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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del II fascicolo 2003


Stefano Negrini
Segretario Scientifico Nazionale del Gruppo di Studio Scoliosi e patologie vertebrali (GSS)
Direttore Scientifico di ISICO (Istituto Scientifico Italiano Colonna vertebrale), Milano

Scoliosi dell'adulto: parliamone un po'
Cervicalgia: una serie di studi che spaziano dagli elementi eziopatogenetici, alla valutazione, alle Linee Guida, a studi di efficacia e revisioni sistematiche sulla riabilitazione
Colpo di frusta cervicale: eziopatogenesi e Linee Guida terapeutiche riabilitative
Ipotesi terapeutiche per la lombalgia acuta
Due studi su sciatica ed ernia del disco
Editoriali e revisioni interessanti in serie
Le pagine verdi: tutti i dettagli su mobilizzazione ed allenamento della resistenza muscolare
Indice

Il secondo fascicolo dell'anno ci coglie sempre a cavallo delle vacanze, ed i Soci lo leggono di norma una volta rientrati, pronti a lanciarsi per un nuovo anno di lavoro. Anche quest'anno ci inoltriamo quindi nel nostro aggiornamento con un fascicolo dedicato principalmente al rachide cervicale, anche se ovviamente non mancano numerosi altri argomenti e molta tecnica.

Scoliosi dell'adulto: parliamone un po'

Spesso quando si cura un bambino non si pensa che in realtà stiamo solo cercando di evitargli dei disturbi per la sua età adulta. Infatti la scoliosi non è un problema per il bambino, non gli dà sintomi, spesso non ci sono segni evidenti. Ma allora perché diagnosticarla (e far diagnosi è sempre identificare una malattia che anche solo perché c'è crea un impatto su chi ne è affetto, e poichè questa malattia significa essere storti, è facile immaginarne l'impatto psicologico su un bambino e soprattutto un adolescente) e perchè curarla ? Per la prevenzione, ossia perché se in età adulta supera certe soglie diventa un danno dapprima solo estetico, quindi anche funzionale (rachialgie e, raramente, disabilità da scorretto assetto posturale o da eventuali disturbi cardio-respiratori) ed infine potenzialmente si può aggravare con gli anni, soprattutto in età anziana. Quindi, una volta che abbiamo bene in mente che nessuno di noi è perfetto, che la normalità anatomica va lasciata ai libri di testo (nonché alle anomale pensate di alcuni stregoni della fisioterapia che basano tutto il loro lavoro proprio su questo), e che dobbiamo in realtà fare in modo che il danno anatomico non diventi un danno funzionale, ricordiamo anche che quasi sempre nel bambino stiamo curando una potenzialità di malattia, che poi si manifesterà in età adulta. L'importante è fare in modo che a fine crescita la scoliosi non superi quelle soglie note come indicatrici di disabilità e non indurre una patologia in chi ancora non ne è affetto: in pratica chiarire quando si fa prevenzione e quando terapia. Detto questo, fondamentale è approfondire che cosa crea realmente disabilità in età adulta: ed ecco l'importanza di lavori come quello di Schwab a pag. 143, che rivede i fattori di rischio di disturbi clinici significativi nell'adulto scoliotico. Lasciando ai Soci la lettura, che merita, elenchiamoli rapidamente: la laterolistesi, che insieme all'angolo della limitante somatica inferiore di L3 ed L4, costituisce una terna identificativa delle tensioni laterali anomale alla base del rachide conseguenti alla gravità della patologia; in particolare la laterolistesi è segno di una instabilità rotatoria, con difetto di controllo dell'assetto da parte delle strutture legamentose, con inevitabile sovraccarico per tutte le strutture vertebrali; di estremo interesse poi la notazione che una lordosi ridotta e la presenza di una cifosi dorso lombare sono fonte di rischio maggiore di disturbi: da anni Sibilla sosteneva l'importanza di questi fattori, ma è quindi estremamente evidente per tutti come sia fondamentale a questo punto preservare l'assetto sagittale del rachide non solo a livello toracico (mantenimento della cifosi), ma anche a livello lombare e dorso-lombare, laddove la tendenza evolutiva della scoliosi in cifosi è spesso preminente e fonte di disturbo in età adulta. Certamente le conseguenze riguardano l'approccio preventivo da avere nei bambini, ma anche quello terapeutico per l'adulto, quindi l'impostazione di trattamenti riabilitativi ed ortesici adeguati, prima di giungere eventualmente all'ultima spiaggia chirurgica.

Il lavoro di Hales a pag. 147, oltre ad avere una serie di limiti metodologici, peraltro citati dagli autori, propone delle ipotesi che vale la pena leggere con curiosità, ma francamente per quello che ne sappiamo oggi da applicare con estrema cautela negli adulti scoliotici, mentre una qualche utilità ci potrebbe essere in chi la scoliosi non ha. Inoltre, dimentichiamo per favore questo metodo per i bambini. Infatti sappiamo che il problema della scoliosi è, dal punto di vista riabilitativo, un problema di instabilità, e che tutte le tecniche che possono ridurre la stabilità (tra le quali va sicuramente inserita la trazione fatta in modo prolungato nel tempo) sono potenzialmente molto pericolose e passibili di aggravamenti anche marcati in soggetti a maggior rischio. In età adulta spesso la trazione blanda è antalgica, ma anche qui ci vuole una notevole cautela, perché pure negli adulti non sono rari i casi di aggravamento da mobilizzazione incauta della colonna: quindi attenzione.

