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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del I fascicolo 2003


Stefano Negrini
Segretario Scientifico Nazionale del Gruppo di Studio Scoliosi e patologie vertebrali (GSS)
Direttore Scientifico di ISICO (Istituto Scientifico Italiano Colonna vertebrale), Milano

Scoliosi: eziopatogenesi, biomeccanica, postura e disturbi alimentari
La lombalgia dal punto di vista sociale ed economico
Elementi eziopatogenetici e/o fattori di rischio certi o da studiare ulteriormente per la lombalgia
Due editoriali in conclusione: invecchiamento dei muscoli e ricerca in fisioterapia
Pagine Verdi: stretching e recupero del range articolare
Indice

25 anni di GSS: un compleanno simbolico, da non dimenticare.

Negli anni il nostro Gruppo è diventato una solida certezza nel panorama scientifico nazionale: sempre pronti a crescere, a migliorare secondo quanto le nuove tecnologie ci offrono. Quest'anno avremo poi finalmente la sfida dell'ECM a distanza, cui ci siamo preparati l'anno scorso in attesa delle Linee Guida ministeriali: a questo punto dovremmo finalmente esserci ed una apposita comunicazione sull'argomento consentirà a tutti gli interessati di sapere cosa e come fare. Quindi, buon anno di aggiornamento con il GSS.

Il primo lavoro di questo primo fascicolo 2003 è un doveroso riconoscimento ad un atto formale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che è destinato a modificare negli anni il lavoro di chi si occupa di Riabilitazione, esattamente come nel 1980 la classificazione ICIDH (che definì i termini menomazione, disabilità ed handicap, utilizzati per caratterizzare le condizioni di salute che non potevano essere descritte con la classica definizione di malattia) ha improntato per 20 anni il nostro approccio "filosofico" quotidiano al lavoro (e quella classificazione non era stata approvata dall'OMS). Nel maggio 2001 è infatti stata approvata la ICF (International Classificazione of Functioning, Disability and Health - Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, in Italiano) e l'articolo di Dahl ce ne presenta i concetti essenziali e le premesse metodologiche e filosofiche che ne hanno portato allo sviluppo. Egli ne discute già alcuni limiti e problemi, anche se prima di avere una nuova versione passeranno presumibilmente molti anni e per tutto questo tempo ne saremo influenzati: val la pena leggere e conoscere questa Classificazione, ed esservi introdotti tramite questo articolo è sicuramente utile sia per chi sapeva che era stata pubblicata, sia soprattutto per chi non lo sapeva.

Scoliosi: eziopatogenesi, biomeccanica, postura e disturbi alimentari

Da dove viene la scoliosi? Quale la sua origine ? Il lavoro di Porter ci accompagna in una affascinante ipotesi (mancato accoppiamento nella crescita di midollo e colonna vertebrale) che l'autore aveva già avanzato in passato e di cui qui sostiene la forza attraverso una serie di argomentazioni che è utile leggere in quanto caratterizzano alcuni aspetti della scoliosi oramai scientificamente accertati ed incontrovertibili. Questa ipotesi ci pare affascinante, ma l'elencazione di prove a favore presentate reggono certamente per chi voglia credere all'ipotesi, ma non possono convincere chi abbia in mente altre possibilità. Leggere questo lavoro ci ha fatto venire in mente la brillante considerazione di Deyo che avevamo presentato qualche anno fa in un fascicolo del GSS, laddove sosteneva che, con le domande sbagliate, ossia dimostrando che non c'erano differenze statisticamente significative per forma, colore, contenuto in zucchero, composizione secca, presenza di una polpa circondata da una buccia, si sarebbe potuto affermare con certezza scientifica che due frutti erano identici … anche se uno era una mela e l'altro un'arancia ! Personalmente (ma non sono di certo solo in questa credenza!) penso che la scoliosi sia una sindrome, una via finale comune (la deformità vertebrale) in cui confluiscono una serie di patologie fruste che non si esplicano completamente se non appunto con la scoliosi idiopatica. Può quindi anche essere vera questa bella ipotesi di Porter, ma non certo assolutizzabile, e comunque necessita di prove serie e ben più convincenti.

Bello il lavoro teorico di Perdriolle, che continua ad approfondire la biomeccanica della scoliosi (conseguenza e non causa, anche secondo lui, della patologia: ossia possibilmente determinante nella patogenesi, una volta che l'eziologia si sia manifestata). Questo studio affascinante dimostra nuovamente come la scoliosi sia una deformità che si evolve in piani diversi da quelli che siamo abituati a vedere su una radiografia anteroposteriore e laterale. La novità è qui che egli dimostra come sia possibile identificare un piano di elezione della curva dove essa è tutta contenuta mantenendo la propria ortogonalità "normale": l'anormalità è che questo piano si è disposto in maniera autonoma rispetto ai due piani ortogonali corporei. Confrontando la Figura 2 con la Figura 7 è però anche possibile vedere come la scoliosi sia un dorso piatto totale sul suo piano sagittale: conferma che a livello dorsale la scoliosi evolve in lordosi, ma a livello lombare in cifosi. La comprensione tridimensionale delle curve scoliotiche, o meglio una sua sistemizzazione è lungi dall'essere stata raggiunta. Questo studio è un significativo passo in questa direzione e come ben esprimono gli autori nella discussione è importante poiché sia le correzioni ortesiche che quelle chirurgiche si avvalgono di strumenti "tridimensionali" che abbisognano di strumenti di lettura e valutazione.

