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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del I fascicolo 2004

In breve dalla letteratura


Carlo Trevisan
Segreteria Scientifica

Salute e Funzionalità nei Pazienti con Scoliosi Idiopatica non Trattati. Studio di 50 anni sulla Storia Naturale.
Associazione tra il Polimorfismo del Recettore Estrogenico e la Gravità della Curva nella Scoliosi Idiopatica.
La Scoliosi Idiopatica Familiare. Evidenza di un Locus di Suscettibilità legato al Cromosoma X.

Tre lavori sulla scoliosi per questa prima rassegna breve della letteratura. Lavori di carattere generale, dall'ampio respiro. Nel primo si tratta niente di meno che di 50 anni di storia naturale della scoliosi. Tra il 1932 ed il 1948 vennero visitati al reparto di ortopedia dell'Università dello Iowa 444 adolescenti affetti da scoliosi idiopatica, molti dei quali non sono mai stati sottoposti ad alcun trattamento per la scoliosi. A distanza di 50 anni è stato possibile rivalutare 117 di questi per rispondere al quesito della reale morbilità e mortalità della scoliosi idiopatica. Gli altri due lavori hanno invece a che fare con i possibili meccanismi ereditari della scoliosi. Questo argomento può sembrare a prima vista piuttosto accademico e poco pertinente alla pratica quotidiana. In realtà, negli ultimissimi anni si è assistito ad una esplosione nelle capacità di indagine in campo genetico e molecolare. In molti campi della medicina queste tecniche hanno portato ad enormi progressi nella comprensione della genesi e dei meccanismi di malattia. Per molte malattie poco conosciute si sono scoperti i singoli geni e le relative proteine responsabili o corresponsabili delle alterazioni e con loro si sono scoperti anche meccanismi patogenetici ancora ignoti. C'è da sospettare che anche per quanto riguarda la scoliosi molte delle domande alle quali le indagini cliniche ed epidemiologiche non hanno dato ancora una risposta, verranno rivelate dalla biologia molecolare.

Salute e Funzionalità nei Pazienti con Scoliosi Idiopatica non Trattati. Studio di 50 anni sulla Storia Naturale.

Weinstein SL et al. JAMA 298: 559, 2003.

Si stima che tra l'1% ed il 3% della popolazione a rischio presenti un certo grado di scoliosi ma che la maggior parte di queste curve non richieda alcun trattamento. Alcuni studi precedenti a lungo termine hanno fatto pensare che tutti i tipi di scoliosi idiopatica portassero inevitabilmente ad una disabilità da rachialgia e ad una compromissione della funzionalità cardiopolmonare. In verità, questi studi erano viziati dall'inclusione di pazienti con scoliosi congenite, neuromuscolari o idiopatiche ad insorgenza precoce, la cui gravità e progressione sono molto differenti da quelle osservabili nella scoliosi idiopatica adolescenziale. Le possibili conseguenze di una malattia condizionano le strategie per la loro prevenzione. Pertanto, la storia naturale della scoliosi è di fondamentale importanza per dimensionare le politiche di screening e per giustificare l'intervento a forme aggressive di terapia come la chirurgia. Gli autori di questo studio hanno avuto la possibilità di recuperare e riesaminare 117 pazienti per i quali 50 anni prima era stata posta diagnosi di scoliosi idiopatica e che non erano stati sottoposti ad alcuna forma di trattamento. Gli autori sono riusciti anche a risalire al destino di gran parte dei 444 pazienti facenti originariamente parte di una serie consecutiva di pazienti osservati nel loro istituto. Le loro osservazioni consentono quindi di tracciare il destino della scoliosi idiopatica adolescenziale nell'arco di ben mezzo secolo. A questo punto, i 117 pazienti osservati erano suddivisi in 104 donne (89%) e 13 uomini (11%) ed avevano un età media di 66 anni (con un range da 54 ad 80). Le curve scoliotiche erano rappresentate da 48 curve dorsali (41%), 14 curve dorsolombari (12%), 32 curve lombari (27%) e 23 curve doppie (20%). L'entità delle curve scoliotiche dalla maturità scheletrica all'ultima osservazione (follow-up medio 51 anni, range 44-61) passò da 60° a 84° per le curve dorsali, da 44° a 90° per le curve dorsolombare, da 35° a 49° per le curve lombari e da 61° a 79° per le doppie curve. Complessivamente, solo le curve dorsolombari si sono avvicinate alla media di 1° all'anno suggerita per l'evoluzione delle curve scoliotiche dopo la maturità scheletrica.