Massa ossea e scoliosi: una nuova frontiera per la ricerca, ma oramai un qualcosa che non si può più trascurare. Lo studio di Courtois a pag. 152 valuta un campione adulto con una metodologia più accurata rispetto a quanto fatto spesso in passato. Anche qui vengono prospettate entrambe le possibili ipotesi per questa riduzione di massa ossea nelle scoliotiche adulte: la possibilità che sia primaria, e quindi fattore sotteso alla patologia stessa, o che sia secondaria ai trattamenti effettuati, cosa che personalmente riteniamo più plausibile dato che il trattamento principe è quello da semi-immobilizzazione prolungata con ortesi. Rimane sicuramente la necessità di uno studio longitudinale che valuti l'impatto del trattamento e la predittività della massa ossea nei confronti dell'evolutività della scoliosi. Questo lavoro è una forte indicazione alla implementazione di studi maggiormente conclusivi. Due aspetti da non trascurare per tutti noi cultori della riabilitazione di questi problemi sono da un lato, nel bambino, la necessità di attività fisica di carico osseo e di potenziamento muscolare per ridurre il rischio di perdita di massa ossea conseguente al trattamento ortesico, soprattutto quando si usano corsetti a tempo pieno, dall'altro, nell'adulto, la necessità di prevenzione della perdita post-menopausale più importante nelle scoliotiche (e qualcuno ritiene che l'osteoporosi sia fattore di rischio ulteriore di aggravamento della scoliosi in età anziana).

Prima dell'ultimo studio sulla scoliosi adulta, restando però in tema di osteoporosi, un rapido inciso sulla riabilitazione per la prevenzione delle cadute, l'evento scatenante finale della frattura. Il contributo della solita Sinaki a pag. 154, una tra le principali studiose del settore, pur essendo condotto in un campione veramente limitato, è indicativo del ruolo essenziale che in questo campo può avere l'applicazione di adeguate tecniche riabilitative, oltre ad usarle per ottenere una riduzione del dolore ed un incremento della tensione meccanica a livello osseo sia direttamente (esercizi stessi), sia indirettamente (potenziamento muscolare e miglioramento delle potenzialità di movimento). Non dimentichiamo comunque mai che la massa ossea è sì importante, ma per rompersi ci vuol pur sempre l'evento traumatico, ossia la caduta!

Chiudiamo questa sezione con un contributo di Gotze a pag. 156 che documenta come a distanza di 17 anni dall'intervento di artrodesi secondo Harrington, se la condizione fisica appare sovrapponibile a quella di chi non ha avuto problemi, non si può dire lo stesso per quella psicologica. Ovviamente questo non porta ad affermare nulla né su un confronto con chi non si è fatto operare o è stato trattato conservativamente, né, come tendono invece a fare gli autori, su un eventuale miglior risultato con una tecnica diversa dall'Harrington. Il PdV di Weinstein a pag. 158 è un interessante, e sufficiente, commento a questi dati.


Cervicalgia: una serie di studi che spaziano dagli elementi eziopatogenetici, alla valutazione, alle Linee Guida, a studi di efficacia e revisioni sistematiche sulla riabilitazione

La riabilitazione del rachide cervicale passa spesso attraverso l'uso degli occhi, in quanto questi terminali che giustificano la funzione principale del collo (oltre a sostenere la testa, funzione che sarebbe stato più semplice ottenere con un appoggio diretto sul tronco senza interposizione di altre strutture più esili, il collo è così sottile e mobile per consentire il massimo del movimento ai fini di orientare lo sguardo) consentono di ottenere tutti i movimenti, accanto ad un recupero neurologico fine del movimento cervicale, come anche questo studio, pur nella sua relativa debolezza di fondo, documenta. Grod a pag. 159 si occupa infatti della percezione della verticalità, che risulta danneggiata in alcuni casi di cervicalgia. Di fatto lo studio dimostra come la cervicalgia vada ad interferire direttamente con i meccanismi propri del controllo e, soprattutto, della percezione visiva. Quindi si conferma l'utilità dei nostri esercizi, anche se ulteriori e più precisi futuri studi potranno consentire di orientare meglio il lavoro riabilitativo.

Quanti di noi usano un computer ? E quanti usano ancora un normale "desktop" (computer classico da tavolo, con tanto di ingombrante monitor) rispetto ad un notebook (computer portatile) o addirittura un subnotebook (ossia un portatile estremamente piccolo) ? Riflettiamo su come spesso si tenda a preferire un portatile rispetto al desktop per evitare di trovarsi la scrivania sempre ingombra da un enorme monitor (anche se gli schermi piatti stanno venendo in aiuto), conservando la possibilità di lavorare anche a casa. Ma quali problemi comporta per le nostre articolazioni, il collo e le mani in particolare, queste scelte operative ? Una domanda non oziosa, cui Szeto a pag. 162 offre una prima risposta sostanzialmente biomeccanica, che però si offre anche alla nostra riflessione di ergonomi del rachide, come inevitabilmente si deve divenire occupandosi di patologie della colonna vertebrale. Di interessante lettura, sia pure senza risposte definitive.

Le rachialgie dell'età evolutiva ormai non sono più una sorpresa, e lo studio di Feldman a pag. 165 si concentra sulle cervicalgie, che dai nostri dati risultano sovrapponibili per prevalenza alle lombalgia. Si tratta di uno dei primi studi sull'argomento, quindi di fatto è ancora esplorativo, anche se conferma l'importanza del problema e lo pone in correlazione con fattori psicologici determinanti.

Quantificare per capire che cosa si sta facendo: è questa l'unica strada che si può percorrere se si vuole crescere personalmente e come disciplina. Il lavoro di revisione di Pietrobon a pag. 168 è in questo senso indispensabile per la quotidianità del nostro lavoro. Ci vengono presentate infatti a confronto le Scale di misurazione della disabilità conseguente a disfunzione del rachide cervicale oggi esistenti in letteratura, con relativi pregi e limiti, nonché risultati. Il lavoro consentirà a ciascuno di scegliere quale scala adottare, ma è molto interessante anche da un punto di vista metodologico e didattico, perché in poche pagine vengono presentate tutte le caratteristiche che le Scale di misura di questo tipo dovrebbero avere. Quindi, utile anche per confrontarsi con qualunque altra scala proposta.

