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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del II fascicolo 2004

In breve dalla letteratura


Carlo Trevisan
Segreteria Scientifica

Significato delle dimensioni del canale vertebrale nel discriminare le ernie del disco sintomatiche da quelle asintomatiche.
Associazione tra l'andamento della lombalgia e i riscontri alla risonanza magnetica lombare.
Decorso della lombalgia nella popolazione generale. Risultati da uno studio prospettivo di 5 anni.
Il peso degli zaini e insorgenza di dolore cervicale, alle spalle e lombare.
Associazione tra uso degli zaini e mal di schiena negli adolescenti.

In questa sintesi della letteratura il tema dominante è la lombalgia e alcuni spunti che accentrano l'attenzione su temi cardine. I primi due lavori indagano il rapporto tra alterazioni anatomiche e sintomatologia e decorso della malattia: nel primo vedremo se, come la pratica clinica di tutti i giorni ci suggerisce, le dimensioni del canale spinale hanno un'influenza sul decorso di un'ernia discale; il secondo tratta dell'annosa questione se le alterazioni discali osservabili con le moderne tecniche di indagine, sono correlabili (e quindi in ultima analisi se possano avere in qualche modo un valore predittivo) ai disturbi segnalati dai pazienti.
Lo studio successivo riguarda la storia naturale della lombalgia. Negli ultimi anni, si è affacciata la definizione di lombalgia come di una patologia ricorrente che smentisce almeno in parte molte delle affermazioni di autorevoli linee guida internazionali secondo le quali gran parte della lombalgia è autolimitata e autorisolventesi. Quest'indagine, durata 5 anni, ha voluto definire nel medio termine il decorso della lombalgia nella popolazione generale e le conclusioni degli autori sono estremamente interessanti e sicuramente un nuovo punto di partenza per ridefinire la storia naturale della lombalgia.
Gli ultimi due studi vertono sul problema della lombalgia negli adolescenti e sull'utilizzo degli zaini. Il loro inserimento ha due ragioni: la prima è che chi soffre di lombalgia inizia a farlo proprio nell'adolescenza, e quindi viene d'obbligo di dover porre uno sguardo anche in questa direzione; il secondo motivo è che i risultati dei due studi possono esserci d'aiuto per rispondere appropriatamente alle domande dei nostri pazienti (o dei loro genitori).

Significato delle dimensioni del canale vertebrale nel discriminare le ernie del disco sintomatiche da quelle asintomatiche.

Dora C et al. Eur Spine J 11: 575, 2002

I progressi nelle tecniche di diagnostica per immagini hanno consentito di indagare con notevole accuratezza le problematiche inerenti l'ernia discale. Con non poca sorpresa, diversi studi eseguiti con la risonanza magnetica (RM) hanno dimostrato che la prevalenza di ernie discali asintomatiche in volontari sani arrivava a percentuali comprese tra il 20 ed il 76%. Questo conferma che, di fatto, sebbene dai tempi di Mixter e Barr sia stabilito che alla base della sciatalgia ci sia spesso l'erniazione del nucleo polposo discale, la patogenesi del dolore sciatalgico rimane controversa ed allo stato attuale comprende una combinazione di fenomeni meccanici e biochimici. La bassa correlazione tra presenza di ernia del disco e sintomatologia sciatalgica lascia aperte diverse problematiche sulla appropriatezza delle attuali metodiche diagnostiche. Da quanto riportato in alcuni studi, è possibile che le dimensioni del canale vertebrale rappresentino un possibile fattore di rischio per lo sviluppo di sintomi legati all'ernia discale. Per coloro abitualmente coinvolti nell'attività clinica riguardante le patologie del rachide, l'associazione tra severità dei sintomi e ristrettezza del canale in presenza di ernia del disco è più di una impressione. Ciononostante la letteratura corrente ha sempre mancato di fornire prove definitive in questo senso. Infatti nei numerosi studi precedenti in cui era stata indagata la dimensione del canale spinale non c'erano mai stati dei confronti con un adeguato gruppo di riferimento di soggetti asintomatici sovrapponibili ai pazienti sintomatici.