La mortalità di questa coorte, pur considerando le incertezze dovute all'ignoto destino di alcuni di questi pazienti, non è risultata diversa da quella osservabile per una popolazione generale di pari età. Dei 36 decessi osservati negli ultimi 10 anni, solo 3 potevano essere potenzialmente attribuiti alla scoliosi, ma comunque nessuno dei pazienti aveva sviluppato un'insufficienza respiratoria come ci si sarebbe dovuto aspettare in relazione agli studi precedenti. L'esame clinico dei pazienti risultò nei limiti attesi tranne che per una ridotta espansibilità toracica. Il 79% di loro era in grado di piegarsi in avanti per toccarsi le caviglie a gambe tese e per il 91% di loro questo movimento non dava luogo a dolore. Per quanto riguarda la funzione polmonare, sebbene il 22% dei pazienti riferisse una tachipnea durante le attività quotidiane contro il 15% dei soggetti di controllo di pari età, la scoliosi non risultò associata con un rischio maggiore di asma, bronchite o polmonite. I pazienti con la scoliosi risultarono, comunque maggiormente affetti da lombalgia acute e croniche anche se in coloro con dolore non c'era alcuna differenza significativa in termini di durata ed intensità della lombalgia tra pazienti e controlli. Nella valutazione di 15 differenti attività della vita di tutti i giorni (salire su un auto, star seduti a lungo, salire e scendere le scale, fare il letto, far da mangiare ecc.) non si riscontrò alcuna differenza tra pazienti e controlli in termini di capacità anche se la frequenza di esecuzione era maggiore per i controlli. Nei pazienti era maggiore anche la percezione di essere disabili, riscontrabile nel 39% di loro confronto al 30% dei controlli mentre non c'era alcuna differenza per quanto riguarda la presenza di una depressione clinicamente rilevante. La soddisfazione del proprio corpo, misurata con apposita scala, risultò significativamente peggiore nei pazienti con scoliosi.

Le conclusioni dello studio partono dalla constatazione che la storia naturale della scoliosi varia in relazione all'eziologia e alla tipologia delle curve. Cinquant'anni di follow-up di questo gruppo di scoliosi idiopatiche adolescenziali non trattate non ha evidenziato alcuna prova di un incremento della mortalità generale o per cause cardiache o polmonari come suggerito in passato. L'insufficienza respiratoria e una morte prematura sono delle potenziali conseguenze della scoliosi ma non vi è alcun elemento in questo studio che possa far pensare che ciò sia frequente. Sebbene il mal di schiena sia risultato più frequente in questi pazienti, esso non sembra aver condotto ad una disabilità significativa e la capacità di eseguire le mansioni quotidiane non sembra averne risentito.

La lezione di questo gruppo di pazienti con una scoliosi non trattata seguiti a cadenza circa decennale nel corso di tutta la loro vita è che essi possono avere una vita funzionale normale come giovani adulti, possono trovare lavoro, sposarsi, avere dei figli e crescere per divenire degli adulti maturi ed attivi. Non si può disconoscere che nel tempo essi sviluppano una significativa deformità con risvolti cosmetici che non devono essere sottovalutati. La differenza nella storia naturale tra scoliosi ad insorgenza precoce (infantile) e tardiva (adolescenziale) è sostanziale, poiché dalla prima si possono avere gravi conseguenze per la sopravvivenza mentre dalla seconda ci si possono aspettare solo difficoltà relative al mal di schiena e alla deformità.



Associazione tra il Polimorfismo del Recettore Estrogenico e la Gravità della Curva nella Scoliosi Idiopatica.

Inoue M et al. Spine 27: 2357, 2002.

La possibilità di individuare le curve scoliotiche che progrediranno verso le forme più gravi è fondamentale nel trattamento della scoliosi e molti sono gli studi che hanno cercato di individuare i fattori di rischio per tale progressione.

Tra gli altri, diversi studi hanno suggerito che i fattori genetici giocano un ruolo importante nell'evoluzione delle curve ed altre ricerche hanno dimostrato che questa evoluzione risente della crescita e della maturazione sessuale.

A loro volta, crescita e maturazione sessuale sono condizionati da fattori genetici ed è stato accertato che l'età del menarca e l'altezza corporea sono sotto il controllo di diversi geni e dipendono dal loro "polimorfismo".
Il polimorfismo genetico è definito come il verificarsi, in una popolazione, di due o più fenotipi (o forme) geneticamente determinati con una frequenza tale che il più raro non può essere spiegato dall'occorrenza di mutazioni. Vale a dire che la differenza di forme che si osserva (per esempio il diverso colore dei capelli osservabile negli individui) non è dovuta a mutazioni spontanee ed occasionali nell'ambito del gene che determina il colore dei capelli ma alla reale presenza di diversi alleli (ovvero diversi geni, la combinazione dei quali produce tutte le possibili variazioni nel colore dei capelli osservabili negli individui).