Bello ed estremamente interessante per i risvolti pratici notevoli è lo studio di Takeshima a pag. 172. L'autore ha studiato la rappresentazione radiografica in laterale del rachide cervicale, classificandola per tipologia, e studiando quindi le caratteristiche di articolarità del rachide alle proiezioni dinamiche (quindi in massima flessione rispetto alla massima estensione), traendone delle conclusioni di assoluto pregio. E' possibile identificare cinque comportamenti tipici, oltretutto relativamente frequenti (da un minimo del 14% ad un massimo del 26% per ogni tipo). E' estremamente interessante come questa curvatura tipica sia determinata dall'inclinazione della giunzione cervico-dorsale: interessante ma comprensibile perché il collo serve per orientare lo sguardo orizzontalmente a partire dall'inclinazione della parte sottostante del rachide. Inoltre ciascun atteggiamento posturale corrisponde ad una modalità di comportamento del rachide, che tende ad avere una maggiore mobilità in estensione a fronte di una lordosi conservata ed una maggiore in cifosi quando il rachide è atteggiato in inversione della curva fisiologica; questo accade indipendentemente dal tratto di rachide considerato, ossia nei tipi misti ogni zona del rachide si comporta come se fosse indipendente dall'altra. Ora le domande che sorgono rispetto a questi risultati sono: quanto è ripetibile la classificazione riportata ? Ossia, il giorno successivo il paziente nuovamente radiografato si sarebbe presentato nella stessa posizione ? Non è che la postura del resto del rachide è quella che ha determinato il risultato, e quindi nello stesso soggetto si poteva ottenere una postura cervicale o un'altra semplicemente modificando la sua postura sottostante al momento della radiografia ? Quindi: si tratta di caratteristiche individuali o semplicemente di un comportamento normale del rachide cervicale indipendentemente dal soggetto considerato ? In ogni caso lo studio è molto interessante e va letto e studiato, ma attenzione nel trarne conseguenze pratiche definitive.

A pag. 175 Vaillant ci presenta in estrema sintesi le Linee Guida per la cervicalgia messe a punto dalla APTA, l'Associazione dei Fisioterapisti americani. Il metodo seguito è stato rigoroso e la rappresentazione che ci viene offerta della letteratura in ambito riabilitativo è, come al solito, sconfortante in quanto a prove di efficacia. Le due tabelle elencano le prove scientifiche di efficacia disponibili per ogni singola tecnica terapeutica. La lettura è però non solo utile, ma addirittura indispensabile per chi si occupa di pazienti con problemi al rachide cervicale, perché come più volte abbiamo avuto modo di sostenere, è solo dalla letteratura e da quanto essa ci ha detto che possiamo trarre forza per le nostre prassi quotidiane, per modificarle o per continuarle sapendo quanta cautela avere.

Kjellmann a pag. 177 studia a confronto esercizi generici e terapia meccanica secondo McKenzie rispetto ad un gruppo di controllo. Il dato più rilevante è che i trattamenti specifici hanno avuto un'efficacia aggiuntiva, rispetto ai semplici consigli dati al gruppo di controllo, modesta e tale da non evidenziare un significativo beneficio. Inoltre a 12 mesi il 50% dei pazienti riferiva la persistenza di dolore costante o giornaliero. Nonostante questo il 90% dei pazienti hanno riferito di essere soddisfatti o molto soddisfatti del trattamento effettuato: questo probabilmente dipende dall'importanza della presenza del fattore umano, che mai può essere dimenticato in riabilitazione.

Chiudiamo questa sezione parlando di una forma di cervicalgia ben precisa, caratterizzata da cefalea, diagnosticata spesso come cervicogenica o muscolo-tensiva: questa cervicalgia non è estremamente caratterizzata tutt'oggi anche se si pensa che l'origine possa essere a livello delle articolazioni posteriori delle prime vertebre cervicali, non sempre è così. Lo studio di Jull a pag. 181 pone a confronto due tecniche di trattamento (manipolazioni ed esercizi Maitland) anche tra loro combinate rispetto ad un gruppo di controllo. Il dato interessante è che entrambe le terapie sono efficaci, che nessuna delle due risulta superiore all'altra, che combinare le terapie non ha provocato un miglioramento ulteriore del risultato veramente significativo. Lo studio è bello e solido, ed il PdV di Triano a pag. 184 completa adeguatamente le riflessioni in una chiave più ampia, ponendo di fatto una serie di altre domande cui solo studi futuri potranno rispondere.

Colpo di frusta cervicale: eziopatogenesi e Linee Guida terapeutiche riabilitative

Colpo di frusta: chi è costui ? Da anni si dibatte su questa entità nosografia che per alcuni, definiti ironicamente da Bogduk nel PdV a pag. 187 "i saggi", addirittura non esisterebbe, mentre la realtà quotidiana dimostra a noi tutti come ci sia sul serio. Il lavoro di Uhrenholt a pag. 185 è una rassegna sistematica dei danni a livello microscopio rilevabili post-mortem in pazienti deceduti durante un incidente stradale nel corso del quale hanno anche avuto un colpo di frusta. Sono chiare le microlesioni a livello delle articolazioni interapofisarie posteriori e dei dischi intervertebrali, nonché dei piatti vertebrali: queste lesioni non ci sono nei gruppi di controllo. La revisione sistematica ha riguardato solo studi condotti con la tecnologia più valida oggi disponibile e con un gruppo di controllo. Il PdV di Bogduk già citato trae le somme coerenti da questo lavoro, discutendo in modo assolutamente attendibile cosa oggi si possa sostenere sull'esistenza o meno del colpo di frusta. Ebbene, sembra che finalmente qualcuno si ricordi di dire che forse i nostri pazienti hanno ragione. Ricordo un amico, Simo Taimela, scienziato di grande caratura che si occupa di lombalgia, che ha usato una volta la frase "back to the reasonable", "ritorno alla ragionevolezza" per indicare come i passi avanti fatti dalla ricerca richiedano comunque di ragionaci sopra. Siamo stufi (ed in questo ci sembra di interpretare anche quel "i saggi" di Bogduk) di tutti questi scienziati che fanno della Evidence Based Medicine l'ultimo credo santo ed immutabile, ulteriore religione che scade così al livello dei famigerati metodi: le evidenze sono solo la base per la clinica quotidiana, perché la scienza è solo la base dell'arte medica, che non ne può fare a meno, ma che è quella che deve dire sempre e comunque l'ultima parola. Perché l'arte medica riesce ad esistere anche senza la scienza, mentre il contrario non è vero: sebbene l'arte medica, per essere il meglio oggi disponibile, deve per forza essere scientifica.