Questo studio svizzero ha il pregio di aver voluto indagare le dimensioni del canale vertebrale in 30 pazienti con ernia del disco sintomatica e in 45 soggetti asintomatici di controllo perfettamente sovrapponibili ai pazienti per età, sesso e fattori di rischio occupazionali. Tutti vennero sottoposti a RM della colonna lombare da L3 ad S1 e le dimensioni del canale vertebrale vennero valutate come diametro sagittale e come area trasversale del canale vertebrale e del sacco tecale su immagini pesate in T2.

Oltre il 75% dei soggetti asintomatici risultò avere almeno un'ernia discale ad almeno un livello. A tutti i livelli esaminati i pazienti sintomatici mostrarono un diametro sagittale e un'area trasversale significativamente ridotte rispetto a quelle dei soggetti di controllo asintomatici. Tale differenza rimaneva anche dopo aver corretto i dati per sesso, età e dimensioni corporee. Gli autori riuscirono anche ad abbinare 21 coppie paziente-controllo in ciascuna delle quali sia il paziente sintomatico che il soggetto di controllo asintomatico avevano un'ernia discale delle stesse dimensioni. Anche in queste 21 coppie, le dimensioni del canale vertebrale dei pazienti sintomatici erano significativamente minori di quelle dei controlli asintomatici.

In pratica, sulla base dei loro dati gli autori conclusero che dimensioni del canale vertebrale di una deviazione standard inferiori alla media (circa 3 mm nel diametro sagittale, e 0,5 cm² di sezione trasversa) comportavano un aumento del rischio di avere una ernia del disco sintomatica da 1,4 a 5,9. Se le dimensioni del canale erano inferiori di due deviazioni standard, il rischio relativo aumentava di 35 volte!

Questo è il primo studio in cui vengono confrontati pazienti sintomatici e controlli asintomatici. Altri studi erano stati eseguiti in precedenza. Porter aveva studiato con gli ultrasuoni il diametro sagittale obliquo del canale vertebrale in 73 pazienti con ernia discale sintomatica e 200 pazienti asintomatici e aveva suggerito che la probabilità di avere sintomi era inversamente proporzionale alle dimensioni del canale ed in uno studio successivo aveva osservato che il 56% di 154 pazienti affetti da sintomi da ernia discale aveva delle dimensioni del canale vertebrale inferiore al 10 percentile. Heliovaara studiando le dimensioni del canale vertebrale con la radiografia tradizionale osservò che la distanza interarticolare della prima vertebra sacrale era inferiore nei soggetti con sciatica. In tutti gli studi precedenti però, non fu possibile il calcolo della sezione trasversa del canale vertebrale. Con la TAC, Fagerlund trovò una correlazione positiva tra il miglioramento del dolore sciatico e la riduzione delle dimensioni dell'ernia e Carragee e Kim trovarono che un basso rapporto tra emiarea discale e spazio residuo vertebrale era un indice prognostico favorevole.

Questo lavoro conferma le ipotesi precedenti e le convinzioni empiricamente radicatesi di chi pratica la clinica nelle patologie vertebrali: il rischio relativo che un'ernia discale sia sintomatica dipende strettamente dalle residue dimensioni del canale vertebrale. Pertanto rimane vero ciò che spesso osserviamo nella pratica clinica quotidiana: una grossa ernia discale che rimane asintomatica nell'ambito di un ampio canale vertebrale e una piccola protrusione discale che causa un significativo deficit neurologico in un canale stretto.

Rimane ancora da indagare il valore prognostico del rapporto volume dell'ernia - dimensioni del canale in relazione alla probabilità di dover ricorrere ad un trattamento chirurgico dell'ernia ed in relazione agli esiti a distanza dell'ernia stessa.


Associazione tra l'andamento della lombalgia e i riscontri alla risonanza magnetica lombare.

Videman T et al. Spine 28(6): 582, 2003

Questo studio si apre con una citazione da una pubblicazione del 1952 che afferma: "è un fatto impressionante che nella maggior parte di coloro che richiedono un trattamento per una lombalgia … a discapito della più accurata valutazione clinica, non possa essere evidenziata alcuna variazione patologica". Per gli autori, l'affermazione è ancora valida oggi. Sebbene la patologia discale sia indicata come la principale indagata per il mal di schiena, rimangono incerte le relazioni tra la sintomatologia e le alterazioni osservabili nei dischi intervertebrali. I dubbi nascono dall'osservazione dell'alta prevalenza di alterazioni discali in soggetti asintomatici. Per contro, vi sono numerosi studi che dimostrano questa associazione. In uno studio di Jensen eseguito con la RM, la prevalenza di protrusione discale era del 54% nei soggetti con mal di schiena e del 27% in quelli senza, e la prevalenza dell'ernia espulsa rispettivamente del 26% contro l'1%. In altri studi, le rotture dell'annulus erano associate al dolore lombare ed il 60% di coloro con rotture erano affetti da lombalgia contro il 21% di quelli senza mal di schiena.

