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I Punti di Vista


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Il punto di vista di Boccardi

Un esperimento controllato di un opuscolo atto alla prevenzione della disabilità dopo una lesione lavorativa al rachide lombare
Estratto da: Hazard RG, Reid S, Haugh LD, McFarlane G. A Controlled Trial of an Educational Pamphlet to Prevent Disability After Occupational Low Back Injury. Spine 2000: 25(11); 1419-23 (Referenze Bibliografiche n. 52)

Le informazioni e i consigli a pazienti con mal di schiena possono avere un effetto positivo. Un esperimento controllato e randomizzato di un nuovo opuscolo educativo sulla cura di base
Estratto da: Burton AK, Waddell G, Tillotson KM, Summerton N. Information and Advice to Patients With Back pain Can Have a Positive Effect. A Randomized Controlled Trial of a Novel Educational Booklet in Primary Care. Spine 1999:24(23); 2484-91 (Referenze Bibliografiche n. 40).

Nei primi anni 70, nel nostro istituto di Fisioterapia dell'Ospedale San Carlo di Milano, Alberto Lissoni ha organizzato quello che per quanto ne so è stato uno dei primi tentativi italiani di Back School: era dedicato al personale infermieristico dell'Ospedale. Ci avevano convinti dell'opportunità dell'iniziativa le sue premesse teoriche e i primi risultati che venivano dalla Svezia e dagli Stati Uniti e, non poco, la prova quotidiana della sostanziale inutilità soprattutto ai fini della prevenzione della cronicità, delle infinite terapie strumentali e cinesiterapiche allora, e purtroppo ancora oggi, in uso. Da allora la pratica delle back schools si è imposta rapidamente in tutto il mondo, a riprova della ubiquitaria insoddisfazione dei medici e dei pazienti nei confronti delle terapie convenzionali: la stessa spiegazione, d'altra parte, della diffusione delle terapie alternative, nonostante l'evidente inconsistenza teorica e la mai provata validità pratica della stragrande maggioranza di esse. Rispetto alle quali l'impostazione all'origine delle back schools può rivendicare una meno generica e più 'scientifica' attenzione alle reali esigenze del paziente, e soprattutto al suo comportamento nei confronti della sintomatologia dolorosa. E negli ultimi venti anni sono piovute centinaia di indagini e di lavori a sostegno dell'efficacia della back school nel trattamento delle lombalgie 'banali': tra l'altro un'ottima rassegna a cura dell'Unità di lavoro sull'ergonomia della postura e del movimento (EPM) di Milano. Restano dei dubbi su che tipo di back school attivare (ogni gruppo ha praticamente la sua ricetta) e su come dare al paziente le informazioni che sono alla base della sua efficacia, perché vengano comprese e memorizzate: la 'rassicurazione psicologica' e la prevenzione di nuovi eventi dolorosi sono il cardine comune a tutte le varianti. Ai due estremi, da un lato l'opzione 'medica' con vere e proprie lezioni di anatomia e patologia della colonna e avvertimenti su posture e movimenti da evitare, di solito corredati da una serie più o meno lunga di esercizi sotto la sorveglianza diretta di un fisioterapista; dall'altro l'opzione 'psicosociale', con il tentativo di modificare l'atteggiamento del paziente rispetto alla sua disabilità, per lo più attraverso informazioni e consigli raccolti in un libretto (ne esistono centinaia, in letteratura) che a fine scuola viene consegnato all'allievo: che non si sa mai se lo leggerà in seguito. In questo caso, l'aspetto 'medico' del problema viene messo più o meno in secondo piano: fino alla esclusiva lettura due volte alla settimana di letture bibliche consigliate da Dablin.