Sullo stesso tema, ma con minore solidità scientifica, si addentra il lavoro di Nederhand a pag. 188, che peraltro senza negare i risultati dello studio precedente, dimostra che non c'è differenza nelle lesioni muscolari rilevabili elettromiograficamente nei soggetti con colpo di frusta WAD 2 a distanza di qualche mese dal trauma rispetto ai cervicalgici cronici senza un evento traumatico scatenante all'origine la sintomatologia. Non c'è contraddizione anche perché si tratta di esiti a distanza, ed in effetti la cervicalgia cronica di tipo bio-psico-sociale può essere ragionevolmente la via finale comune evolutiva di tutte le patologie aspecifiche o anche post-traumatiche con lesione minore che arrivano alla cronicità. Peraltro la presenza di questi disturbi di attivazione e rilassamento muscolare sono importanti in una chiave riabilitativa, perché offrono un punto di attacco importante per il nostro lavoro terapeutico.

Concludiamo in bellezza questa triade con un magistrale lavoro di Scholten-Peeters a pag. 218 che riassume a fini riabilitativi le evidenze scientifiche diagnostico-terapeutiche oggi disponibili sul colpo di frusta per trarne delle Linee Guida assolutamente concrete e condivisibili. Riguardano i gradi WAD 1 e 2, che costituiscono l'80-90% dei pazienti affetti da questo problema. C'è poco da commentare qui, solo da leggere e studiare: anche se ovviamente non tutto è certo, queste Linee Guida possono contribuire a migliorare di gran lunga l'approccio di tutti noi.

Ipotesi terapeutiche per la lombalgia acuta

Per quanto ne sappiamo oggi la lombalgia acuta non è di pertinenza della riabilitazione, ma dell'applicazione di tecniche terapeutiche antalgiche a basso costo (e la riabilitazione non lo è). Questo perché da un lato è talmente ubiquitaria che è prioritario abbassarne i costi, dall'altro per non sovraccaricare da un punto di vista terapeutico l'importanza del problema facilitando nel paziente una possibile evoluzione in senso di cronicizzazione. Eppure il lavoro di Nadler a pag. 226 comincia a sfatare alcuni aspetti, indicando come una termoterapia calda ben condotta possa essere addirittura più efficace dei farmaci. Attenzione però: questa termoterapia di 40° centigradi (quindi non eccessiva) durava ben 8 ore come minimo al giorno, e per consentirla senza impedire le attività della vita quotidiana (altro elemento che la ricerca ha dimostrato essere incontrovertibilmente efficace e necessario) era autoapplicata con un metodo che permetteva al paziente di preservare completamente la propria mobilità e quindi di continuare le attività normali. Brillante e da tenere presente per il futuro, per possibili applicazioni estensive della tecnica se dimostrerà anche in altri studi altrettanta efficacia.

Un altro tema caldo (anche se oramai si sta raffreddando, nella progressiva acquisizione di certezze sull'argomento) di cui si occupano i tre lavori successivi è: star fermi o muoversi in caso di lombalgia acuta ? Rozenberg a pag. 229 considera il dibattito da un punto di vista diverso, differenziando i soggetti in base alla tipologia di professione: egli dimostra così che il mantenimento delle normali attività è più valido per chi effettua un lavoro sedentario rispetto a chi fa un lavoro fisicamente impegnativo, anche se pure per questi ultimi l'efficacia è pari a quella del riposo. Quindi il consiglio secondo noi valido di dedicarsi a lavori meno gravosi in caso di lombalgia acuta potrebbe essere sostenibile, anche se per averne certezza dovremo aspettare altri contributi sull'argomento. Hagen a pag. 231, per conto della Cochrane Collaboration, valuta il consiglio di rimanere attivi come unico trattamento per mal di schiena e sciatica. I criteri stringenti di qualità metodologica che l'assoluta scientificità dell'impostazione Cochrane richiede, portano a limitare enormemente il numero di studi disponibili: ne risulta una pari efficacia del riposo e del mantenimento delle normali attività, sia per la sciatica che per la lombalgia. Ne consegue, per motivi a questo punto socio-economici, ma in realtà per quello che sappiamo noi anche clinici (minor rischio di dare importanza al problema e quindi di facilitare una possibile cronicizzazione) che rimanere attivi è consigliabile più del riposo. In questo senso torna utile il contributo di Scheel a pag. 234, che si rivolge ad un ambito professionale, indagando (dimostrandone peraltro l'efficacia) una modalità di approccio attiva alla lombalgia acuta. E' una proposta molto interessante che molto bene si inquadra nella logica di mantenere attivo chi soffre di mal di schiena, e i numerosi schemi riportati consentono ai nostri Soci di seguirne in dettaglio il percorso, anche se l'applicabilità in Italia è francamente ad oggi solo ipotizzabile.

