapia o con un collare cervicale Estratto da: Persson LCG, Carlsson CA, Carlsson JY. Long-Lasting Cervical Radicular Pain Managed With Surgery, Physiotherapy, or Cervical Collar. A Prospective, Randomized Study. Spine 1997: 22(7); 751-8.

  14. Velocità di movimento del braccio e rischio di cervicalgia Estratto da: Laurén H, Luoto S, Alaranta H, Taimela S, Hurri H, Heliövaara M. Arm Motion Speed and Risk of Neck Pain. A Preliminary Communication. Spine 1997: 22(18); 2094-9.

  15. Cervicalgia: tre cuscini a confronto Estratto da: Lavin RA, Pappagallo M, Kuhlemeier KV. Cervical Pain: A Comparison of Three Pillows. Arch Phys Med Rehabil 1997: 78; 1938.

  16. Scoliosi idiopatiche evolutive. Rieducazione propriocettiva su pallone Estratto da: Mahaudens Ph. Scolioses idiopathiques évolutives. Rééducation proprioceptive sur ballon. Ann. Kinésithér. 1997: 24(6): 289-99.

  17. Esercizi terapeutici per il mal di schiena (I Parte) Estratto da: Farrell J, Drye C, Koury M. Therapeutic Exercise for Back Pain. In Physical Therapy of Low Back. (Twomey LT, Taylor JR eds), pp 379-410, Churchill Livingstone, New York.

  18. Effetto dell'esercizio sulle assenze dal lavoro a causa di lombalgia. Uno studio randomizzato, comparativo, a lungo termine Estratto da: Ljunggren AE, Weber H, Kogstad O, Thom E, Kirkesola G. Effect of Exercise on Sick Leave Due to Low Back Pain. A Randomized, Comparative, Long-Term Study. Spine 1997: 22(14): 1610-17.

  19. Scuola della schiena lombare e stabilizzazione: terapia conservativa aggressiva (II Parte) Estratto da: Robinson R. Low-Back School and Stabilization: Aggressive Conservative Care. In Spine Care Diagnosis and Conservative Treatment. (Withe AH, Schofferman JA eds), pp. 394-412, Mosby, St. Louis.


Gruppo di Studio della Scoliosi
Casella Postale n. 89 - 27029 Vigevano (Pv), Italia
E-mail:gss@gss.it


Copyright © Gruppo di Studio della Scoliosi, 2006.