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I Punti di Vista


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

 

Indice



Il punto di vista di Sibilla

Uno studio comparativo dei corsetti TLSO, Charleston e Milwaukee per la scoliosi idiopatica
Estratto da: Howard A, Wright JG, Hedden D. A Comparative Study of TLSO, Charleston, and Milwaukee Braces for Idiopathic Scoliosis. Spine 1998: 23(22); 2404-11 (Referenze Bibliografiche n.27).

Studio molto ben condotto pur con tutti i limiti che comporta un'indagine di questo tipo.

Spesso infatti le variabili possono essere poco assimilabili e lo studio di ogni singolo effetto da esse dipendenti può essere più fuorviante che chiarificatore.

Sono presi in considerazione infatti tre generi di corsetto quello “a spinta” il T.L.S.O., quello a stimolazione propriocettiva, il Milwaukee e quello notturno a deflessione il Charleston.

Vale la pena di aprire una parentesi su quest'ultimo in quanto è un epigono delle docce gessate notturne e dei lettini di reclinazione che emergono dalla notte dei tempi e che sono stati abbandonati da tempo perchè considerati inefficaci. Solo in Germania, per quanto ne so, sono ancora prescritti lettini gessati in deflessione, con la sponsorizzazione di note case produttrici di bende gessate.

Era ovvio che con un minimo di conoscenza storica dell'evoluzione del trattamento ortopedico della scoliosi il Charleston fosse il corsetto che dovesse dare minore affidabilità.

E non solo per questo motivo,

E' noto infatti che una ortesi agisce sulle vertebre di controllo della postura, sia in via diretta, vedi lo schema a blocchi da noi (bioingegneri ed ortopedici) messo a punto sin dal 1972, dal quale si evince che un effetto di controllo sul sistema meccanico o muscolare è legato ad un feed-back con i centri superiori per input da modificazioni che partono dal sistema meccanico stesso (applicazione di ortesi); sia per via indiretta per attivazione dei sistemi sensoriali e di controllo di singoli segmenti.

Una deflessione perciò, senza spinte (attivazione meccanico-attiva) non può portare ad una correzione, nè ad una stabilizzazione della correzione stessa.

Per questo motivo, infatti, non abbiamo mai prescritto corsetti tipo Charleston.

E sempre per questa ragione, la cui pratica operativa abbiamo visto suffragata da notevoli successi nel trattamento ortopedico delle deformità, abbiamo limitato l'uso del corsetto di Milwaukee, come del resto era già stato indicato nel Congresso di Norimberga del 1988, per soggetti dai 18 mesi di vita ai primi 4-5 anni di età e per curve con apice superiore a T5.

Il T.L.S.O., per quanto non certo assimilabile come azione correttiva a corsetti come il Lionese o lo Chêneau, rimane l'unico che dia dei risultati statisticamente validi.

E' interessante notare come in questo lavoro sia previsto l'intervento a tempo parziale ed è pure notevole l'affermazione che un buon risultato della terapia è prevedibile sin dai primi mesi.

Ora questi sono i cardini della terapia ortopedica che viene da noi effettuata. Bisogna ottenere un risultato favorevole nei primi 6 mesi di terapia e l'ortesi va indossata a tempo scalare in accordo con i risultati ottenuti e con l'incremento della maturazione ossea.

Ribadiamo un concetto che abbiamo espresso più volte sia pubblicamente che per iscritto: una terapia ortopedica ben condotta DEVE portare a risultati positivi.

Per ben condotta si intende iniziata il tempo giusto e con le ortesi adeguate (ricordando che non si può trattare tutte le scoliosi con un unico tipo di ortesi), controllare che l'uso delle stesse sia corretto, in particolare per quanto riguarda l'efficacia delle spinte e la temporizzazione nell'uso, sempre per ore consecutive.

Portare un corsetto 21 ore su 24 significa che va indossato per 21 ore consecutive (senza pause pranzo, come spesso si sente consigliare) e tolto poi 3 ore consecutive (e non frammentate). Nelle 3 ore che il corsetto viene tolto il soggetto può praticare anche sport agonistico senza nocumento per l'evoluzione della terapia. Ricordiamo a questo proposito quanto diceva Stagnara: “Lo sport è il fronte attivo della riabilitazione”.