Due studi su sciatica ed ernia del disco

Il lavoro di Miranda a pag. 238, coordinato da una delle più importanti studiose mondiali, la finlandese Riihimaki, indaga i fattori di rischio della cronicizzazione del dolore sciatico legati alle caratteristiche individuali, al lavoro ed all'esercizio fisico svolto da ogni singolo paziente. Il metodo è molto solido, e lo studio conferma ancora una volta come nella patogenesi della cronicizzazione ci sia un aspetto multifattoriale assolutamente determinante. E' interessante notare come lo stress mentale ed il fumo siano i fattori indipendenti più importanti. Altrettanto interessante come il jogging diminuisca il rischio di insorgenza del dolore in chi non ce l'ha, mentre sia correlato al mantenimento del problema in chi già ne soffre. L'interpretazione offerta sembra ragionevole: se non c'è il problema si tratta di una attività fisica utile per mantenersi in buone condizioni generali, mentre se il dolore è già presente si deve fare attenzione se continuare o meno. Ovviamente però questo deve essere dosato su base individuale in ogni singola persona. Infine i fattori lavorativi sono importanti nell'insorgenza del problema se di tipo fisico, nella sua persistenza se di tipo psico-sociale: qui, nulla di nuovo. Il PdV di Murray a pag. 240 chiarisce ulteriormente alcuni punti della discussione e della generalizzabilità del lavoro.

La paresi è l'evento della sciatica che spesso più preoccupa il paziente ed a volte anche il suo medico. E' stato per anni considerato indicatore assoluto della necessità dell'intervento chirurgico, anche se oggi le dimostrazioni di recupero spontaneo sono numerose e quindi il suo ruolo viene considerato essenziale per una decisione terapeutica aggressiva solo se il danno è molto ampio. Il lavoro di Dubourg a pag. 242, con relativo PdV di Lurie a pag. 243, sembra confermare questo assunto, anzi dai loro dati apparirebbe come l'intervento chirurgico non sarebbe più risolutivo rispetto al trattamento conservativo. Si tratta però di uno studio pilota osservazionale, con numerosi limiti, nonostante sia prospettico: primo tra tutti la notevole differenza dei problemi all'inizio del trattamento tra i due gruppi. Di certo però questo risultato conferma ulteriormente quanto proposto dalle Linee Guida internazionali che indicano, anche in caso di paresi, di attendere almeno 1 mese prima di intervenire (e comportandomi secondo queste indicazioni ho visto moltissimi piedi paretici recuperare completamente la loro funzione, anche se va detto che le mie osservazioni non derivano da un Pronto Soccorso ma da una pratica libero professionale, quindi selezionata).

Editoriali e revisioni interessanti in serie

Scalda che ti passa. Di certo la termoterapia è alle radici della specialità in Medicina Fisica e Riabilitazione e del lavoro di molti di noi. Eppure le rassegne basate sulle evidenze scientifiche sono sempre sconfortanti in questo campo, di certo anche perché laddove la tradizione è più forte e consolidata gli studi sono pochi e non sostanziali. Il lavoro di revisione di Schields a pag. 245 non si limita ovviamente alla lombalgia, ma spazia su tutti i campi di applicazione di questo tipo di trattamento e, dopo averci fatto ripassare gli elementi di base, correttamente rivede le evidenze scientifiche per questa applicazione. A questi dati va aggiunto il già citato, interessante lavoro di Nadler a pag. 226. Come quasi sempre accade in queste revisioni, il responso resta sospeso nella sostanziale carenza di dati scientificamente affidabili. Il che non vuol dire che dobbiamo buttare tutto alle ortiche, ma che dobbiamo procedere almeno con cautela nei pochi spazi ben definiti. E comunque ci chiediamo quanto valga la pena proporre questo tipo di trattamento a livello ambulatoriale, se non a puro scopo "placebo-assistenziale" negli anziani (ed anche qui con cautela e limitazioni) quando è possibile usufruirne con molta facilità a domicilio, sia pure con strumenti artigianali.

La "teoria dello stress fisico" presentata da Mueller a pag. 249 è di certo ardita, anzi forse troppo ardita per essere oggi sostenibile con certezza, anche se affascinante per cultori del movimento che sanno come con l'allenamento (quindi l'incremento dello stress fisico) spesso si possa migliorare la prestazione di quasi tutto nell'apparato muscolo-scheletrico. Ricorda molto la teoria dello stress meccanico come primum movens dell'aumento della massa ossea (teoria di Frost, ampiamente riportata nella Monografia GSS del 1993 sull'Osteoporosi). Ma anche se la verosimiglianza è molta, il lavoro è comunque troppo generico e le prove a sostegno di questa teoria rimangono tutt'oggi molto flebili: ciò significa non che la teoria è necessariamente scorretta, ma piuttosto che c'è ancora molto lavoro di ricerca da fare prima di proporre un unico cappello unificante di questo tipo. La lettura è comunque affascinante e molti vi troveranno spunti di riflessione ulteriore, anche se sconsigliamo di fare di questo lavoro una pietra miliare del proprio operare.