Anche Delorme ci prende per mano per affrontare il difficile tema della tridimensionalità della scoliosi, studiando un fenomeno prettamente chirurgico, come quello del "crankshaft" e dimostrando come la valutazione bidimensionale del solo angolo di Cobb e della rotazione vertebrale in realtà non sia corretta: come volevasi dimostrare la lettura 2D è ben diversa da una completa e corretta lettura 3D: il problema è dotarsi di strumenti comprensibili ! E' peraltro bene sottolineare per chi non lo sapesse che anche dopo una correzione chirurgica in età evolutiva vi possono essere dei deterioramenti delle curve sottoposte ad artrodesi e quindi l'azione di sorveglianza e supporto non si esaurisce con l'atto chirurgico.

Nault dimostra la presenza di relazione tra la stabilità in postura eretta ed i parametri posturali corporei, ossia i malallineamenti tipici del soggetto scoliotico, dovuti in parte direttamente alla deformità scoliotica, in parte al fatto che i soggetti scoliotici presentano delle asimmetrie corporee in numero ben maggiore rispetto ai normali. Le relazioni tra postura, stabilità e scoliosi fanno intravedere quel danno neurologico sub-clinico che viene citato anche nell'articolo di Porter a sostegno dell'ipotesi eziopatogenetica dell'asimmetria della crescita neuro-ossea. Peraltro è anche una delle più pesanti prove a sostegno di una possibile origine neurologica della scoliosi idiopatica.

Ci asteniamo dal commentare il nostro lavoro (Negrini), del quale vogliamo solo sottolineare la possibile utilità quotidiana, in quanto offre dei range di errore legati al soggetto che viene misurato per i parametri clinici che normalmente si valutano nel paziente scoliotico. Un elemento teorico interessante è invece il riconoscere come la postura non sia statica, ma dinamica, e provarlo con i numeri.

Tutti noi che ci occupiamo di scoliosi abbiamo avuto qualche paziente anoressica e scoliotica: quelle pazienti che sembrano di corporatura normale e poi si levano cinque maglie in piena estate fino a scoprire un corpicino scheletrico. Ma di certo non sono il 25% dei nostri pazienti, come vorrebbe far pensare il lavoro di Smith. Infatti sappiamo anche da qualche anno che chi soffre di scoliosi è più alto ed ha una corporatura più sottile rispetto alla media: questo studio potrebbe essere solo una conferma di quel lavoro. Questi aspetti psicologici li possiamo capire se secondari alla scoperta della scoliosi o al trattamento, altrimenti ci viene difficile immaginare una correlazione tra anoressia e scoliosi. Peraltro lo studio richiama al concetto che la scoliosi non è solo una deformità del rachide, ma bensì una malattia che colpisce categorie particolari di pazienti, ragazze in età adolescenziale, con risvolti psicologici spesso sottovalutati. In questo caso, la focalizzazione su un potenziale rischio di anoressia è comunque importante e da non scartare a priori.

Infine, riprendiamo con Edgar a pag. 35 la nuova classificazione della scoliosi proposta da Lenke. Il richiamo è molto utile perché spiega in modo rapido ed efficace questa nuova classificazione con la quale probabilmente tutti gli operatori avranno presto a che fare, soprattutto in ambito chirurgico.


La lombalgia dal punto di vista sociale ed economico

Avevamo già parlato del lavoro di Buchbinder nell'ultimo fascicolo del 2002: lo presentiamo nella versione che ha vinto il Volvo Award nel 2001, dimostrando come una campagna stampa ben condotta e con dei corretti contenuti possa ridurre enormemente l'impatto clinico ed economico della lombalgia. Anche in questo studio appare come il mal di schiena assuma sempre di più i connotati di una patologia psico-sociale. La campagna pubblicitaria sanitaria è tra i mezzi appropriati per modificare soprattutto gli atteggiamenti "culturali" della popolazione. In questo studio si afferma l'efficacia di un'azione di tipo culturale su un evento di salute pubblica che si connota pertanto come fortemente influenzato dalle attitudini dei pazienti.

Se una campagna di massa agisce su tutti, ma anche sui medici di medicina generale come ben sottolineato nel lavoro precedente, questi ultimi sono uno dei punti essenziali dell'azione che si sta oggi intraprendendo nel campo della lombalgia per ridurne l'impatto sociale ed economico. Il lavoro di Borkan riprende i risultati di un Forum internazionale che si riunisce proprio per discutere di questi problemi. Interessantissima la lettura per sapere dove si è arrivati nel campo della lombalgia e dove ci si deve ulteriormente dirigere con la ricerca.