Anche noi ci siamo chiesti spesso se i risultati negativi (e ce ne sono) delle nostre back schools non dipendessero da quali notizie vengono fornite e da come vengono fornite. E se in molti casi lo 'show down' nel gruppo dei problemi di ogni singolo partecipante non frustrasse tutto il lavoro fatto per contrastare l'effetto delle etichettature mediche e soprattutto radiologiche, per lo più incomprensibili dal paziente e pertanto ancor più dannose. E se il paziente che oggi viene a farsi visitare senza un adeguato corredo di radiografie e di relativi in genere per lui catastrofici referti è oramai un vera rarità. JK Jerome, alla lettura di un libro che elencava i sintomi delle affezioni, si accorgeva di averle tutte, tranne il ginocchio della lavandaia.

Il lavoro pubblicato in Spine che si giova dell'autorevolissimo contributo di Waddel, uno dei pochi che delle lombalgie hanno capito tutto, a questo proposito è molto importante e consolante. Con una metodica di indagine inappuntabile dimostra che una presentazione selezionata di informazioni e consigli sul dolore lombare può essere molto importante ai fini della percezione del suo problema da parte del paziente e dei risultati a distanza, se orientata alla prevenzione dei comportamenti di evitamento delle attività per paura (che peccato non avere in italiano un equivalente dell'espressivo 'fear-avoidance') e delle preoccupazioni per il futuro ("dottore, finirò in carrozzina?"). Ancora con una espressione difficilmente traducibile, poca 'cure' e più 'care', meno avvertimenti in negativo e più sollecitazioni in positivo.

P.S. Peccato che, sempre su Spine, sia comparso un altro lavoro, tradotto su questo numero del Fascicolo, che nega l'efficacia di una informazione basata su questi principi agli effetti della ripresa del lavoro in soggetti lombalgici. Uno spunto di riflessione può essere offerto dalla ricerca di Cherkin, citata nel lavoro di Burton, che dimostra che una seduta di 15 minuti con una infermiera 'educativa' dà risultati migliori della semplice lettura del libretto. Tutti i programmi delle back schools italiane contemplano un primo tempo di sedute di gruppo con un medico o un terapista che debbono dare le informazioni previste. E' probabilmente a questo livello, con la presenza già di per sé coinvolgente dell'operatore sanitario e la possibilità di ribadire i concetti e di rispondere agli eventuali dubbi dei pazienti, che si potrebbe realizzare il rinforzo necessario al recepimento delle informazioni. La scelta delle quali, e la loro traduzione in consigli efficaci, deve essere allora più calibrata e meno suscettibile di offrire pretesti iatrogeni al cronicizzarsi della disabilità. Così il medico potrebbe nobilitare il suo ruolo di 'medico placebo', tanto avversato dai documenti ufficiali dell'OMS.

Diamoci da fare, raccogliamo dati affidabili e diffondiamoli: i mezzi oggi non mancano.


Il punto di vista di Boccardi (in calce all'articolo)

L'indignazione di Immelmann

Estratto da: Rothstein JM. Immelmann's Indignation. Physical Therapy, 1999: 79(11); 1024-25.