Il recettore degli estrogeni (ER) è un recettore che si trova sulle cellule del tessuto osseo (osteoblasti ed osteoclasti). La sua mutazione può portare a patologie che determinano una perdita di osso e a ritardi nella crescita. Gli autori di questo studio hanno ipotizzato che il polimorfismo dell'ER possa condizionare l'attività degli estrogeni sullo sviluppo osseo e sessuale. Pertanto, le varianti del genotipo ER (ovvero i diversi alleli che possono essere responsabili delle diverse forme di recettore estrogenico che si possono incontrare nei diversi individui) potrebbero essere correlate alla progressione delle curve nella scoliosi idiopatica.

Per verificare questa possibilità, gli autori hanno seguito 304 ragazze affette da scoliosi idiopatica fino al termine della crescita ed hanno registrato altezza, apertura delle braccia, età al menarca, età alla maturità scheletrica, e gravità della curva che sono state correlate al polimorfismo di due siti genetici dell'ER (cioè due regioni del DNA in cui è scritta l'informazione genetica relativa al recettore degli estrogeni) studiato mediante PCR (amplificazione genica mediante reazione a catena della polimerasi). I genotipi osservati sono stati definiti XX, Xx ed xx. La maggior gravità media delle curve si osservò per i genotipi XX ed Xx, il rischio di evoluzione della curva (registrato come un incremento superiore a 5°) risultò maggiore per il genotipo Xx ed i pazienti con un genotipo XX o Xx mostrarono un rischio maggiore di essere sottoposti a trattamento chirurgico. Uno dei due siti di polimorfismo (il sito definito Xbal) risultò associato con la gravità della curva e quindi l'analisi del DNA con la metodica PCR potrebbe essere uno strumento di previsione della progressione della scoliosi.

Nello studio, venne riscontrata una significativa correlazione tra la gravità della curva e un'età del menarca superiore a 12 anni e un'età alla maturità scheletrica superiore ai 16 anni. L'interrelazione tra polimorfismo dell'ER e maturazione della crescita osservata in questo studio trova una ulteriore conferma in un caso segnalato in letteratura di una donna di 28 anni affetta da una mutazione nel gene dell'ER che mostrava la persistenza di una crescita ossea in età adulta associata ad un marcato ritardo di maturazione delle cartilagini di accrescimento. Nello specifico, per quanto riguarda la scoliosi idiopatica, lo studio dimostra che il gene dell'ER è associato anche all'evolutività e alla gravità della curva. Altri studi hanno dimostrato che il metabolismo della calmodulina influenza l'evolutività della scoliosi. I pazienti con livelli più elevati di calmodulina erano quelli con le curve più evolutive. E' noto che la calmodulina ha una affinità per l'ER e ne riduce la capacità di legare gli estrogeni. Quindi, in presenza di calmodulina, il recettore degli estrogeni legherà meno gli estrogeni. Se è vero, come sembra dai dati di questo studio, che il metabolismo degli estrogeni è un possibile fattore nella progressione delle curve scoliotiche, l'azione della calmodulina sull'evolutività si esplica proprio in virtù della sua azione sull'ER.

Riassumendo, lo studio delle variazioni geneticamente determinate del recettore per gli estrogeni ed altre informazioni presenti in letteratura portano ad ipotizzare che l'evolutività della scoliosi sia maggiore qualora l'attività estrogenica sulla maturazione scheletrica venga attenuata dalla tipologia del recettore estrogenico espresso dall'individuo (che può avere una maggior o minor affinità per gli estrogeni) o dalla azione antagonista della calmodulina.

Come si può dedurre dai risultati di questo studio, le tecniche di biologia molecolare possono far intravedere nuovi scenari patogenetici ed aprire la strada a potenziali strumenti predittivi del decorso clinico della malattia.

La Scoliosi Idiopatica Familiare. Evidenza di un Locus di Suscettibilità legato al Cromosoma X.

Justice CM et al. Spine 28: 589, 2003.

Sin dagli anni '30 è nota la familiarità della scoliosi idiopatica. La scoliosi si presenta con maggiore frequenza nelle famiglie dove si sono già registrati altri casi e questo depone per una ereditarietà della scoliosi. Nonostante queste evidenze epidemiologiche, confermate anche dagli studi sui gemelli omo- e di zigoti, le modalità di trasmissione ereditaria della malattia rimangono ignote. Diversi studi hanno suggerito una modalità di trasmissione autosomica dominante o legata al cromosoma X mentre altri hanno ipotizzato una modalità multifattoriale o poligenica.