Ecco un lavoro che vale la pena discutere a fondo, perché si presta a molteplici interpretazioni e le chiavi di lettura possono di molto differire. BenDebba rivede i risultati dei trattamenti per mal di schiena e sciatica persistenti negli USA. Prima di tutto la definizione di lombalgia persistente: si tratterebbe di una categoria particolare di pazienti cronici, la cui reale differenza dagli altri secondo gli autori è nella ricerca di un aiuto ulteriore presso chirurghi esperti di lombalgia. Mi sembra una definizione un po' debole, anche se è vero che esiste una categoria di persone lombalgiche croniche senza tutte le complete "stimmate" psicologiche del lombalgico cronico classico, ma classificarli in base al fatto che abbiano ricercato un aiuto esperto non è secondo me corretto, perché questa ricerca è tipica anche del lombalgico cronico classico: conta probabilmente di più la vera volontà e determinazione di venirne fuori, un atteggiamento comunque attivo contro la patologia, ma non correttamente aiutato dall'esterno ad esprimersi. Quindi questi pazienti probabilmente esistono, ma non credo coincidano con la modalità di definizione qui proposta: questo ovviamente cambia alcuni aspetti del lavoro, ma non li modifica in toto. Ora nel merito del lavoro. Un primo codice di lettura potrebbe sostenere che l'intervento chirurgico immediato ha dato il miglior risultato, ma solo per un gruppo molto selezionato di casi (il 14% circa). Quindi l'indicazione è determinante per il risultato (che infatti non è stato buono laddove l'intervento chirurgico è stato fatto o in un secondo tempo o da altri a dispetto delle indicazioni dei chirurghi partecipanti allo studio). Per tutti gli altri pazienti sembrerebbe quindi necessario raffinare ulteriormente i protocolli riabilitativi. Va però aggiunto che lo studio è stato condotto in un ambito prettamente chirurgico, quindi è probabile che i protocolli conservativi proposti non fossero all'altezza di quelli chirurgici. Inoltre succede che i pazienti si rivolgano ai medici anche in base alla loro fama, a quello che si sa che essi fanno (ossia chi pensa che la sua soluzione sia la chirurgia tende ad andare dal chirurgo, viceversa chi pensa che la sua soluzione sia la riabilitazione tende ad andare dal riabilitatore): in questi casi finiscono per coincidere le aspettative del medico e del paziente e quindi si ottengono i migliori risultati. Se si legge in questo senso il lavoro, allora solo nel 14% dei casi in cui c'è stata la piena coincidenza di aspettative tra medico e paziente si è anche ottenuto il miglior risultato. Chiaro è che i medici coscienziosamente hanno orientato i pazienti verso il trattamento preferito solo ed esclusivamente nel caso in cui il paziente ne avesse avuto la necessità. Però probabilmente se gli esperti fossero stati non chirurgi ma riabilitatori, in casi come quelli considerati di lombalgia cronica in cui l'indicazione al trattamento cosiddetto conservativo (in realtà riabilitativo) è ben più frequente, la percentuale di elevato successo sarebbe stata ben più alta (fermo restando che ai riabilitatori si rivolgono pazienti che pensano di aver bisogno di riabilitazione, quindi pazienti diversi da quelli considerati in questo studio non per patologia ma per aspettative rispetto al trattamento). Torniamo quindi in un certo senso al lavoro precedente: quanto può contare una corretta campagna di mass media per orientare adeguatamente i risultati terapeutici in questo campo !

Cosa fanno i fisioterapisti nella loro pratica quotidiana ? A questa domanda risponde Gracey, sia pure ovviamente rivolgendosi ai fisioterapisti di casa sua, in Irlanda del nord. E' però molto interessante leggere l'articolo, sia per i continui paragoni con gli USA (quindi in realtà vengono considerate due diverse realtà territoriali) sia per i possibili confronti che possiamo fare con casa nostra. Quanti esauriscono il loro intervento in 6-7 sedute ? Probabilmente molti (almeno tra i nostri Soci) in regime libero-professionale, forse pochi (forzatamente) in regime di convenzionamento con il SSN, dove i vincoli imposti dalle modalità di erogazione e pagamento delle prestazioni spesso obbligano a lavorare in modo diverso e purtroppo, per lo meno in questo campo, spesso poco coerente con quanto si dovrebbe fare: spesso infatti si è costretti a fare ciò che si può e non ciò che si deve. Quanti poi applicano le tecniche riportate nella Tabella ? In questo caso ovviamente le differenze non dipendono dalla giustezza o meno della tecnica, quanto piuttosto da "usi e costumi" culturali locali: ma la differenza con l'Italia secondo me spicca abbastanza, almeno per la mia conoscenza della nostra realtà riabilitativa sui problemi del rachide. In ogni caso, qualunque possibile progetto di implementazione della gestione del paziente con lombalgia nell'ambito di un Sistema Sanitario richiede inderogabilmente una sufficiente conoscenza della situazione della pratica clinica quotidiana corrente. Sarebbe auspicabile che anche qui in Italia si potesse raccogliere qualche dato simile a quelli ben esposti in questa interessante indagine.