Lo studio dell'associazione tra alterazioni patologiche dei dischi e mal di schiena è reso difficile da numerosi ostacoli. La concomitanza di differenti processi degenerativi (atrofici o proliferativi) può oscurare alcune associazioni, fattori concausali (per esempio l'intensità dell'attività lavorativa) possono incidere indipendentemente nell'indurre i sintomi, ed infine la componente psico-sociale gioca un ruolo rilevante nelle forme croniche. In questo studio, gli autori hanno cercato di correlare diversi riscontri osservati alla risonanza magnetica del rachide con misure del dolore lombare presente e pregresso cercando di controllare le altre maggiori potenziali variabili confondenti come il carico fisico. Gli autori hanno ipotizzato che l'inconsistenza spesso osservata tra i riscontri patologici osservabili in un dato momento e la presenza di lombalgia in quello stesso periodo dipendano dal fatto che mentre i riscontri patologici sono cumulativi nel tempo ed irreversibili, l'insorgenza del mal di schiena è ricorrente ed imprevedibile. Quindi sarà più probabile riuscire a correlare i riscontri patologici con la storia di lombalgia nell'arco di tutta la vita. Nello studio sono stati utilizzati 115 coppie di gemelli omozigoti che hanno permesso di controllare anche la variabile legata ai fattori genetici. I soggetti vennero sottoposti ad una intervista strutturata nella quale sono stati valutati: la presenza di lombalgia e l'occorrenza di lombalgia nell'ultimo anno e nel corso della vita, l'esposizione a condizioni di carico rilevante del rachide, e l'anamnesi su fumo, attività lavorativa, uso dell'auto ed attività del tempo libero. A tutti venne eseguita una RM del rachide con la quale sono state classificate: l'altezza dei dischi, la presenza di rotture, protrusioni o erniazioni del disco, le irregolarità dei piatti vertebrali e la presenza di osteofiti.

I due riscontri della RM che più si correlavano con la lombalgia sono risultati: l'altezza del disco intervertebrale e le rotture anulari. Dopo aver corretto per l'età, la riduzione di altezza del disco intervertebrale risultò correlata con tutte le variabili indagate della lombalgia: presenza odierna di lombalgia, un episodio di almeno 1 giorno nella vita di lombalgia, frequenza, intensità e disabilità, della lombalgia negli ultimi 12 mesi, massimo dolore nell'episodio peggiore, disabilità nell'episodio peggiore, sciatica. Le rotture anulari osservate alla RM erano associate con la frequenza e l'intensità della lombalgia negli ultimi 12 mesi. Entrambe erano associati con la frequenza nel corso della vita della lombalgia che interferisce con le attività quotidiane, con la disabilità e con l'intensità del peggior episodio.

Gli altri riscontri della RM non erano correlati con la lombalgia. Se i dati venivano corretti tenendo conto dei carichi fisici negli ultimi 12 mesi, si osservava un incremento dell'associazione tra rotture anulari e lombalgia attuale e parametri del dolore lombare negli ultimi 12 mesi.

Dopo aver corretto il dato per le influenze genetiche e familiari, nei gemelli omozigoti circa il 6-12% delle variabili della lombalgia erano spiegate dalle differenze nelle altezze dei dischi e nelle rotture anulari.

Questo studio ha due sostanziali meriti. Il primo è aver sostenuto che il dolore lombare và considerato in una prospettiva di lungo termine (come vedremo anche in uno studio successivo) ed eventuali alterazioni delle strutture anatomiche possono essere associate alla sintomatologia quando questa è considerata nel lungo periodo. Il secondo merito è nell'aver provveduto ad una efficace categorizzazione dei riscontri patologici alla RM e nell'aver contemporaneamente considerato le principali variabili confondenti o concomitanti, non ultima quella genetica.