Eccomi qui, a badare ai miei affari, a lavorare tranquillamente nel mio ufficio, quando entra Immelmann. Immelmann è il mio amico immaginario. Mi ha fatto molte visite negli ultimi tempi. Potrebbe sembrare un poco bizzarro, ma non c'è un miglior riscontro della realtà che discutere le cose con amici immaginari, che non se ne vanno mai nel bel mezzo di una discussione. Immelmann vuole sempre discutere di questioni vitali per la fisioterapia, persino quando io non voglio. Ma quando parliamo, tutto quello che lui fa è brontolare: "Non è logico".
Ora, prima che vi allarmiate di fronte alla prospettiva di un direttore che conversa con amici immaginari, tenete bene in mente che anche Hillary Clinton, secondo quanto si dice, ha cercato consiglio da Eleanor Roosevelt, e che Richard Nixon ha evidentemente avuto lunghe discussioni con i ritratti appesi alle pareti della Casa Bianca.
Se non volete ascoltare il mio amico, potete smettere di leggere ora, ma se scegliete di proseguire la vostra lettura, dovete sapere che Immelmann dice quello che pensa e che può essere brutalmente onesto.
Immelmann è ben informato circa lo stato della fisioterapia. È stato scioccato e rattristato quando ha sentito che in America ci curiamo così poco delle persone malate e disabili da tagliare le spese per il loro benessere con la scusa di bilanciare il budget. È stato ancora più scioccato quando ha saputo che gli HMO (Health Maintenance Organisation) sono presi in considerazione più per i loro profitti che per i loro servizi. Lui ricorda come il loro obiettivo originario fosse quello di tagliare i costi attraverso una prevenzione attiva e una promozione sanitaria, ed è costernato di scoprire questo attivismo rimpiazzato da un sistema che si concentra più sulla limitazione dei costi e non sulla espansione della cura sanitaria. L'idea di una cura gestita e di pagamenti futuri è sempre stata per lui interessante, fino a quando ha visto che quella che viene pomposamente chiamata "cura gestita" è in realtà una "gestione dei conti".
Il mio amico mi conforta con osservazioni come questa: "Voi terapisti siete bravi ragazzi, e fate ancora fantastiche cose. Ma io sento molto dire che la vostra categoria è avida. È una vergogna". Mi chiede che cosa potremmo fare per assicurare che i pazienti ricevano una cura di qualità e nello stesso tempo cosa fare per invertire la tendenza depressionaria nel mercato del lavoro. Senza perdere un secondo rispondo: "Dimostrare l'efficacia delle nostre cure". Spiego che se noi potessimo dimostrare senza ombra di dubbio i benefici dei nostri servizi in termini di qualità della cura, risultati e costi, la gente starebbe a sentire. Saremmo allora nella migliore posizione possibile per discutere dell'espansione dei nostri servizi e dell'eliminazione dell'arbitrio.
Immelmann inizia a esaminare accuratamente una pila di pubblicazioni sul tavolo vicino alla mia scrivania. Di tanto in tanto esclama "Wow!", "Fantastico!". "Beh? Cosa c'è di tanto fantastico?" gli chiedo.
Lui indica le inserzioni pubblicitarie per l'aggiornamento continuo. "Il problema è risolto!" dice allegramente. "Guarda tutte queste persone che tengono lezioni su ogni tipo di malattia e che credono nelle loro strategie per il trattamento dei pazienti. Questa gente avrà certamente delle prove; dopotutto, la maggior parte di essi tiene questo tipo di corso da anni e si fa pagare profumatamente".
"Ma quei corsi non sono basati sui dati", gli spiego. "Essi consistono quasi esclusivamente di persone che esprimono le loro opinioni circa il loro metodo di cura, dopo che hanno posto qualche fondamento alle loro convinzioni."
"Mi stai prendendo in giro, vero?" Gli assicuro di no.
"E allora cosa mi dici di questa APTA (American Physical Therapy Association), mi chiede. "Di sicuro quando presentano un corso, controllano se ci sono dei dati. Di sicuro controllano se chi parla ha delle prove, cercano che cosa ha pubblicato nei giornali "peer-reviewed" (n.d.r.: con processo di revisione alla pari)".