Elementi eziopatogenetici e/o fattori di rischio certi o da studiare ulteriormente per la lombalgia

Bingo! con il magistrale PdV di Boccardi, suscitato dall'interessante lavoro di Sahrmann. Una visione un po' integralista del dolore lombare come fattore "bio-psico-sociale" e non quindi "meccanico" da postura potrebbe portare ad affermare che con questo lavoro si fa un passo indietro. Di certo è inutile ed assurdo cercare se il dolore è dovuto ad una spalla più bassa o ad una eccessiva lordosi. La rieducazione posturale ha però una serie di altri significati pratici che vengono ben sottolineati: è possibile infatti migliorare l'ergonomia del sistema e dare una "disciplina" al paziente che lo convinca della sua possibilità di controllarsi e controllare il dolore. Inoltre, eliminare dalla valutazione riabilitativa del paziente una valutazione della postura è per un rieducatore come eliminare l'anamnesi per un medico: l'attenta lettura del corpo, di come viene atteggiato e come si comporta in fase "statica" e dinamica, consente di estrapolare una serie di dati essenziali che, se non assolutizzati, né tanto meno demonizzati, sono un quadro di riferimento essenziale per intervenire e, in alcuni casi, anche verificare quanto fatto. In questo senso è quindi utile leggere anche il lavoro di O'Sullivan, che appare anche più coerente in termini scientifici: la rieducazione posturale secondo questa impostazione assume un ruolo di ricondizionamento neuro-muscolare verso livelli di efficienza maggiori ai fini della protezione delle strutture capsulo-legamentose che notoriamente sono chiamate a vicariare, ma solo per breve tempo, l'azione di sostegno e stabilizzazione data dai muscoli.

Spesso abbiamo pensato di proporre, ed a volte anche direttamente insegnato ai nostri pazienti alcuni esercizi da svolgere molto rapidamente sul posto di lavoro. Lo studio di Fenety è sicuramente interessante perché valuta un'area del disagio occupazionale ben nota ed estremamente diffusa. Dopo una attenta revisione di quanto esiste in letteratura, l'autore sottolinea un aspetto che spesso invece viene trascurato: quello dei movimenti involontari svolti sul posto di lavoro che degli esercizi ben fatti dovrebbero favorire e non inibire. Quindi qualcosa di nuovo pure in un quadro ben consolidato.

Allenare questo o quel muscolo ? Rinforzare gli addominali o gli estensori ? Sembra di tornare a certe diatribe degli anni '60, ma anche '70 ed '80 (possiamo dire che sono sparite del tutto dai nostri Congressi d'oggi?: a volte purtroppo no) che appassionavano enormemente i cultori della riabilitazione che tendevano a fermarsi sul ruolo dei muscoli come fattori passivi di sostegno e non come elementi integrati in un unicum dato dal sistema neuromotorio. Eppure questa lettura un po' datata viene reinterpretata da Rissanen, articolo ONLINE, in un modo nuovo ed originale, nonché interessante per il campione utilizzato, che viene rivisto a 20 anni di distanza suddiviso in base alle condizioni della muscolatura estensoria del tronco. Questa risulta protettiva contro il mal di schiena, ma di certo ci si dovrebbe chiedere se gli estensori forti siano un dato da interpretare in sé o solo un indice di una modalità di comportamento o di alcune caratteristiche fisiche di altro tipo utili al rachide. Insomma, tutto da approfondire ancora.

Sulla stessa falsariga si muove Matheson, articolo ONLINE, che però introduce una novità andando a correlare tra loro elementi considerati predittivi di una migliore condizione del rachide: la buona capacità degli estensori del tronco e la buona forma fisica aerobica. Qualcuno potrebbe pensare che siano necessariamente tra loro correlati, mentre il lavoro dimostra che sono due elementi predittivi di una migliore capacità di sollevamento di pesi (questo però ovviamente non coincide con una buona salute della colonna) che hanno un valore indipendente, spiegando rispettivamente l'11% ed il 27% della varianza, arrivando al 43% considerandole insieme. In un certo senso questo risultato potrebbe stupire, da un altro indica che migliore è la condizione fisica in generale e migliore è il risultato difensivo per la colonna, per lo meno rispetto al sollevamento dei carichi.

Da anni è oramai dimostrato che perdere l'equilibrio durante il sollevamento di un carico predispone ai dolori. In questo caso, con Lee, ci si trova di fronte ad un carico instabile, ma la cui entità è prevista. Sono chiare le difficoltà maggiori che si potrebbero avere per un carico instabile ed imprevisto. Interessante come i risultati giustifichino la tendenza spontanea a ricorrere al sollevamento con flessione del rachide, rispetto a quello con flessione delle ginocchia. Questo si correla allo studio successivo, anch'esso molto interessante, di Heiss. Qui la flessione lombare maggiore e la minore flessione del ginocchio, con il mantenimento di un centro di massa più elevato, risulta collegato con una minor perdita di equilibrio: ora, se la minor perdita di equilibrio è correlata ad una minore probabilità di farsi del male, è più importante piegare le ginocchia per bene e rischiare di perdere l'equilibrio di più, oppure piegarle di meno e correre meno rischi di perdere l'equilibrio ? Qual è il male minore ? Che cosa farà "meno male" alla schiena ? L'ergonomia dovrebbe allora essere riletta e reinterpretata: se si sa con esattezza quale carico sollevare dovrebbe essere meglio piegare le ginocchia, se il carico può essere inaspettato allora forse è meglio una posizione più stabile. Tutto ciò comunque apre la strada ad una considerazione fondamentale: poiché l'esecuzione di un compito motorio è fatta in realtà da una miriade di aggiustamenti e coordinazioni di difficile lettura immediata, piuttosto che teorizzare l'ergonomia sulla base del poco che presumiamo di conoscere è meglio studiare i tratti caratteristici del movimento che viene eseguito con successo (i soggetti che sono riusciti a non sbilanciarsi nel sollevare un carico importante inatteso) per individuare gli elementi essenziali di tale successo. E' evidente che nella stragrande maggioranza dei casi un soggetto abituato ad una certa attività fisica finirà per svolgere i compiti richiesti con la massima ergonomia complessiva.