Lo studio dimostra che indubbiamente riduzione dell'altezza discale e rotture anulari sono correlate a molti dei parametri clinici della lombalgia. In caso di presenza di una riduzione del disco, il rischio relativo di avere un episodio di lombalgia aumenta di 4.5 volte, di avere una maggior frequenza di episodi di 4,3 volte e di soffrire di disabilità nel corso del peggior episodio di 4,4 volte. L'intensità del dolore è collegata alla riduzione del disco con un aumento del rischio di 5,6 volte! Alla luce di questi risultati sarebbe interessante rivalutare con studi opportunamente disegnati, la capacità prognostica della riduzione dell'altezza del disco sulle radiografie tradizionali.

Decorso della lombalgia nella popolazione generale. Risultati da uno studio prospettivo di 5 anni.

Hestbaeck L et al. J Manipulative Physiol Ther 26: 213, 2003

Studio uscito su una rivista non proprio delle più acclamate e che invece merita particolare attenzione per il tema sollevato. La lombalgia comune è classificata sulla base della durata dei sintomi con il presupposto che la malattia abbia un decorso lineare ma molteplici studi epidemiologici hanno suggerito piuttosto che la lombalgia è una malattia ricorrente o meglio ancora, che sia caratterizzata da un andamento fluttuante piuttosto che da un decorso autolimitantesi. In diversi studi clinici si è osservato che dal 36% al 76% dei pazienti affetti da lombalgia andavano incontro ad una recidiva entro 1 anno e che episodi pregressi di lombalgia sono un importante predittore di episodi futuri. Gli autori, correttamente, si chiedono se sia opportuno che le linee guida sul trattamento della lombalgia basino le loro raccomandazioni principalmente sulla durata dei sintomi presenti. Per lo più, negli studi epidemiologici i tassi di prevalenza della lombalgia sono riportati a diversi intervalli ma senza un'analisi degli spostamenti dei singoli soggetti da un gruppo all'altro. Per esempio, Cedrashi e coll. riscontrarono che il 18% della loro popolazione di studio poteva essere etichettata come affetta da lombalgia cronica e che, tre anni dopo usando gli stessi criteri, la percentuale era del 19% ma che solo l'8% della popolazione poteva essere definita affetta da lombalgia cronica in entrambe le occasioni. In un altro studio di Waxman e coll. venne osservato come nell'arco di un periodo di tre anni, il 52% dei soggetti in studio erano affetti da lombalgia cronica ma solo il 36% di essi lo era in entrambi i periodi di osservazione. E' plausibile quindi che nell'arco di un periodo sufficientemente lungo di tempo si osservi una transizione di un certo numero di individui da uno stato di dolore ad un altro, vale a dire che chi poteva essere definito soggetto a lombalgia acuta in un certo punto di osservazione, anni dopo potesse essere definito come affetto da lombalgia cronica o viceversa. Inutile dire che questa possibilità avrebbe significative ripercussioni su un sistema di diagnosi e terapia che al presente si basa essenzialmente sulla classificazione dei pazienti in base alla durata dei sintomi. E le ripercussioni sarebbero tanto maggiori quanto maggiore la percentuale di pazienti che transita da una condizione ad un'altra.

In questo studio gli autori si sono posti l'obbiettivo di valutare il fenomeno della transizione dei pazienti lombalgici in un arco di tempo lungo. Nel 1991, un campione di 2000 individui rappresentativo della popolazione di soggetti adulti dai 30 ai 50 anni fu invitato a partecipare ad uno studio di 5 anni nel quale erano previsti 3 tempi di raccolta delle informazioni: all'inizio dello studio, dopo 1 e dopo 5 anni. Le informazioni vennero raccolte mediante un questionario che mirava a conoscere la durata della lombalgia nell'anno precedente al momento dell'indagine. Vennero stabilite 4 categorie: quelli asintomatici e coloro con durata del dolore da 1 a 7 giorni, da 8 a 30 giorni e superiore a 30 giorni. Dei 2000 selezionati, 1370 parteciparono allo studio e 813 vennero seguiti fino al 5° anno dello studio.