Tre editoriali di Rothstein, Editore Responsabile di Physical Therapy, la rivista dei fisioterapisti americani, inframmezzati dal solito, puntuale, autorevole PdV di Boccardi a pag. 261, ci fanno riflettere su alcuni elementi della professione del fisioterapista in particolare, ma in realtà anche sulla riabilitazione in generale. Tenete sempre presente che la visione di Rothstein è particolare e non sempre totalmente condivisibile, ma riflettere un po' è sempre salutare e stimolante. Dapprima (pag. 258) si affronta la presenza della riabilitazione nei lavori di ricerca e peso della riabilitazione stessa nella professione di ciascuno di noi (continuiamo ad essere dei riabilitatori in generale, o siamo diventati degli adepti di questa o quella tecnica riabilitativa, sminuendo gravemente il nostro ruolo e la nostra importanza ?).
Il secondo editoriale (pag. 260) indaga dove si trova la vera e reale autonomia professionale e dove la assoluta necessità di interdipendenza e collaborazione reciproca tra le diverse competenze che costellano il mondo della riabilitazione; non è forse una bufala clamorosa cercare di imporre a tutti i costi un nostro ruolo autonomo a discapito di quella capacità di lavorare insieme che è la sola a consentire risultati sostanziali ? E' questo un tema estremamente caro a noi del GSS, che ne abbiamo fatto una ragione di vita del nostro Gruppo, mentre altre Società pseudo-scientifiche, spesso in realtà solo sindacali, hanno fatto proprio dell'opposto la loro bandiera. Per fortuna che sembra che i tempi stiano un po' cambiando e che si cerchi di integrare il lavoro di tutti, per lo meno ai livelli alti: ma secondo noi i danni tremendi fatti a livelli più bassi sono ben lungi dall'essere riparati. Solo per dimostrare questa situazione, ma anche per ricordare alcuni personaggi negativi che si aggirano in questa nostra Italietta, vogliamo qui riportare una laconica risposta giuntaci recentemente alla nostra richiesta di pubblicare su una rivista di settore il programma della Giornata di Aggiornamento sulla Scoliosi del prossimo 8 novembre. Questa recita: "Dopo aver attentamente visionato il vostro programma dobbiamo rifiutare la vostra pubblicità in quanto non è diretto solo a figure sanitarie ma anche ad altre". Ovviamente fare dell'aggiornamento aperto a tutti a qualcuno non piace ed essendo costoro più realisti del re, si oppongono per quanto sono in grado, cosa che neppure lo stesso Ministero della Salute si sogna di fare quando dà l'autorizzazione ECM ! La nostra risposta sarebbe stata: "pensavamo che il tempo delle guerre di religione fosse finito. Ci accorgiamo che invece non è così. Ci dispiace, perché in un periodo in cui ci si riempie la bocca con parole tipo "lavoro in équipe" o "lavoro in team" secondo la lingua estera preferita, c'è qualcuno che evidentemente a parole condivide ma nei fatti quotidiani non è d'accordo. Noi professiamo il credo del "lavoro in squadra" da quando siamo nati nel 1978 e non pensiamo che ci siano bianchi o neri, ma solo persone che lavorano più e meno seriamente nell'ambito delle proprie competenze. Ci spiace quando ci accorgiamo che non tutti la pensano così". Ma alla fine non l'abbiamo inviata, immolandola alle necessità politiche di buon vicinato, anche se è questa una buona occasione per tornare sull'argomento. Chiaramente di questo lavoro di Rothstein si è occupato Boccardi con il suo PdV a pag. 261, e non poteva essere altrimenti.

L'ultimo editoriale a pag. 262, articolo ONLINE, si occupa di Linee Guida, altro argomento caro sia a Physical Therapy che a noi. Analogo anche il tema di un editoriale su Manual Therapy di Jull a pag. 262, articolo ONLINE, sia pure considerato dal solo punto di vista della Medicina Manuale: qui si riflette sui diversi approcci terapeutici in questa particolare branca della Medicina.

Infine, Ullrich a pag. 262, articolo ONLINE, indaga pregi ed insidie di quell'enorme e magnifico strumento che oggi abbiamo a disposizione che si chiama Internet. I nostri Soci sanno quanto ci teniamo, conoscono come il Sito del GSS sia recensito oggi come secondo per importanza AL MONDO nel campo della scoliosi, sulla base delle considerazioni di Health on the Net Foundation, ossia del motore di ricerca etico in medicina più importante e noto, che non si accontenta di recensire, ma visita periodicamente i Siti considerati per verificare l'attendibilità di quanto in essi riportato. Il nostro Sito è un nostro orgoglio, che i Soci dimostrano di apprezzare, visto che oggi oltre il 50% ha oramai accesso direttamente anche a questa parte fondamentale del nostro lavoro di aggiornamento: anche qui siamo all'avanguardia, se si pensa che meno del 30% degli Italiani usano Internet. Bene, questo articolo va letto per metterci dal punto di vista dei nostri pazienti ed offrire loro i giusti consigli, nonché per pensare operativamente come sfruttare anche noi al meglio ed in modo eticamente corretto questo strumento.

Le pagine verdi: tutti i dettagli su mobilizzazione ed allenamento della resistenza muscolare

Dire che i due lavori di Holmes a pag. 189 e di Sanders a pag. 206 sono completi ed esaustivi rischia addirittura di essere riduttivo per due contributi così ben condotti e concepiti, che continuano la serie di studi iniziata nel fascicolo scorso sulle varie tecniche di applicazione dell'esercizio a scopo terapeutico. Infatti, dopo aver adeguatamente introdotto gli argomenti, averne valutato le basi scientifiche e considerato delle coerenti Linee Guida cliniche di applicazione, entrambi approfondiscono con dovizia di particolari, come si addice alle nostre Pagine Verdi, le tecniche applicative relative alla mobilizzazione articolare il primo ed all'allenamento della resistenza muscolare il secondo, anche se per quest'ultimo la tecnica applicativa vera e propria viene ricavata da tutta la parte teorica pregressa. Entrambi si concludono con la prospettiva applicativa in ambito geriatrico e pediatrico e con lo studio di un caso clinico. Se un limite è necessario trovare, esso va identificato nella non assoluta specificità applicativa all'ambito della colonna vertebrale, ma l'importanza anche didattica di questi contributi era tale che non li abbiamo potuti ignorare.

Dopo aver come di consueto ricordato l'atteso appuntamento fisso con il nostro Carlo Trevisan per "In breve dalla letteratura" a pag. 263 vi auguriamo buona lettura quindi ed arrivederci, per chi può partecipare, alla Giornata di Aggiornamento di novembre !

