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I Punti di Vista


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

 

Indice



Il punto di vista di Boccardi

Efficacia della trazione nel mal di schiena non specifico
Beurskens AJ e al. - Spine 1997: 22(23); 2756-62.

Ecco una ricerca fatta come Dio comanda sulla scelta degli obiettivi, nell'impostazione e nella conduzione: selezione dei pazienti, criteri di inclusione e di esclusione, rispetto del cieco, valutatore esterno, criteri di valutazione numerosi e per quanto possibile attendibili (cosa sempre molto difficile quando uno degli elementi predominanti è il dolore), follow-up accurato, considerazione del fattore abbandono dell'esperimento, analisi statistica esauriente dei dati. E' di studi come questi che ha bisogno come del pane la disciplina riabilitativa oggi, che tanto fatica a sciogliersi dai lacci di una tradizione empirica che la pone purtroppo, in diretta contiguità, con le "medicine alternative" a più sfacciata connotazione truffaldina: la cui diffusione è stranamente in aumento di questi tempi, quando lo schiacciante predominio della tecnologia e della "scienza" dovrebbe relegare nella più profonda oscurità ogni intervento cui ragione, conoscenza e, forse ancor prima, buon senso rifiutano ogni attendibilità.

E peccato che da tanto apprezzabile sforzo venga tratta una cruda conclusione, purtroppo sempre più frequente da quando l'efficacia delle tecniche fisiatriche viene sottoposta ad accurata valutazione: "i risultati della ricerca non supportano l'affermazione che la trazione sia efficace per i pazienti con lombalgia".

Onestamente, già Levernieux, uno dei propugnatori dell'utilizzazione delle trazioni nella lombalgia e ideatore di uno dei più noti tavoli di trazione, si limitava nel lontano 1965 ad affermare, a mio parere, senza troppa convinzione, che nella lombalgia la trazione, eseguita secondo le sue regole della non lentezza, della progressività e della regolarità, è "una buona indicazione", soprattutto quando le radiografie mostrano un conflitto discolegamentoso (sic), e poco funziona nelle lombalgie "statiche" e peggio nelle lombosciatalgie. E metteva in guardia contro possibili peggioramenti della sintomatologia.

Sarà interessante vedere come la comunità fisiatrica, grande consumatrice di queste metodiche, e le ditte produttrici di sempre più sofisticate e costose apparecchiature di trazione accetteranno queste conclusioni o si affretteranno, come sarebbe logico presumere facciano, a falsificarle con studi altrettanto corretti. O fingeranno di ignorarle, come purtroppo quasi sempre avviene.


Il punto di vista di C Manniche
Spine Clinic, Ringe Hospital, Ringe, Denmark

Allenamento attivo precoce dopo discectomia lombare
Kjellby-Wendt G, Styf J. - Spine 1998: 23(21); 2345-51.

Negli ultimi 20 anni sono stati pubblicati molti studi riguardanti i risultati a lungo termine della discectomia lombare per prolasso discale. Circa il 20-30% dei pazienti riporta un notevole dolore alla schiena o alla gamba come pure una riduzione delle capacità lavorative. Queste cifre indicano che il prolasso discale lombare è una patologia seria e che la discectomia non garantisce affatto una guarigione completa dai sintomi.

Questi risultati deludenti hanno portato i chirurghi a ricercare nuovi metodi diagnostici per aumentare la validità dei criteri di indicazione preoperatoria. Sono state affinate anche le tecniche chirurgiche. I ricercatori hanno raramente indagato sulla possibilità di migliorare il trattamento postoperatorio per migliorare i risultati a lungo termine.

Kjellby-Wendt e Styf hanno indagato in modo riuscito l'effetto della riabilitazione postoperatoria in uno studio randomizzato. Lo studio dimostra che la riabilitazione migliora il risultato clinico nei pazienti che sono stati sottoposti a intervento chirurgico e sottolinea l'importanza di dare consigli corretti ai pazienti. Non si dovrebbe consigliare ai pazienti di evitare l'attività poiché può essere "pericolosa", dando loro una lunga lista di attività proibite. Invece, si dovrebbe insegnare ai pazienti a riprendere uno stile di vita attivo il prima possibile e ad iniziare un programma di riabilitazione progressivo che includa un allenamento della forza, della resistenza e della coordinazione dei muscoli del tronco e degli arti.

I risultati dello studio di Kjellby-Wendt e Styf chiariscono il fatto che non ci si dovrebbe aspettare risultati conclusivi in uno studio randomizzato su diversi regimi di trattamento con una "differenza clinica stimata minimamente rilevante" del 20-30%, a meno che non siano stati inclusi nello studio un minimo di 60-80 pazienti per gruppo.

Mi auguro che questa importante area di ricerca venga ulteriormente indagata in futuro da diverse équipe di ricerca, poiché esistono molti pazienti e molti argomenti che devono essere indagati. Eccone alcuni:

Bisogna utilizzare programmi di attività generale o programmi di allenamento specifici?

E' più efficace un allenamento individuale o un allenamento in gruppo?

Come viene garantita l'adesione del paziente al programmi di esercizi?

La riabilitazione postoperatoria riduce l'incidenza di nuovi prolassi?


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