Il solito Marras, autore di brillanti studi biomeccanici su coerenti basi di conoscenza della lombalgia (vi ricordate lo studio sul sollevamento di carichi in condizioni psicologiche favorevoli - mille complimenti - o sfavorevoli - insulti ?), suggerisce, sulla base di una interpretazione coerente dei risultati del proprio studio, che probabilmente i pazienti con lombalgia beneficerebbero maggiormente di tecniche di miglioramento della coordinazione (condizionamento cinematico) che non del condizionamento alla forza. In caso di mal di schiena infatti il paziente, al fine di prevenire un danno, tende ad intervenire con una co-contrazione muscolare che incrementa notevolmente i carichi a livello del rachide. A questo si aggiunge con un effetto moltiplicativo il sovrappeso: ecco quindi l'altro suggerimento per il lombalgico, per il quale la diminuzione di peso non ha un effetto meccanico legato al solo peso in sé, ma in realtà notevolmente aumentato da questo fenomeno di sovraccarico da carenza neuromotoria del movimento. E da qui arriviamo al lavoro di Newcomer, certamente meno brillante nell'impostazione, che approfondisce le modalità di attivazione della muscolatura del tronco nei soggetti normali e patologici, verificando come siano in questi ultimi notevolmente alterati nel timing e nelle modalità effettive di utilizzo. L'analisi biomeccanica che ne consegue è puntuale, ma l'interpretazione di fondo di Marras è certamente più coerente ed ampia nelle premesse e quindi nelle conclusioni. Sempre da questo studio si deve secondo noi partire anche per rivedere i due successivi. Entrambi infatti (Richardson e Ng, articolo ONLINE) si pongono nel filone dei lavori che indagano l'utilità degli esercizi di stabilizzazione per il trattamento della lombalgia, verificandone nel primo caso il valore a livello dell'articolazione sacro-iliaca e nel secondo caso le modalità di affaticamento della muscolatura stabilizzante con relativo effetto biomeccanico sul rachide. Certamente però c'è da chiedersi quanto la co-contrazione della muscolatura stabilizzante che viene posta alla base del lavoro da parte di questi autori sia effettivamente utile e quanto non possa invece, sulla base del lavoro di Marras, incrementare quei carichi sul rachide che a lungo andare possono essere alla base di molti dei problemi del lombalgico. Di certo una fase di passaggio del lavoro in cui sia prevista la co-contrazione può essere essenziale, altrettanto certamente però il meccanismo di utilizzo delle strutture stabilizzanti da parte delle nostre strategie coordinative va ben al di là degli strumenti (compresi gli esercizi stabilizzanti) che noi usiamo per il suo recupero. Senza quindi cadere nel nichilismo dell'assoluta aspecificità, c'è anche da chiedersi fino a che punto sia assolutamente necessario passare attraverso percorsi troppo specifici e pesanti per tutti i pazienti.

Questa serie di articoli sull'attività muscolare nella lombalgia può essere letta come un mosaico che tenta di caratterizzare le ampie disfunzioni presenti in questa categoria di pazienti. Molte le osservazioni, molte le spiegazioni, anche se il quadro di riferimento comune tra tutti i ricercatori manca, ossia non si trova un filo comune che armonizzi il tutto e che permetta i necessari distinguo. Per ora sembra necessario accontentarsi di capirne di più, lasciando la risoluzione del rebus più avanti. Fermo restando che le carenze di coordinazione e di controllo neuromotorio sono comunque una chiave di lettura che, andando al controllo del movimento, quindi a monte del muscolo, offre probabilmente la soluzione più coerente con le conoscenze attuali.
In un certo senso è scontato affermare che le malattie osteo-articolari (e quindi anche il mal di schiena) rispondono alle condizioni atmosferiche. Peraltro è interessante qui inferire un possibile collegamento fisico (e non psichico o per non si sa quale motivo) tra la lombalgia e la variazione di pressione atmosferica. In questo caso il collegamento viene supposto con il fenomeno del "vacuum" discale, ossia di quella vacuolizzazione con formazione di sacche di gas azoto entro il disco intervertebrale conseguente al suo invecchiamento. Lettura interessante e sintetica con Kasai.