Da ultimo una annotazione che fa rilevare come in Italia, nel settore delle prescrivibilità delle ortesi, le cose non vadano poi così male al confronto degli U.S.A., dove un corsetto viene corrisposto dalle Assicurazioni per il 75% solo se usato a tempo pieno. Ciononostante ancora troppe sono nel nostro paese le ortesi mal realizzate.

E questo è una delle poche situazioni in cui non potremo dire che l'erba del vicino è sempre più verde.

La “ciofechizzazione” delle ortesi è purtroppo un fenomeno su scala internazionale.

E' triste constatare che chi ne soffrirà saranno i pazienti.



Il punto di vista di Boccardi

Uno studio di controllo a cinque anni di una sperimentazione clinica controllata che utilizza la mobilizzazione leggera ed un approccio informativo alla lombalgia
Estratto da: Indahl A, Haldorsen EH, Holm S, Reikerås O, Ursin H. Five-Year Follow-Up Study of a Controlled Clinical Trial Using Light Mobilization and an Informative Approach to Low Back Pain. Spine 1998: 23(23); 2625-30 (Referenze Bibliografiche n. 35).

Un altro ottimo lavoro che ci viene dalla Scandinavia. Come gli altri, molto corretto nella impostazione e nella conduzione della ricerca: numero di soggetti in esame adeguato, controllo, randomizzazione inappuntabile, cieco ove occorre, omogeneità nell'intervento, soddisfacente raccolta dei dati e analisi statistica adeguata.

E finalmente un importante contributo alla conoscenza degli effetti a distanza dei programmi informativi che sembra abbiano conquistato negli ultimi anni un posto di primo piano nella presa in carico dei pazienti affetti dal LBP. Tra le molte perplessità che circondano e in qualche modo ostacolano la diffusione delle back school, quello della verifica dei risultati a distanza di tempo dalla partecipazione alla scuola è un punto particolarmente caldo, insieme con quello della capacità del paziente di perseverare, una volta finita la scuola, nei programmi di esercizi proposti e nell'obbedienza alle regole ergonomiche imposte.

Sono molti i punti di interesse che emergono dalla lettura del lavoro. Originale e a mio parere molto indovinata la scelta dell'indicatore della validità a lungo termine del programma, indipendente dall'interpretazione, necessariamente soggettiva, del paziente: la storia lavorativa del soggetto come documentata dai certificati di malattia degli uffici della National Insurance.

La durata del dolore scelta per definire il paziente “subcronico” coincide con la maggior parte dei casi che si rivolgono agli ospedali e ai centri per trattamento. La batteria di test cui sono stati sottoposti i soggetti da inserire nel gruppo “trattato” è molto ricca, e copre i più importanti aspetti psicologici e attitudinali, la cui importanza nella genesi del LBP è oramai ampiamente dimostrata.

Certamente scioccante, per molti, la modestia delle dimensioni dell'intervento informativo della miniback school: due ore di incontro collettivo, una di incontro individuale, e due “richiami” dopo tre mesi e un anno. Ma molto pertinente ed efficace la scelta dei contenuti dell'informazione, e, sicuramente l'autorevolezza e la chiarezza con cui venivano forniti. Importante anche la scelta di dare consigli ragionati, e non impostazioni ergonomiche, che spesso vengono presto rifiutate per il loro sapore vincolante e contribuiscono non poco alla cattiva compliance di buon parte dei fruitori delle back schools. E naturalmente del tutto condivisibile l'enfasi posta sulla necessità di una leggera, ordinata attività.

I risultati sono confortanti oltre ogni aspettativa, e ribadiscono l'importanza di creare nel soggetto in trattamento una coscienza e una comprensione dei suoi problemi che gli permettono di sviluppare nel tempo una “esperienza positiva” molto efficace. E' quello che ogni buona scuola per il LBP si deve proporre, ma che spesso viene seppellito sotto una serie di consegne molto difficili da rispettare.

Curiosa e degna di riflessione l'influenza sui risultati del numero di figli, anche per quanto riguarda gli uomini.

Sarebbe molto interessante ripetere in Italia la ricerca norvegese. E' probabile che alcune delle nostre caratteristiche, e in particolare la non grande fiducia sia nella possibilità di autocontrollo della situazione che nella capacità di risolvere i nostri problemi, rendano meno probabile un risultato così favorevole. Ma non si sa mai.


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