 

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del II fascicolo 2003

  1. La scoliosi dell'adulto. Una analisi radiologica e clinica di tipo quantitativo
    Estratto da: Schwab FJ, Smith VA, Biserni M, Gamez L, Farcy J-P C, Pagala M. Adult scoliosis. A Quantitavite Radiographic and Clinical Analysis. Spine 2002: 27(4);387-392 (Referenze Bibliografiche n. 18).

  2. Il trattamento della scoliosi lombare dell'adulto con uno scaricamento vertebrale assiale
    Estratto da: Hales J, Larson P, Iaizzo PA. Treatment of Adult Lumbar Scoliosis With Axial Spinal Unloading Using the LTX3000 Lumbar Rehabilitation System. Spine 2002:27(3);E71-E79 (Referenze Bibliografiche n. 46).

  3. La densità minerale ossea e la scoliosi. Uno studio della densità minerale ossea in una popolazione di giovani donne trattate per una scoliosi dell'adolescenza
    Estratto da: Courtois I, Ebermeyer E, Mouilleseaux B. Densité Minérale Osseuse et Scoliose. Etude de la Densité Osseuse Dans une Population de Jeunes Femmes Scoliotique Traitées dans l'Adolescence. Résonances Européennes du Rachis 2002 : 31 ;1207-1219 (Referenze Bibliografiche n. 26).

  4. Riduzione del rischio di cadute attraverso un allenamento alla postura propriocettiva e dinamica nelle donne osteoporotiche con postura cifotica
    Estratto da: Sinaky M, Lynn SG. Reducing the Risk of Falls Through Proprioceptive Dynamic Posture Trainig in Osteoporotic Women with Kyphotic Posturing. A Randomized Pilot Study. Am J Phys Med Rehabil 2002:81(4);241-246 (Referenze Bibliografiche n. 24).

  5. La qualità della vita e il mal di schiena. Risultati 16.7 anni dopo intervento di Harrington
    Estratto da: Götze C, Liljenqvist UR, Slomka A, Götze HG, Steinbeck J. Quality of Life and back Pain. Outcome 16.7 Years After Harrington Instrumentation. Spine 2002: 27(13);1456-1464 (Referenze Bibliografiche n. 37)
    Punto di Vista: SL Weinstein

  6. L'effetto della cervicalgia sulla percezione della verticalità: uno studio di gruppo
    Estratto da: Grod JP, Diakow PR. Effect of Neck Pain on Verticality Perception: A Cohort Study. Arch Phys Med Rehabil 2002:83; 412-415 (Referenze bibliografiche n. 22).

  7. Una valutazione ergonomica che confronta i computer desktop, notebook e subnotebook
    Estratto da: Szeto GP, Lee R. An Ergonomic Evaluation Comparing Desktop, Notebook, and Subnotebook Computers. Arch Phys Med Rehabil 2002;83:527-532 (Referenze Bibliografiche n. 23).

  8. I fattori di rischio per lo sviluppo del dolore al collo e agli arti superiori negli adolescenti
    Estratto da: Feldman DE, Shrier I, Rossignoli M, Abenhaim L. Risk Factors for the Development of Neck and Upper Limb Pain in Adolescents. Spine 2002:27(5);523-528 (Referenze Bibliografiche n. 37).

  9. Le scale standard per la misurazione del risultato funzionale inerenti il dolore o la disfunzione a livello cervicale. Una rassegna sistematica
    Estratto da: Pietrobon R, Coeytaux RR, Carey TS, Richardson WJ, Devellis RF. Standard Scales for Measurement of Functional Outcome for Cervical Pain or Dysfunction. A Systematic Review. Spine 2002:27(5):515-522 (Referenze Bibliografiche n. 38).

  10. L'allineamento sagittale della flessione e dell'estensione cervicali. Una analisi delle radiografie laterali
    Estratto da: Takeshima T, Omokawa S, Takaoka T, Araki M, Ueda Y, Takakura Y. Sagittal Alignment of Cervical Flexion and Extension. Lateral Radiographic Analysis. Spine 2002:27(15);E348-355 (Referenze Bibliografiche n. 22).

  11. Le cervicalgie. Raccomandazioni dell'American Physical Therapy Association
    Estratto da: Vaillant J. Cervicalgies. Recommendations de l'American Physical Therapy Association. Kinnésithérapie Scientifique 2002:422; pag. 51-52 (Referenze Bibliografiche n. 1)

  12. Uno studio clinico randomizzato che mette a confronto l'esercizio generale, il trattamento di McKenzie e un gruppo di controllo nei pazienti affetti da cervicalgia
    Estratto da: Kjellman G, Öberg B. A Randomized Clinical Trial Comparing General Exercise, McKenzie Treatment and a Control Group in Patients with Neck Pain. J Rehabil Med 2002:34;183190 (Referenze Bibliografiche n. 30).

  13. Uno studio controllato randomizzato sull'esercizio e sulla terapia manipolativa per il mal di testa cervicogenico
    Estratto da: Jull G, Trott P, Potter H, Zito G, Niere K, Shirley D, Emberson J, Marschner I, Richardson C. A Randomized Controlled Trial of Exercise and Manipulative Therapy for Cervicogenic Headache. Spine 2002:27(17);1835-1843 (Referenze Bibliografiche n. 49).
    Punto di vista: HT Triano

  14. Le lesioni al rachide cervicale dopo gli incidenti automobilistici: una rassegna sistematica
    Estratto da: Uhrenholt L, Grunnet-Nilsson N, Hartvigsen J. Cervical Spine Lesions after Road Traffic Accidents. A systematic review. Spine 2002:27(17);1934-1941 (Referenze Bibliografiche n. 73).
    Punto di vista: N Bogduk

  15. La disfunzione muscolare cervicale nel disturbo di Grado 2 associato al colpo di frusta. La rilevanza del trauma
    Estratto da: Nederhand MJ e coll.. Cervical Muscle Dysfunction in Chronic Whiplash-Associated Disorder Grade 2. Spine 2002: 27(10);1056-1061 (Referenze Bibliografiche n. 21).