Due editoriali in conclusione: invecchiamento dei muscoli e ricerca in fisioterapia

Come invecchiano i muscoli ? E' possibile allenarli anche in tarda età ? Il recupero avviene su quali basi fisiologiche ? A tutto questo, ed altro ancora risponde Williams, dopo aver giustamente sottolineato che la popolazione invecchia sempre di più e che dobbiamo approfondire quindi le nostre conoscenze fisiologiche in questo campo se vogliamo ottenere un risultato terapeutico utile. Una lettura classica ed aggiornata, di sicuro interesse per conoscere sempre meglio un argomento di cui non potremo fare a meno in futuro.

Il tema è vecchio, ma sempre d'attualità, perché in effetti fare ricerca in fisioterapia sembra sempre così difficile ! Baxter in questo editoriale molto gustoso e brillante, passando attraverso paradossi come la "eminence based medicine" (medicina basata sulle eminenze) contrapposta alla "evidence based medicine" (medicina basata sulle evidenze), riprende il tema sottolineando ancora una volta che se vogliamo poter affermare qualcosa con ragionevole certezza e contrapporci ai "guru", non c'altra via che la ricerca.

Pagine Verdi: stretching e recupero del range articolare

Prima di tutto due parole sull'impostazione di questi primi due di una serie di articoli di grossa valenza pratica che andremo a presentare a partire da questo primo fascicolo del 2003 nelle nostre Pagine Verdi. Si succedono infatti, dopo una breve introduzione, una presentazione delle basi scientifiche della tecnica presentata, attraverso una breve ma precisa puntualizzazione dei concetti neurofisiologici e teorici fondamentali, cui seguono delle succinte a concrete linee guida cliniche di utilizzazione della tecnica, che viene quindi presentata in dettaglio attraverso tutta una serie di esemplificazioni corredate da una valida iconografia, come giustamente deve essere nelle nostre Pagine Verdi; dopo un esempio clinico molto concreto, conclude il tutto una illustrazione delle prospettive di utilizzo della tecnica in ambito geriatrico e pediatrico.

Cominciamo quindi con Bandy, che ha il grosso merito di illustrare bene lo stretching, senza preconcetti di sorta: infatti, dopo averne viste le basi scientifiche, disquisice di come l'allungamento balistico possa in realtà avere una sua concreta utilità per gli atleti, mentre il PNF sia sicuramente fondamentale in fase riabilitativa, con la grossa pecca però di dipendere necessariamente dalla presenza di un operatore esterno: questo gli fa preferire, anche nella dettagliata illustrazione successiva, la tecnica di allungamento lento e progressivo. Gli esercizi sono poi classici, ben dettagliati, senza particolari voli pindarici: ma la serietà delle premesse e della fase conclusiva meritano la lettura, anche per un ripasso attendibile, con una moderna e coerente chiave di lettura, dell'esistente sull'argomento.

Fletcher presenta un lavoro sull'articolarità che nella parte pratica segue una impostazione classica con alcune soluzioni per il recupero articolare passivo senza ausilio di un riabilitatore che sono già viste ma spesso non generalizzate, a causa della nota preferenza a lavorare sul paziente piuttosto che far lavorare il paziente. Questa preferenza però non è condivisibile per una serie di motivi che includono da un lato le ristrettezze economiche che oramai pesano molto sulla riabilitazione, dall'altro il fatto che si inibisce il percorso di auto-aiuto che il paziente deve necessariamente fare, dall'altro ancora perché è vero che il "meglio è nemico del bene", ossia in questo caso l'assoluta precisione che il riabilitatore può avere lavorando dall'esterno non può compensare la maggior intensità di ripetizioni (sia pure con una lievemente minore precisione) che il paziente può garantire lavorando da solo. E siamo proprio convinti che il nostro sistema neuromotorio sia così preciso quanto il nostro riabilitatore ? E siamo poi altrettanto convinti di essere così poco bravi nell'insegnare e nel ricontrollare nel tempo la precisione del lavoro del nostro paziente ?

A Carlo Trevisan spetta in toto la parola con il suo "In breve dalla letteratura" che è oramai diventata una pietra miliare molto apprezzata dei nostri fascicoli e che, doverosamente, continuerà anche in questo 2003. Buona lettura quindi e, soprattutto, buon 2003 per festeggiare il 25° anno del nostro Gruppo di Studio !

 

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del I fascicolo 2003

  1. Classificazione internazionale di funzionamento, disabilità e salute: un'introduzione e una discussione del suo potenziale impatto sui servizi di riabilitazione e sulla ricerca
    Estratto da: Dahl TH. International Classification of Functioning, Disability and Health: an Introduction and Discussion of Its Potential Impact on Rehabilitation Services and Research. J Rehabil Med 2002:34;201-4 (Referenze Bibliografiche n. 16).

  2. La patogenesi della scoliosi idiopatica: una crescita neuro-ossea non accoppiata?
    Estratto da: Porter RW. The pathogenesis of idiopathic scoliosis: uncoupled neuro-osseous growth? Eur Spine J 2001: 10;473-481 (Referenze Bibliografiche n. 116).