Studi più recenti hanno confermato che, se non in tutte, almeno in una parte delle famiglie con scoliosi idiopatica un locus sul cromosoma X sembra essere coinvolto nell'espressione della malattia. L'eventuale identificazione di un locus genetico che predispone alla scoliosi consentirebbe una più profonda comprensione dei meccanismi di crescita e stabilizzazione del rachide e potrebbe condurre a migliori strategie di prevenzione e trattamento. Gli autori di questo studio hanno analizzato 202 famiglie nelle quali era presente una familiarità per scoliosi per un totale di 1198 soggetti. Di ognuno di essi è stato studiato il DNA allo scopo di identificare potenziali collegamenti genetici in uno o più loci genetici del cromosoma X. A tale scopo è stata usata un'analisi dei possibili collegamenti genetici indipendente dal modello di trasmissione ereditaria che ha indagato 15 marcatori (i marcatori sono piccole sequenze riconoscibili lungo il decorso del cromosoma) sul cromosoma X. La diagnosi di scoliosi è stata posta quando l'anamnesi, la valutazione clinica e l'esame radiologico anteroposteriore del rachide in ortostatismo confermavano l'esistenza di una curvatura laterale del rachide di almeno 10° Cobb con associata una rotazione vertebrale ed in assenza di deformità congenite. Questo approccio critico alla diagnosi e l'elevato numero di soggetti studiati ha superato molti dei limiti riscontrati negli studi precedenti, spesso inadeguati per numero di soggetti studiati e imprecisi nei criteri di identificazione della scoliosi.

Anche in questo studio, le famiglie interessate avevano numerosi membri affetti da scoliosi all'interno di ciascuna generazione e la modalità di trasmissione risultava essere autosomica dominante o legata al cromosoma X come osservato in precedenza. La trasmissione da maschio a maschio, presente in un numero limitato di famiglie, permetteva di escludere con certezza che in quella famiglia vi fosse la possibilità di una trasmissione legata al cromosoma X. Una volta escluse le famiglie in cui era assente con sicurezza una trasmissione legata al cromosoma X, l'analisi genetica ha permesso di individuare una ampia regione sul cromosoma X in prossimità del marker GATA172D05 collegata in modo statisticamente significativo con la trasmissione ereditaria della scoliosi. Una successiva fine mappatura della ragione in questione ha confermato la sua validità come regione contenente i geni che predispongono alla scoliosi. La regione così delimitata consiste di circa 4 milioni di basi appaiate (il DNA è una lunga catena di basi appaiate che rappresentano l'informazione per codificare le proteine) le quali contengono geni che regolano le interazioni cellulari nell'ambito della matrice extracellulare dei tessuti nervosi. Detto in altre parole, la maggior parte dei geni di quella regione serve a codificare (leggi produrre) proteine del tessuto nervoso che si collocano nel materiale presente tra le cellule e ne regolano i rapporti. In questa regione ci sono anche altri geni. Il primo di questi è quello che codifica una proteina simile alla cordina che si è molto preservata nel corso della filogenesi e la cui funzione è nota nel pesce zebra ove svolge un ruolo di regolazione della morfogenesi dello scheletro assiale attraverso l'azione di un importante fattore di crescita osseo, la BMP. Altri geni sono quelli per due delle catene animoacidiche del collagene di tipo IV, definite COL4A5 e COL4A6. Il collagene di tipo IV è un componente della membrana basale di molteplici tessuti mesodermici e le mutazioni genetiche che lo interessano determinano malattie quali alterazioni renali, l'ematuria familiare benigna e la leiomiomatosi diffusa.

Sulla base dei dati di questo studio si possono intravedere alcune ipotesi per l'eziopatogenesi della scoliosi. Essa può essere determinata da diversi possibili alterazioni genetiche. Infatti, l'esistenza di almeno due diverse modalità di trasmissione ereditaria fa intendere che ci sono differenti regioni cromosomiche portatrici di possibili mutazioni responsabili della scoliosi. Questo avviene ed è già stato dimostrato per altre malattie come per esempio per l'osteogenesi imperfecta nella quale vi sono 4 varianti possibili determinate da due differenti alterazioni a livello della sintesi del collagene di tipo I. In questo studio è stata individuata una precisa regione del cromosoma X collegata all'insorgenza della scoliosi. I geni presenti in questa regione sono coinvolti in diverse funzioni tutte potenzialmente collegabili allo sviluppo del rachide. L'individuazione del gene o dei geni direttamente responsabili consentirà di tracciare almeno qualcuno dei possibili scenari patogenetici responsabili di questa deformità vertebrale.

Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.


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