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I Punti di Vista


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

Indice



Il punto di vista di Boccardi

Esercizi: quali vale la pena di provare, in quali pazienti, e quando?
Faas A. Spine 1996: 21(24); 2874-9.

Possiamo consolarci. Periodicamente, sulle nostre riviste appaiono delle accorate richieste di indagini serie che diano attendibilità scientifica alle proposte di tecniche e di trattamenti che vengono utilizzati ampiamente in medicina riabilitativa, alcuni da più di un secolo: senza le quali indagini, la pretesa della medicina riabilitativa di ottenere una dignità pari a quella delle altre specialità mediche non avrà mai il pur meritato ascolto.

Ho condotto recentemente una veloce ricerca sui lavori pubblicati negli ultimi due anni sulle più lette riviste italiane della disciplina: Europa Medicophysica, Giornale italiano di medicina riabilitativa, La riabilitazione, Il Fisioterapista, Le scienze motorie.

Ho trovato più di un centinaio di lavori, a volte anche importanti, dedicati alla filosofia della riabilitazione, all’organizzazione, all’illustrazione di casistiche interessanti per l’epidemiologia, la nosografia, la diagnosi differenziale, all’esposizione di casi clinici insoliti, alla descrizione di tecniche di valutazione e di trattamento, a studi retrospettivi: ma ho potuto rintracciare solo diciassette lavori che onestamente si possono definire il risultato di studi controllati sull’efficacia di tecniche o trattamenti riabilitativi.

E già questo è un cattivo segno. Ma in più, uno solo di questi lavori avrebbe superato la prova di una metaanalisi seria, perché rispondente ai criteri abitualmente ritenuti necessari per definire ‘scientifica’ una ricerca.

I difetti più frequentemente riscontrati: mancanza dei controlli; non randomizzazione; esiguità del campione; criteri di inclusione non adeguati, in particolare non omogeneità della patologia; non utilizzazione del cieco; identificazione tra ricercatore e valutatore; insufficiente o assente follow up; non idoneità dei criteri di giudizio; assenza o inadeguatezza dell’analisi statistica.

Si ha qualche difficoltà ad accettare per buoni i risultati riportati: a detta degli autori, nessuna tecnica si è rivelata inefficace, e la bontà dei risultati buoni od ottimi raggiunge spesso la fatidica quota dell’80%, considerata da molti una quota in qualche modo dimostrativa della non attendibilità dell’indagine e dei suoi risultati.

Le conclusioni di quasi tutti i lavori poi testimoniano qualche perplessità da parte degli autori. I periodi finali sono ricchi di espressioni come ‘sembra di poter dire... sembra doveroso concludere... validi almeno quanto altri trattamenti...anche se valutati con criteri in parte empirici...’. Espressioni che si aggiungono alle moltissime altre, poco rassicuranti, che avevo raccolto in una precedente occasione: ‘ci sembra di poter concludere...sembrerebbe confermare...l’eterogeneità dei risultati...non sembra essere confortato... i risultati non sono dissimili...’

Questo lavoro di Faas, molto serio, ci dimostra che anche la letteratura straniera accolta nelle riviste ‘recensite’, che dovrebbero garantire il massimo della affidabilità, è lontana dal poterci offrire delle sicurezze, ad ulteriore conferma della antica affermazione di Cochrane sulla impossibilità di dimostrare l’efficacia della maggior parte delle tecniche riabilitative.

Questo non deve spingerci però ad abbandonare il difficile compito di fare ricerca in medicina riabilitativa. Con Popper crediamo che anche un piccolo passo nella direzione della verità sia importante nella costruzione delle nostre conoscenze scientifiche, nella ‘costruzione della cattedrale’, soprattutto quando hanno a che fare con la capacità di vita dei nostri simili. Per questo è però necessario che le nostre ricerche siano rigorose e impostate e condotte con la massima cura. Dobbiamo concordare con i metaanalisti americani: “until these therapeutics are sound based, skepticism and criticism are inevitable” (fino a quando le nostre terapie non avranno delle solide basi teoriche, lo scetticismo e la critica sono inevitabili).

Altrimenti dovremo accettare quanto è stato autorevolmente affermato, proprio a proposito della fisioterapia strumentale: “qui finisce la scienza e comincia la pseudoscienza”.


Il punto di vista di Sibilla

Indossare il corsetto ortopedico o non indossarlo: il valore reale dello screening scolastico
Winter RW, Lonstein JE. Editorial. Spine 1997: 22(12); 1283-4.

Fa piacere constatare che le idee nelle quali si è creduto da sempre siano condivise da persone “al di sopra di ogni sospetto” quali Winter e Lonstein. Anzi noi siamo in posizioni ancora più avanzate e questo ci viene dall’aver utilizzato delle ortesi sicuramente più efficaci che il corsetto di Milwaukee.

La scuola europea è sempre stata più favorevole ai corsetti a spinta, piuttosto che a quelli a stimolazione propriocettiva. Stagnara, Min Metha, Cotrel e non ultimi noi stessi abbiamo sempre verificato non solo l’efficacia dei busti ortopedici, ma soprattutto dei busti a spinta.

Il concetto per noi chiaro che il corsetto ortopedico funziona come uno stimolatore meccanico dei centri deputati al controllo della posizione del rachide, deriva dalla nostra formazione bioingegneristica che considera lo schema di controllo a blocchi, come la base di qualsiasi ipotesi terapeutica.

Ne deriva che se il corsetto ortopedico è prescritto correttamente per la forma di scoliosi da trattare, se è impiegato per un tempo sufficiente sia nelle 24 ore che per tutto il tempo del decorso della scoliosi, se è abbinato ad un efficace terapia riabilitativa, il risultato NON PUO' ESSERE CHE POSITIVO.

Ancora troppi in Italia ed altrove considerano il corsetto come un mezzo atto si e no a contenere le forme trattate. Sta di fatto, come ben afferma Nachemson, quando si intraprende una terapia bisogna crederci ed applicarla sino in fondo.

Troppi ancora considerano il trattamento ortopedico come un ripiego.

Troppi non sanno indicare il corsetto adatto, che varia a seconda della forma scoliotica, della sua gravità, del momento evolutivo.

Troppi non sanno i tempi della terapia, non sanno che dopo i primi sei mesi costrittivi, nei quali la scoliosi deve subire un marcato ridimensionamento, si può passare con gradualità al tempo parziale.

Troppi non sanno che il termine della terapia deve essere stabilito, ed in questo concordiamo con Cotrel e non con Winter e Lonstein, 18 mesi dopo il completamento del Risser.

Troppi non sanno che un corsetto ortopedico deve essere portato per ore consecutive: 21/24 significa indossato per 21 ore consecutive e tolto per 3 ore consecutive.

Se queste regole vengono disattese, fatalmente i risultati saranno deludenti per il curante e drammatici per il paziente.

Questo discorso può essere poi ampliato con l’uso dei corsetti inamovibili (Risser - Edf) per il trattamento nelle scoliosi oltre i 40° Cobb, con le loro implicazioni collaudate da noi in più di 25 anni, mediante il loro uso integrato con i corsetti ortopedici, come era stato preconizzato della scuola Lionese e da quel veramente grande maestro che è stato Pierre Stagnara. Ci ripromettiamo comunque di riproporre tutto questo in modo molto più completo in un Congresso Internazionale che verrà organizzato alla fine del prossimo anno.

E questo per riaffermare la supremazia del buon senso terapeutico e dei diritti dei pazienti contro un vento di follia chirurgica che porta a considerare trattabili cruentemente anche scoliosi attorno ai 30° Cobb.


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