Circa metà dei partecipanti in ciascuno dei tre tempi dello studio riferì la presenza di lombalgia e dal 36% al 39% venne classificata come affetta da lombalgia per più di 30 giorni. Per quanto riguarda le transizioni da un gruppo all'altro, le categorie estreme risultarono le più stabili: il 45% dei soggetti asintomatici rimase nella stessa categoria nell'arco di tutto lo studio mentre per i soggetti con lombalgia superiore ai 30 giorni la percentuale era del 39%. Nei gruppi con durata della lombalgia tra 1 e 7 giorni e tra 8 e 30 giorni, le percentuali di pazienti rimasti nella stessa categoria erano del 13% e del 10%. Se questi due gruppi venivano accorpati, la loro stabilità cresceva al 38%.

Queste percentuali indicavano la presenza sostanzialmente di 3 gruppi di popolazione: gli asintomatici, coloro con dolore di breve durata e raramente ricorrente e coloro con dolore di lunga durata e frequentemente ricorrente.

Lo studio evidenziò una larga fluttuazione tra gruppi anche se il passaggio da un estremo all'altro era piuttosto raro: solo il 9% di coloro con dolore oltre i 30 giorni all'inizio dello studio erano classificati come asintomatici al 5° anno e solo il 13% di coloro asintomatici all'inizio avevano un dolore superiore a 30 giorni al 5° anno.

Quindi circa 1/3 della popolazione in studio rimase nella stessa categoria in tutti e tre i tempi di rilevazione. Al momento di ciascuna rilevazione la percentuale di soggetti con dolore di lunga durata e facile ricorrenza era dal 20% al 26% del campione, ma solo il 10% della popolazione risultò in questa categoria nel corso di tutti e 5 gli anni dello studio.

Questo studio non è esattamente una valutazione della storia naturale della lombalgia poiché i soggetti indagati sono stati liberi di sottoporsi a qualsiasi trattamento disponibile e il disegno dello studio mirava a non interferire con i loro comportamenti. Lo studio può essere definito la descrizione dell'andamento della lombalgia nella popolazione di adulti in un arco di tempo discretamente lungo, 5 anni. Le conclusioni sono che nell'arco di tempo indagato si è osservata una grande fluttuazione dei soggetti nei tre gruppi di durata della lombalgia e che solo 1/3 dei soggetti studiati è rimasto nell'ambito di un preciso gruppo. Questi risultati suggeriscono che la lombalgia sia una condizione caratterizzata da ampie fluttuazioni e variazioni al di là di quanto fino ad ora comunemente stimato dalla comunità scientifica, piuttosto che una entità con un orizzonte temporale ben delineato. I risultati sono in accordo con molteplici osservazioni sulla natura ricorrente della lombalgia ma sono in aperto disaccordo con la diffusa opinione che la maggior parte del mal di schiena sia benigno ed autolimitantesi.

Dallo studio emergono almeno due considerazioni finali. La prima è che sono necessari altri studi simili, distribuiti in un arco temporale di almeno 5 anni per confermare questi dati, studiare approfonditamente il fenomeno della transazione e comprendere il destino di ciascun paziente. La seconda considerazione è che se ulteriori conferme verranno le attuali categorie di pazienti sofferenti di lombalgia ed oggi etichettati come acuti, subacuti e cronici, dovranno essere rivisti alla luce della loro probabilità alla transizione. Infatti se in questo studio la percentuale di cronici è risultata intorno al 25% in ciascuno dei tempi di rilevazione, solo il 10% dei pazienti poi si è rivelato cronico nell'arco dei 5 anni. Questo vuol dire che il termine cronico va usato con cautela e che lo studio di coloro veramente cronici rispetto a coloro propensi alla transazione potrebbe fornirci utili informazioni diagnostiche, prognostiche e terapeutiche.

Il peso degli zaini e insorgenza di dolore cervicale, alle spalle e lombare.

van Gent C et al. Spine 28(9): 916, 2003

Il peso degli zaini scolastici ha attratto molta attenzione da quando è stato evidenziato che in un elevata percentuale di casi i bambini portano sulle spalle pesi che rapportati alla loro dimensione non sarebbero consentiti agli adulti, come ha dimostrato anche lo studio di Stefano Negrini (Lancet 1999, vol. 354, n. 9194, pag. 1974). Nel 1996, il Ministro dell'Educazione in Austria decise di vietare zainetti scolastici di peso superiore ai 10kg. Sebbene sia riportato che borse pesanti possano essere causa di dolore di schiena, ci sono pochi dati scientifici della relazione tra peso degli zaini e insorgenza di dolore di schiena negli scolari. La prevalenza del dolore alla schiena nei bambini e negli adolescenti è molto ampia nella letteratura e varia dall'8% al 74% ma è noto che il dolore alla schiena in giovane età rappresenta un fattore di rischio per l'insorgenza di lombalgia in età adulta.

