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Il colpo di frusta

Prefazione

Da quando è stata inventata l'automobile i clinici hanno scoperto una nuova patologia: il colpo di frusta.

A partire dalla prima metà del XX secolo, sono stati davvero molti i ricercatori coinvolti nella sua definizione. Contributi biomeccanici, cinematici e clinici si sono susseguiti ed alternati, beneficiando l'uno del contributo dell'altro.


Molto, purtroppo, rimane ancora da scoprire: anzi, molti dei recenti progressi clinici hanno messo in crisi certezze sul colpo di frusta che sembravano, pochi anni or sono, dogmatiche: basti pensare all'invalso approccio "immobilizzante" del recente passato ora largamente smitizzato già a partire dalla fase acuta.

Molto, purtroppo, rimane e rimarrà speculativo a causa dei numerosi aspetti legali ed assicurativi presenti (e a cui sarà difficile sottrarsi…) che rendono più sfumato, difficoltoso e confuso un approccio veramente trasparente al problema.

Certo è che, dati epidemiologici e costi alla mano, ci troviamo di fronte ad un problema importante. Basti pensare al numero di persone coinvolto ogni anno (soprattutto stimato, a causa degli innumerevoli casi non denunciati), ai costi sanitari, ai costi sociali ed all'enorme numero di sequele disabilitanti a lungo termine.

Lo scopo di questa monografia è stato far luce sul problema, pensandolo (come sempre) con la mente del riabilitatore, intravedendone certamente la complessità biomeccanica, ma proiettandosi, già a partire dalla fase acuta, negli esiti a distanza.

Le indicazioni della letteratura, oltretutto, come avviene per il mal di schiena, danno sempre più importanza ad un approccio attivo immediato con chiare caratteristiche riabilitative. Quindi, sarebbe uno sbaglio non considerare la riabilitazione partendo già dai primissimi giorni dal trauma (almeno come mentalità), in quanto offre gli strumenti per la presa in carico precoce della globalità del problema e non è, banalmente, un'alternativa terapeutica.
Mentalità riabilitativa, dunque, da subito: nella definizione del problema, nella rassicurazione (evitando se possibile il terrorismo "immanente" del collare o del riposo forzato), nell'incoraggiamento a non sentirsi "malati" più del dovuto, continuando a mantenersi attivi al lavoro, in famiglia, nel tempo libero…

L'intera stesura della monografia ha tenuto in alta considerazione lo storico contributo offerto dalla Quebec Task Force canadese, pubblicato su Spine nel 1995 (Quebec Classification of Whiplash-Associated Disorders). Il grande sforzo compiuto si è basato sulla selezione, accurata e scientifica, di tutta la letteratura esistente fino ad allora, arrivando alla cosiddetta "best evidence synthesis", vale a dire non opinioni personali, ma ciò che con certezza di rigore scientifico si può raccomandare in merito al colpo di frusta.


Per dovere informativo, desideriamo segnalare che alla pubblicazione delle raccomandazioni canadesi è seguito, nel corso degli anni, un grande dibattito positivo, segno non solo del fervore scientifico vicino al problema, ma soprattutto dell'incertezza avvertita da più parti: di tutto questo abbiamo tenuto conto nella stesura di questa monografia.
Leggerete sull'importanza di una approfondita e meticolosa valutazione degli esiti a breve termine, dei loro legami con il passato (lesioni pre-esistenti) e con il futuro (esiti a distanza).

Leggerete sull'importanza di un approccio scientifico alla classificazione del colpo di frusta, non solo per gli immediati risvolti terapeutici, ma anche per le evidenti note prognostiche. Il clinico deve possedere percorsi logici, sequenziali, finalizzati al trattamento, non dimenticando mai l'inemendabile importanza della rivalutazione nel tempo del paziente con modificazione degli obiettivi e degli strumenti terapeutici.

Leggerete anche sull'importanza di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico (primariamente riabilitativo) dei disturbi dell'equilibrio, esito disabilitante dei traumi distorsivi cervicali, spesso confuso e sottostimato. Apprenderete quanto è importante il ruolo della riabilitazione in questo difficile ambito e quanto possiamo offrire di positivo con un corretto approccio conservativo.

Infine, ultimo, ma più importante, leggerete molto su cosa fare concretamente su una base logica, conseguente alle attuali conoscenze in ambito di rieducazione. Se è infatti determinante inquadrare il problema, poi al nostro paziente interessa il risultato, che è diretta conseguenza del corretto atto terapeutico.

Sono davvero poche (ma, per fortuna, buone) le evidenze in ambito di terapia. Ed è giusto così. Di fronte all'eclettismo terapeutico che spesso ci contraddistingue, abbiamo bisogno di certezze per noi e soprattutto per i pazienti a più alto rischio di cronicizzazione. Non dobbiamo avere paura di abbandonare una rieducazione operatore-dipendente, legata a noti fideismi e geocentrismi passionali: è semplicemente il modo di fare rieducazione che sta cambiando e di cui non possiamo non tener conto.

Infine, non dimentichiamo mai l'importanza di spiegare, senza perdere di vista la scienza, ai nostri pazienti cosa sta succedendo loro. Saper comunicare e sapersi porre in relazione con il disabile deve pervadere la cultura riabilitativa. Alla base del contratto terapeutico, il dialogo può influenzare enormemente il risultato. Di fronte ad una patologia con così elevata probabilità di disabilità, ogni cosa che diciamo al paziente è importante nel divenire del problema, aiutandolo nell'adesione al trattamento.

Ai pazienti non dobbiamo mai offrire "tentativi" terapeutici, cavalcando mode del momento, opinioni personali o imposizioni burocratico-organizzative, ma dobbiamo offrire modalità operative supportate da sicurezze scientifiche, a partire dal nuovo modello di approccio cognitivo-comportamentale per il paziente cronico.
Buona lettura!

Marco Monticone, Stefano Negrini



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