"Quasi mai", devo ammettere.
In questo caso, durante i corsi affermeranno chiaramente che non ci sono prove, o no?" "No!" dico, sprofondandolo sempre più nella depressione.
"Fammi capire bene. Ognuno sembra essere d'accordo sul fatto che la vostra professione stia attraversando momenti difficili, e lo stesso vale per i vostri pazienti e per i vostri clienti. Molto dipende dal fatto che tanti vostri clienti si rifiutano di pagare servizi scadenti, ma anche che voi non siete in grado di fornire servizi di qualità necessari per i vostri pazienti. Nonostante questo, comunque, alcuni dei vostri colleghi vogliono insegnare a voi ulteriori trattamenti. Questo non è logico, e nemmeno etico o morale. I terapisti si lamentano perché non hanno né il tempo né il sostegno per i trattamenti esistenti, ma vanno ai corsi per imparare nuovi trattamenti, che potrebbero essere peggiori di quelli che già forniscono! L'apprendimento di nuovi trattamenti che non sono supportati dall'evidenza non ha senso."
"Ma allora, cosa sarebbe logico, etico e morale?" domando al mio amico.
"Privare la gente di una cura di qualità chiaramente non è etico. Di conseguenza, se voi credete veramente di poter aiutare la gente con nuovi metodi, la vostra responsabilità non finisce con la partecipazione ai corsi. Nel mondo di oggi, credere che qualcosa sia migliore per i pazienti è insufficiente. Dovete appendere qualcosa di più delle tecniche e della filosofia che vi insegnano nel "circuito commerciale" dell'educazione continua. Dovete dare prove ai pazienti, cosicché a questi ultimi possa essere permesso di utilizzare con le necessarie garanzie questi nuovi trattamenti apparentemente eccezionali. Un fallimento nel raccogliere le prove è lo stesso che tenere segreto un trattamento efficace o insabbiare la notizia della pericolosità di un trattamento. Coloro i quali credono di avere tecniche e strategie migliori, dovrebbero starsene a casa e raccogliere prove. Una volta che le avranno ottenute, allora potranno tenere dei corsi".
Anche se molti di noi sono stati frustrati dai continui mercanti dell'apprendimento, Immelmann pensa che noi dovremmo andare un passo più avanti. Lui non usa praticamente dirlo, ma sembra volere che noi evitiamo le persone che non ritengono di loro responsabilità ricercare l'evidenza. Lui crede che la nostra attuale crisi mostrerà chi veramente tiene alla professione e ai nostri pazienti, e chi la pratica solo per i soldi o per ambizione.
Ma possiamo davvero aspettarci che i terapisti boicottino i corsi non basati sull'evidenza? Possiamo aspettarci che il comitato di programmazione dell'APTA inviti solo oratori che hanno adempiuto la loro responsabilità di valutare criticamente, attraverso la ricerca, le idee che portano avanti? Possiamo veramente aspettarci che i guru - gli auto promotori e gli esperti auto proclamati - ammettano a sé stessi che sia arrivato il momento di una moratoria riguardante la promozione di idee e trattamenti non verificati? Abbiamo il coraggio di dire ai promotori che, se si ama questa professione, si farà la cosa giusta raccogliendo prove prima di promuovere dei metodi? O li lasciamo continuare a promulgare i loro messaggi, fornendo così ulteriore argomenti a coloro i quali affermano che noi, come professione, non siamo degni di fiducia e che alla nostra professione manca una base credibile per le sue azioni e per i suoi interventi?
Immelmann presume un po' troppo. Questo è il guaio con gli amici immaginari. Lui presume un comportamento logico. Presume che coloro i quali guadagnano molto denaro con i loro corsi amino la nostra professione abbastanza da fare la cosa giusta. Lui promette, comunque, che il prossimo anno seguirà qualcuno di quei corsi e di quei convegni. Come farete a sapere se la persona seduta accanto a voi è il mio amico immaginario? Lo capirete perchè lui sarà l'unico che si alzerà in piedi e che chiederà "Avete qualche prova per questo trattamento? Come fate a sapere se funziona? E se non avete prove, perché siete qui?"