  16. Linee guida per la pratica clinica, rivolta alla fisioterapia dei paziente con disturbi legati al colpo di frusta
    Estratto da: Scholten-Peeters GGM, Bekkering GE, Verhagen AP, van der Windt DAWM, Lanser K, Hendriks EJM, Oostendorp RAB. Clinical Practice Guideline for the Physiotherapy fo Patients With Whiplash-Associated Disorders. Spine 2002:27(4);412-422 (Referenze Bibliografiche n. 78)

  17. La terapia continuativa con impacchi tiepidi ha una maggiore efficacia rispetto all'ibuprofene e all'acetaminofene per il mal di schiena acuto
    Estratto da: Nadler SF, Steiner DJ, Erasala GN, Hengehold DA, Hinkle RT, Goodale MB, Abeln SB, Weingand KW. Continuous Low-Level Heat Wrap Therapy Provides More Efficacy Than Ibuprofen and Acetaminophen for Acute Low Back Pain. Spine 2002:27(10);1012-1017 (Referenze Bibliografiche n. 31).

  18. Il riposo a letto o la normale attività per i pazienti con un mal di schiena acuto. Uno studio controllato randomizzato
    Estratto da: Rozenberg S, Delval C, Rezvani Y, Olivieri-Apicella N, Kuntz JL, Legrand E, Valant JP, Blotman F, Meadeb J, Rolland D, Hary S, Duplan B, Feldmann JL, Bourgeois P. Spine 2002:27(14);1487-1493 (Referenze Bibliografiche n. 19).

  19. La rassegna di Cochrane inerente il consiglio di rimanere attivi come trattamento singolo per il mal di schiena e la sciatica
    Estratto da: KB Hagen, G Hilde, G Jamtvedt, MF Winnem. The Cochrane Review of Advice to Stay Active As a Single Treatment for Low Back Pain and Sciatica. Spine 2002:27(16);1736-1741 (Referenze Bibliografiche n. 21).

  20. Un congedo per malattia attivo per i pazienti con mal di schiena
    Estratto da: Scheel IB, Hagen KB, Oxman AD. Active Sick Leave for Patients With Back Pain. All the Payers Onside, but Still No Action. Spine 2002;27(6);654-659 (Referenze Bibliografiche n. 13).

  21. Fattori individuali, carico lavorativo ed esercizi fisici come predittori del dolore sciatico
    Estratto da: Miranda H, Viikari-Juntura E, Martikainen R, Takala EP, Riihimäki H. Individual Factors, Occupational Loading, and Physical Exercise as Predictors of Sciatic Pain. Spine 2002:27(10);1102-1109 (Referenze Bibliografiche n. 36).
    Punto di vista: C Murray

  22. Uno studio pilota sulla guarigione dalla paresi dopo un'ernia del disco lombare
    Estratto da: Dubourg G e coll. A Pilot Study of the Recovery from Paresis After Lumbar Disc Herniation. Spine 2002:27(13);1426-1432 (Referenze Bibliografiche n. 17).
    Punto di vista: JD Lurie

  23. La diatermia a onde corte: una rassegna degli studi clinici esistenti
    Estratto da: Shields N, Gormley J, O'Hare N. Short-Wave Diathermy: A Review of Existing Clinical Trials. Physical Therapy Reviews 2001:6;101-118 (Referenze Bibliografiche n. 87).

  24. L'adattamento del tessuto allo stress fisico: una "Teoria dello stress fisico" proposta per guidare la pratica, la formazione e la ricerca fisioterapiche. Ia parte
    Estratto da: Mueller MJ, Maluf KS. Tissue Adaptation to Physical Stress: A Proposed "Physical Stress Theory" to Guide Physical Therapist Practice, Education, and Research. Physical Therapy 2002:82(4);383-403 (Referenze Bibliografiche n. 151)

  25. Chi siamo rispetto a cosa facciamo
    Estratto da: Rothstein JM. Who We Are Versus What We Do. Physical Therapy 2002:82(7);646-647 (Referenze Bibliografiche n. 3).

  26. Autonomia e dipendenza
    Estratto da: Rothstein JM. Autonomy and Dependency. Physical Therapy 2002:82(8);750-751 (Referenze Bibliografiche n. 2).
    Punto di Vista: S Boccardi

    Tecnica

  1. Mobilizzazione articolare
    Estratto da: Holmes CF, Keely G. Joint Mobilization. In: Therapeutic Exercise. Techniques for Intervention., pp. 63-84, Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, 2001 (Referenze Bibliografiche n. 20)

  2. Principi di allenamento alla resistenza
    Estratto da: Sanders M, Sanders B. Princicples of Resistance Training. In: Therapeutic Exercise. Techniques for Intervention., pp. 87-100, Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, 2001 (Referenze Bibliografiche n. 37)

    Online

  1. Pratica autonoma o ignoranza autonoma?
    Estratto da: Rothstein JM. Autonomous Practice of Autonomous Ignorange? Physical Therapy 2001:81(10);1620-1622 (Referenze Bibliografiche n. 4).

  2. Gli approcci alla terapia manipolativa sono gli stessi?
    Estratto da: Jull G, Moore A. Editorial. Are manipulative therapy approaches the same? Manual Therapy 2002:7(2)-63

  3. L'educazione del paziente su Internet. Opportunità e insidie
    Estratto da: Ullrich PF, Vaccaro AR. Patient Education on the Internet. Opportunities and Pitfalls. Spine 2002:27(7);E185-E188 (Referenze Bibliografiche n. 7).

Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.


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