I diversi studi disponibili hanno evidenziato numerosi fattori di rischio per il dolore alla schiena nei giovani, alcuni con una debole associazione come i fattori antropometrici, le anomalie radiologiche, il fumo, altre con un associazione più forte come il tempo speso davanti alla televisione, la partecipazione ad alcuni sport, l'età (più frequente ad età maggiore), il sesso (maggiore nelle femmine) e fattori psicologici.

Alcuni studi hanno osservato che il peso medio degli zaini scolastici variava da 4 a 7,7 kg. In uno studio olandese il peso medio era di 6,7 kg che corrisponde al 10-17% del peso medio di un bambino. Lo studio in esame ha come obbiettivo di valutare l'insorgenza di disturbi al collo, al dorso e alle spalle in ragazzi di età tra i 12 ed i 14 anni ed esaminare il ruolo dello zaino in termini di peso, tipo di zaino e modo di trasporto dello zaino stesso. Allo stesso tempo, gli autori hanno valutato anche gli altri maggiori potenziali fattori di rischio come età, sesso, classe, residenza, attività fisica, fattori psicosomatici, fumo, tempo passato davanti alla televisione e davanti al computer. La popolazione studiata attraverso un questionario erano le prime e seconde classi delle scuole superiori di due regioni olandesi. Settecentoquarantacinque alunni completarono il questionario e i loro zaini vennero pesati il giorno in cui c'erano il maggior numero di lezioni scolastiche. In questa popolazione di giovani adolescenti, dolori alla schiena, al collo o alle spalle vennero riportati nel 45% dei casi, e questo dolore veniva riferito come severo a livello di collo e spalle nel 6% dei casi e a livello della schiena nel 7% dei casi. Il peso medio degli zaini risultò piuttosto elevato: 7,4kg quello misurato all'intervallo delle lezioni e 7,8kg quello complessivo che comprendeva tutto ciò che gli studenti avevano portato da casa. Il peso medio complessivo degli zaini corrispondeva in media al 14,7% del peso corporeo relativo. In questo studio, quindi, quasi il 90% degli studenti portava uno zaino che superava il limite massimo del 10% del peso corporeo consentito in alcuni paesi come Austria e Germania. Non venne osservata invece alcuna correlazione tra il peso dello zaino e la presenza di dolore: vale a dire che coloro che lamentavano maggiori dolori al collo, alle spalle e alla schiena non portavano zaini più pesanti degli altri. Gli autori notarono che i ragazzi con corporatura minore tendevano a portare gli zaini ben indossati su entrambe le spalle e che coloro che utilizzavano modalità particolari di trasporto degli zaini erano anche coloro che lamentavano più frequentemente dolori. I fattori che maggiormente erano correlati con la presenza di dolore grave erano i fattori psicosomatici e la percezione soggettiva di un maggior peso dello zaino. I due punti più rilevanti di questo studio sono che un'elevata percentuale di giovani tra i 12 ed i 14 anni riferisce dolore al collo, alle spalle ed alla schiena e questo è un campanello di allarme per quella che potrà essere la loro condizione in età adulta, ed in seconda battuta che anche qui come negli adulti la percezione del dolore è mediata da fattori psicosomatici. Entrambe queste considerazioni portano ad una domanda: non varrebbe la pena inserire dei programmi di informazione, educazione e prevenzione nelle scuole?

Associazione tra uso degli zaini e mal di schiena negli adolescenti.

Sheir-Neiss GI et al. Spine 28(9): 922, 2003

Anche questo studio trasversale condotto in Delaware e Pennsylvenia si pone l'obbiettivo di valutare l'associazione tra l'uso degli zaini scolastici e il mal di schiena in una coorte di adolescenti partendo dal presupposto che diversi lavori nella letteratura hanno segnalato una associazione tra peso degli zaini e incidenza del mal di schiena. Questo studio si segnala per due caratteristiche: coinvolge 1126 ragazzi di età piuttosto varia (dai 12 ai 18 anni) e provenienti da 22 diverse scuole sparse su un area molto vasta differenti per collocazione fisica (singoli edifici o campus), tipologia di scuola (pubblica o privata) e politica dell'uso dello zaino durante il giorno (permessa o proibita).

