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I Punti di Vista


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.


Indice



Il punto di vista di Sibilla

Utilizzo del busto ortopedico (e screening) - Si o no?
Estratto da: Dickson RA, Weinstein SL. Review article. Bracing (and screening) - Yes or No?. J Bone Joint Surg 1999: 81-B(2); 193-8 (Referenze Bibliografiche n. 47).

Il titolo stesso è ambiguo in quanto la review è dichiaratamente condotta da "scettici" ed ha lo scopo di dimostrare che né il busto ortopedico né lo screening abbiano validità alcuna.

E' il solito ritornello che ciclicamente riappare nella letteratura anglosassone. Quello che più stupisce è che si portano statistiche più o meno valide (anche del gruppo di Portorico) tutte incentrate sulla validità o meno di un unico corsetto ortopedico, archetipo universale immutabile ed unico parametro di paragone: il corsetto di Milwaukee.

Come descritto dagli stessi A.A. il nostro sarebbe nato nel 1945 per scopi di sostegno passivo e riproposto nel '54 per la correzione delle deformità del rachide.

E' come se si discutesse della validità dell'automobile assumendo come unico punto di riferimento la Fiat 1100- 103 e la Chevrolet dell'epoca.

Nel Congresso di Norimberga del 1988, come riporta Chêneau, era stato consigliato l'uso del corsetto di Milwaukee unicamente nei bimbi molto piccoli (anche a 18 mesi) o nelle scoliosi cervicordorsali.

Siamo perfettamente d'accordo.

Era stato inoltre affermato che alla luce dell'esperienza i corsetti cosiddetti "a spinta" dal Lionese allo stesso Chêneau, erano da considerarsi più efficaci, non solo nell'arrestare l'evoluzione della scoliosi, ma anche per correggerne il valore angolare iniziale.

Ed anche su questo concordiamo confortati dai risultati di una trentennale esperienza.

Le nostre idee nell'uso del corsetto, sulla temporizzazione della terapia, sul fatto che ogni scoliosi necessita di un corsetto ad hoc quasi fosse un abito su misura, che va modificato ed aggiustato periodicamente secondo i ritmi di crescita di chi lo indossa, le abbiamo più volte esposte in precedenti note e sono comunque riportate per esteso nel Sito Internet del GSS.

Quello che gli A.A. affermano è che sia le terapie ortopediche che lo screening fanno perdere tempo ai pazienti, non danno risultati duraturi, non sono, come essi affermano, in ultima analisi, "etici".

Sorvolando sull'uso di questo termine che oramai è diventato più che altro una moda, quando si voglia confrontare senza argomenti validi (e non statistici !!) procedure con le quali non si concorda, ci viene da chiedere quanti casi gli illustri A.A. abbiano effettivamente trattato "personalmente" e per anni in modo incruento.

Questo sarebbe già una risposta più attendibile.

E' poi abbastanza sintomatico che pur essendo confutabile la validità dell'angolo di Cobb, tutte le valutazioni siano fatte su questo parametro.

Sappiamo che vi sono delle rotoscoliosi, specie toraciche, nelle quali la torsione (gibbo!!) è la parte più rilevante ed esteticamente invalidante.

Stando agli A.A. è sufficiente curarle con buone parole, spiegando al paziente che, perbacco non facciamo tante storie, si tratta solo di una alterazione estetica !!

Ed anche questo non è vero: la torsione con l'andare degli anni provoca non solo dolore, ma, con l'irrigidimento del gibbo costale, altera sicuramente la meccanica respiratoria.

Un'affermazione del tutto gratuita è poi quella della scarsa rilevanza delle scoliosi dorso-lombari o lombari. Chiunque abbia seguito una paziente per anni o abbia in cura pazienti adulti con tale forma di scoliosi, sa benissimo che sono altamente destabilizzanti per il rachide, la prima (anche a partenza da 20° Cobb) con l'andare del tempo si aggrava, si produce una laterolistesi dalla vertebra limitante inferiore o di quelle immediatamente sovrastanti, dal lato della concavità.

Si produce un meccanismo di rotazione che dà come risultato finale o una notevole riduzione della lordosi o anche una anteposizione irreversibile del tronco.

Dato che la vita media delle donne in Italia (statistiche del luglio '98) è di 83,5 anni, dalla menopausa in poi, specie se intervengono fenomeni di osteoporosi, si va incontro ad una completa destabilizzazione del rachide lombare, con spesso dolori incoercibili, che postulano un intervento chirurgico di stabilizzazione.

Tanto basta.

Penso che il portare all'estremo una propria convinzione, come in questa review fanno gli A.A., anche se non promettono niente di definitivo con l'intervento chirurgico, sminuisca l'importanza di quest'ultimo che pure è valido ed insostituibile in quelle forme di scoliosi che lo meritano.

Certo è che ci rifiutiamo di sentir parlare di chirurgia preventiva delle scoliosi o di intervento a 35° Cobb!!