  3. La scoliosi idiopatica in tre dimensioni. Una successione di deformità bidimensionali?
    Estratto da: Perdriolle R, Le Borgne P, Dansereau J, de Guise J, Labelle H. Idiopathic Scoliosi in Three Dimensions. A Succession of Two-Dimensional Deformities? Spine 2001: 26(24);2719-2726 (Referenze Bibliografiche n. 15)

  4. Il fenomeno del crankshaft. La progressione dell'angolo di Cobb è un buon indicatore nella scoliosi idiopatica dell'adolescenza?
    Estratto da: Delorme S, Labelle H, Aubin C-E. The Crankshaft Phenomenon. Is Cob Angle Progression a Good Indicator in Adolescent Idiopathic Scoliosis? Spine 2002:27(6);E145-E151 (Referenze Bibliografiche n. 36).

  5. Le relazioni fra la stabilità nella posizione eretta e i parametri della postura del corpo nella scoliosi idiopatica dell'adolescenza
    Estratto da: Nault ML, Allard P, Hinse S, Le Blanc R, Caron O, Labelle H, Sadeghi H. Relation Between Standing Stability and Body Posture Parameters in Adolescent Idiopathic Scoliosis. Spine 2002:27(17);1911-1917 (Referenze Bibliografiche n. 47).

  6. La variabilità posturale dei parametri clinici, valutata in posizione ortostatica nella scoliosi idiopatica
    Estratto da: Negrini S, Negrini A, Atanasio S, Carabalona R, Grosso C, Santambrogio GC, Sibilla P. Postural variability of clinical parameters evaluated in orthostatic position in idiopathic scoliosis. Europa Medicophysica 2001:37(3); 135-142 (Referenze Bibliografiche n. 22).

  7. Le indicazioni di un comportamento alimentare disturbato nelle pazienti adolescenti affette da scoliosi idiopatica
    Estratto da: Smith FM, Latchford G, Hall RM, Millner PA, Dickson RA. Indications of disordered eating behaviour in adolescent patients with idiopathic scoliosis. The Journal of Bone and Joint Surgery 2002: 84-B(3);392-394 (Referenze Bibliografiche n. 19).

  8. Una nuova classificazione della scoliosi idiopatica dell'adolescenza
    Estratto da: Edgar M. A new classification of adolescent idiopathic scoliosis. The Lancet 2002:360;270-271 (Referenze Bibliografiche n. 10).

  9. Il vincitore del Volvo Award 2001 per gli studi clinici: gli effetti di una campagna multimediale sulle convinzioni legate al mal di schiena e sulla sua potenziale influenza nei confronti del trattamento del mal di schiena nella medicina di base
    Estratto da: Buchbinder R, Jolley D, Wyatt M. 2001 Volvo Award Winner in Clinical Studies: Effects of a Media Compaign on Back Pain Beliefs and Its Potential Influence of Management of Low Back Pain in General Practice. Spine 2001:26(23);2535-2542 (Referenze Bibliografiche n. 31).

  10. Progressi nel campo del mal di schiena nella medicina di base. Un rapporto dal quarto Forum Internazionale
    Estratto da: Borkan J, Van Tulder M, Reis S, Schiene ML, Croft P, Hermoni D. Advances in the Field of Low Back Pain in Primary Care. A Report from the Fourth International Forum. Spine 2002:27(3);E128-E132 (Referenze Bibliografiche n. 7)

  11. Il mal di schiena e la sciatica persistenti negli Stati Uniti: i risultati del trattamento
    Estratto da: BenDebba M, Torgerson WS, Boyd RJ, Dawson EG, Hardy RW, Robertson JT, Sypert GW, Watts C, Long DM. Persistent Low Back Pain and Sciatica in the United States: Treatment Outcomes. Journal of Spinal Disorders & Techniques 2002:15(1);2-15 (Referenze Bibliografiche n. 21)

  12. Il trattamento fisioterapico del mal di schiena. Un'indagine sulla pratica corrente nell'Irlanda del Nord
    Estratto da: Gracey JH, McDonough SM, Baxter GD. Physiotherapy Management of Low Back Pain. A Survey of Current Practice in Northern Ireland. Spine 2002:27(4);406-411 (Referenze Bibliografiche n. 23).

  13. La valutazione posturale contribuisce alla cura del paziente? Punto di Vista: S Boccardi
    Estratto da: Sahrmann SA. Does Postural Assessment Contribute to Patient Care? Journal of Orthopaedic & Sport Physical Therapy 2002:32(8); 376-378 (Referenze Bibliografiche n. 15).

  14. L'effetto di diverse posture in piedi e sedute sull'attività muscolare del dorso in una popolazione senza dolore
    Estratto da: O'Sullivan PB, Grahamslaw KM, Kendell M, Lapenskie SC, Möller NE, Richards KV. The Effect of Different Standing and Sitting Postures on Trunk Muscle Activity in a Pain-Free Population. Spine 2002:27(11);1238-1244 (Referenze Bibliografiche n. 42).