Benedetto tre volte Immelmann! In poco spazio e con estrema chiarezza Rothstein, un terapista 'iperspecializzato' editor della più autorevole rivista per terapisti mondiale, mette in guardia i suoi colleghi contro i pregiudizi, le credenze e le condotte che rendono ancora oggi faticoso per la medicina riabilitativa conquistare lo spazio e la dignità che le competono.

La prevalenza degli aspetti economici su quelli di efficacia e efficienza, l'introduzione di tecniche non convalidate, il moltiplicarsi di corsi (spesso costosi) e conferenze intorno ad argomenti tutt'altro che seri, il maggior peso dato all'esperienza dell'operatore rispetto ai risultati di prove controllate, e soprattutto l'utilizzazione ostinata di tecniche la cui efficacia è stata chiaramente dimostrata nulla: Sterne ci ha insegnato che quando si afferma qualcosa di sbagliato, ci si attacca al proprio errore e qualsiasi cosa avvenga viene interpretata come una conferma della propria idea errata, tanto più quando l'idea rende in termini economici o di prestigio. In poche parole, la carenza di una medicina riabilitativa 'evidence based', secondo le regole della più recente - ed onesta - interpretazione degli obblighi della medicina in ogni settore: tutte cose che ci riguardano da vicino …

E' quanto da decenni oramai la parte migliore della medicina riabilitativa italiana, che per qualità e quantità non ha niente da invidiare a quella di nessun altro paese al mondo, va predicando: prima di tutto tra i suoi adepti, medici e terapisti.


Il punto di vista di Sibilla e coll.

L'eziologia della scoliosi idiopatica: fattori biomeccanici e neuromuscolari
Estratto da: Verdhuizen AG, Wever DJ, Webb PJ. The aetiology of idiopathic scoliosis: biomechanical and neuromuscular factors. Eur Spine J 2000:9(3); 178-84 (Referenze Bibliografiche n. 110).

Finalmente in questo bel lavoro di Verdhuizen si rispecchia la teoria che trent'anni fa alcuni, allora giovani, ricercatori dell'Istituto di Elettronica del Politecnico di Milano e del Centro Scoliosi dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano avevano formulato, partendo dalla sistemistica e considerando la postura della colonna vertebrale inserite in uno schema a blocchi che riportava attraverso passaggi logici dal blocco meccanico a quello muscolare al midollo spinale sino ai centri superiori. Il tutto correlato da feedback quali: il sistema vestibolare, il sistema visivo, i fusi neuromuscolari e gli organi del Golgi. Il nostro intento era quello di capire e di far capire che la terapia ortopedica della scoliosi non si limitava al solo blocco meccanico (ossa e legamenti), ma si poteva risalire a quello muscolare e in seguito, step by step, di arrivare alla conoscenza dei meccanismi superiori.

La stimolazione elettrica della muscolatura paravertebrale, (si era già ipotizzata che il primumm movens della scoliosi fosse in una alterata programmazione dell'azione dei muscoli brevi trasverso spinali) ci era sembrata la via più idonea.

La S.P.E.S. (surface paravertebral electric stimulation), come in seguito è stata chiamata, inserita nel programma TENS 3 del CNR sulle tecnologie biomediche, dava dei risultati mediamente buoni, ma non esaltanti. Solo quando capimmo che almeno per un tipo di scoliosi, quella di origine vestibolare (dorsolombare di entità media 20 / 30° Cobb) era possibile ottenere risultati decisamente brillanti, ci convincemmo che attraverso il punto di entrata lombare al vestibolo, come ipotizzava Pompeiano, si poteva arrivare ai centri e operare una vera riprogrammazione.

Condividiamo perciò in pieno la teoria formulata dagli autori in quanto l'abbiamo sperimentata. La trasposizione della stimolazione dal sistema muscolare a quello muscolo-tendineo-meccanico mediante i corsetti ortopedici, rivisitati nella loro funzione di stimolatori meccanici con i risultati talvolta folgoranti che con essi si possono ottenere, ne sono la controprova.

Tutto si chiude in un unico ciclo dalla etiologia alle terapie, se questo però è un "ciclo virtuoso". Troppi sono ancora i disastri che vengono a tutt'oggi consciamente od inconsciamente perpetrati dagli apprendisti stregoni della scoliosi.

Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.


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