Nei prossimi due anni pensiamo di riuscire a schematizzare compiutamente i risultati ed i limiti della metodica incruenta nella cura delle scoliosi, portando a termine con la collaborazione della Prima Divisione di Ortopedia dell'Istituto Gaslini di Genova e dei Centri Scoliosi di Firenze e di Roma della Fondazione Don Gnocchi, La Ricerca Finalizzata che ci è stata affidata dal Ministero della Sanità.

L'impostazione metodologica dell'argomento che si vale di ricerche, lasciatemelo dire, un "poco" più avanzate di quelle degli A.A., in quanto l'argomento non viene visto unicamente su base meccanica locale, ma anche sistemistica generale e con la casistica che pensiamo di poter produrre, ci auguriamo che si possa fare finalmente un po' di luce sulla vexata questio!!

Altrimenti, visto che l'utilità della chinesiterapia è argomento sconosciuto agli A.A., non ci rimarrebbe che inneggiare: "Viva il nuoto"!!



Il punto di vista di Boccardi

Analisi critica degli esperimenti clinici randomizzati sull'efficacia del trattamento della cervicalgia. Revisione della letteratura
Estratto da: Kjellman GV, Skargren EI, Öberg BE. A critical analysis of randomised clinical trials on neck pain and treatment efficacy. A review of the literature. Scand J Rehab Med 1999: 31(3); 139-52 (Referenze Bibliografiche n. 48).

Conseguenze delle patologie vertebrali cervicali nelle lesioni da risarcimento. Un confronto prospettico con la risposta della riabilitazione di terzo livello per le patologie lombari croniche
Estratto da: Wright A, Mayer TG, Gatchel RJ. Outcomes of Disabling Cervical Spine Disorders in Compensation Injuries. A Prospective Comparison to Tertiary Rehabilitation Response for Chronic Lumbar Spine Disorders. Spine 1999: 24(2); 178-83 (Referenze Bibliografiche n. 40).

In questo numero del bollettino del GSS appaiono tre buoni lavori che concernono i dolori cervicali. La prima osservazione è la conferma di una antica impressione: la grande sproporzione tra la quantità di letteratura che è dedicata ai dolori lombari e quella che tratta i dolori cervicali, non meno frequenti, o comunque di ben poco meno frequenti, nelle popolazioni di pazienti che ricorrono al medico per dolori localizzati al rachide. Una delle possibili spiegazioni può risiedere nel fatto che ancor più che per le lombalgie i possibili fattori patogenetici delle cervicalgie sono numerosi, intrecciati e difficili da identificare: il che spiegherebbe la relativa monotonia delle tecniche destinate ad alleviarle.

Ancora una volta la metanalisi, condotta già in partenza su un numero davvero limitato di lavori, è costretta poi a rinunciare ad un'altra importante quota per le solite difficoltà metodologiche e di interpretazione, difficilmente superabili ma a quanto pare non insuperabili, visto che qualche lavoro affidabile viene comunque pubblicato.

Tutti e tre i lavori sono costretti a invocare ulteriori e più approfondite indagini e un maggior consenso sui criteri di valutazione dei risultati dei trattamenti. La loro lettura si presta comunque ad alcune considerazioni.

Anzitutto l'opportuna distinzione tra disease e illness (difficilmente traducibile in italiano: potremmo dire "la malattia e le conseguenze della malattia sulla persona, lo star male") che ricorda ancora una volta come obiettivo dell'intervento medicoriabilitativo non sia la malattia in sé, ma la disabilità, con tutte le sue componenti, tra le quali non sono certamente trascurabili quelle psicologiche. A questo proposito mi sembra altamente commendevole l'attenzione riservata dagli autori dell'articolo sulle radicolopatie cervicali alla "soddisfazione del paziente". E anche il concetto di placebo merita una riflessione che le neuroscienze degli ultimi anni vanno approfondendo: se è vero che di voodoo si può morire …

Un'altra considerazione importante è quella sulla frequente remissione, spesso in tempi brevi, anche se non sempre definitiva, dei dolori cervicali, anche a sicura genesi radicolare: ulteriore stimolo ad usare prudenza nella valutazione dell'efficacia aneddotica della "ultima cura fatta".

Perfettamente d'accordo con gli autori, poi, sulla richiesta ai riabilitatori che pubblicano studi controllati sugli effetti delle loro tecniche di descrivere con la maggior esattezza possibile che cosa realmente sia stato fatto al loro paziente. C'è una notevole differenza tra "sono state somministrate due compresse di 0,1 mg di una certa sostanza al giorno" e "ha fatto un'ora di esercizi tre volte la settimana", anche se tratti da una metodica più o meno nota. Quale esercizio, con quali modalità, con quale intensità, per quanto tempo, con quali intervalli … e soprattutto, con chi? L'importanza del rapporto terapista-paziente non potrà mai essere sopravvalutata.

Difficile, ma ci dovremmo provare.


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