Anche in questo caso, le informazioni sull'uso dello zaino, sulle attività e sulla salute vennero ottenute per mezzo di un questionario auto-amministrato. I dati su peso e altezza degli studenti vennero ottenuti dalle scuole e gli zaini vennero pesati con il contenuto che gli studenti abitualmente riportavano a casa. I 1126 studenti arruolati nello studio rappresentarono il 23,2% di tutti gli studenti contattati. Il 74,4% di loro riferì mal di schiena e coloro affetti da mal di schiena mostrarono, nelle domande sulla salute generale, una salute generale peggiore e una limitazione all'attività fisica in generale. Il mal di schiena risultò più frequente nel sesso femminile e significativamente correlato al grado di utilizzo dello zaino nelle precedenti 4 settimane: coloro che utilizzavano maggiormente lo zaino, riferivano più mal di schiena. In particolare, gli studenti che utilizzavano lo zaino per trasportare i libri nei cambi di classe durante il giorno, riferivano maggior mal di schiena. Anche in questo studio, più erano le ore trascorse in attività sedentarie (davanti alla televisione o al computer) maggiore era il mal di schiena. Inoltre, coloro affetti da mal di schiena erano in media più vecchi e con un maggior indice di massa corporea (cioè erano tendenzialmente più grassi). Infine, coloro con il mal di schiena portavano zaini più pesanti. In questo studio, il peso medio degli zaini era di 8,3kg e rappresentava mediamente il 14,7% del peso dello studente. Quasi l'80% degli studenti portava uno zaino con un peso che superava il 10% del proprio peso corporeo.

Quindi i risultati dello studio concludevano che gli adolescenti che più facilmente erano affetti da mal di schiena erano femmine, con un elevato indice di massa corporea, che trascorrevano molto tempo in attività sedentarie e che portavano zaini pesanti con maggior frequenza. Nelle scuole che proibivano l'uso dello zaino per lo spostamento da un aula all'altra durante il giorno, gli studenti avevano un minor rischio di incorrere in episodi di mal di schiena.

Altri studi della recente letteratura confermano l'associazione tra mal di schiena, peso relativo dello zaino e uso dello zaino emersi in questo studio, rafforzandone la validità. In questo studio, la prevalenza del mal di schiena risultò particolarmente elevata (74,4%): probabilmente, tenuto conto che solo il 23,2% degli studenti interpellati aveva poi deciso di prendere parte allo studio è possibile che ci sia stata una selezione di partenza che ha visto partecipare maggiormente quelli che erano in qualche modo affetti dal problema.

Comunque, questa selezione di partenza non ha avuto alcuna influenza sulla determinazione del rapporto tra mal di schiena ed uso e peso dello zaino. Gli autori sottolineano che negli adulti i fattori di rischio occupazionali nel sollevamento e nel trasporto dei carichi prendono in esame anche le modalità di sollevamento e trasporto. Anche negli adolescenti che hanno a che fare con il loro zaino scolastico si può immaginare che nel sollevamento e nel trasporto di questo siano implicati in varia maniera movimenti di flessione, inclinazione e torsione che rimangono ad oggi non esplorati.

Per concludere, anche alla luce di questo studio l'entità del problema mal di schiena negli adolescenti si rivela consistente. Il campione più ampio e più variabile ha permesso di accertare che peso ed uso dello zaino giocano un ruolo e che il peso relativo dello zaino rimane troppo elevato, se considerato con gli stessi standard che vengono applicati nella medicina del lavoro per gli adulti, per una percentuale troppo alta di adolescenti.

Giova ripetere che alla luce del fatto che il mal di schiena nell'adolescenza è un fattore di rischio per l'insorgenza di mal di schiena nell'età adulta, l'assunzione di una politica sanitaria accorta sull'uso degli zaini scolatici alla luce dei dati accumulatisi nella recente letteratura sarebbe un metodo efficace ed economico per la prevenzione di una delle patologie più frequenti.

 

Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.


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