  15. Gli effetti a breve termine degli esercizi presso la postazione di lavoro sul disagio muscoloscheletrico e sui cambiamenti posturali nei lavoratori sedentari addetti a unità video
    Estratto da: Fenety A, Walker JM. Short-Term Effects of Workstation Exercises on Musculoskeletal Discomfort and Postural Changes in Seated Video Display Unit Workers. Physical Therapy 2002:82(6); 578-588 (Referenze Bibliografiche n. 34)

  16. Le reazioni muscolari e posturali umane nel sollevamento di un carico instabile
    Estratto da: Lee YH, Lee TH. Human Muscular and Postural Respondes in Unstable Load Lifting. Spine 2002:27(17);1881-1886 (Referenze Bibliografiche n. 11)

  17. La perdita di equilibrio durante un sollevamento più pesante del previsto: gli effetti della tecnica di sollevamento
    Estratto da: DG Heiss, RK Shields, HJ Yack. Balance Loss When Lifting a Heavier-Than-Expected Load: Effects of Lifting Technique. Arch Phys Med Rehabil 2002: 83;48-33 (Referenze Bibliografiche n. 33).

  18. Le caratteristiche del carico del rachide nei pazienti con mal di schiena, confrontati con gli individui asintomatici
    Estratto da: Marras WS, Davis KG, Ferguson SA, Lucas BR, Gupta P. Spine Loading Characteristics of Patients With Low Back Pain Compared With Asymptomatic Individuals. Spine 2001:26(23);2566-2574 (Referenze Bibliografiche n. 61).

  19. Tipi di attivazione muscolare nei soggetti con e senza mal di schiena
    Estratto da: Newcomer KL, Jacobson TD, Gabriel DA, Larson DR, Brey RH, An KN. Muscle Activation Patterns in Subjects With and Without Low Back Pain. Arch Phys Med Rehabil 2002:83;816-821 (Referenze Bibliografiche n. 47).

  20. La relazione fra i muscoli trasversi dell'addome, le meccaniche dell'articolazione sacro-iliaca e il mal di schiena
    Estratto da: Richardson CA, Snijders CJ, Hides JA, Damen L, Pas MS, Storm J. The Relation Between Trasversus Abdominis Muscles, Sacroiliac Joint Mechanics, and Low Back Pain. Spine 2002:27(4);399-405 (Referenze Bibliografiche n. 22).

  21. Il cambiamento della pressione barometrica influenza il mal di schiena nei pazienti con vacuum del disco intervertebrale lombare
    Estratto da: Kasai Y, Takegami K, Uchida A. Change of Barometric Pressure Influences Low Back Pain in Patients with Vacuum Phenomenon Within Lumbar Intervertebral Disc. Journal of Spinal Disorders & Techniques 2002:15(4);290-293 (Referenze Bibliografiche n. 9).

  22. L'invecchiamento del muscolo scheletrico: i cambiamenti fisiologici e gli effetti dell'allenamento
    Estratto da: Williams GN, Higgins MJ, Lewek MD. Aging Skeletal Muscle: Physiologic Changes and the Effects of Training. Phys Ther. 2002:82(1);62-68 (Referenze Bibliografiche n. 53).

  23. Editoriale. La ricerca nella fisioterapia: perché non si può fare?
    Estratto da: Baxter D. Editorial Research in Physical Therapy: Why Can't It Be Done? Physical Therapy Reviews 2002:7;3-4 (Referenze Bibliografiche n. 2).
    Tecnica

  1. Range di movimento
    Estratto da: Fletcher JP .Range of Motion. In: Therapeutic Exercise. Techniques for Intervention., pp. 13-36, Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, 2001 (Referenze Bibliografiche n. 22)

  2. Le attività di allungamento per aumentare la flessibilità muscolare
    Estratto da: Bandy WD. Stretching Activities for Increasing Muscle Flexibility. In: Therapeutic Exercise. Techniques for Intervention., pp. 37-62, Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, 2001 (Referenze Bibliografiche n. 20)

    Online

  1. La buona resa del muscolo estensore del tronco protegge dalla disabilità lavorativa legata alla schiena?
    Estratto da: Rissanen A, Heliövaara M, Alaranta H, Taimela S, Mälkiä E, Knekt P, Reunanen A, Aromaa A. Does Good Trunk Extensor Performance Protect Against Back-Related Work Disability? J Rehabil Med 2002:34;62-66 (Referenze Bibliografiche n. 23).

  2. Il contributo della forma aerobica e della forza della schiena sulla capacità di sollevamento
    Estratto da: Matheson LN, Leggett S, Mooney V, Schneider K, Mayer J. The Contribution of Aerobic Fitness and Back Strength to Lift Capacity. Spine 2002:27(11);1208-1212 (Referenze Bibliografiche n. 25).

  3. I cambiamenti legati all'affaticamento nella produzione del momento torcente e nei parametri elettromiografici dei muscoli del tronco durante un esercizio di rotazione assiale isometrica. Uno studio su pazienti con mal di schiena e su soggetti sani
    Estratto da: Ng JKF, Richardson CA, Parnianpour M. Fatigue-Related Changes in Torque Output and Electromyographic Parameters of Trunk Muscles During Isometric Axial Rotation Exertion. An Investigation in Patients With Back Pain and in Healthy Subjects. Spine 2002:27(6);637-646 (Referenze Bibliografiche n. 47).

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