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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del IV fascicolo 2001


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

Il Punto di Vista di Boccardi

Chi tutela la salute dei bambini e degli adolescenti a livello politico ?
Finalmente un po’ di lavori, anche se non conclusivi, su attività fisica (sport – cinesiterapia) e scoliosi !
Esercizio e problematiche del rachide: osteoporosi, lombalgia, cervicalgia
Ancora su psiche e colonna
Fisiologia del movimento e dolori
Trazione lombare e una discussione finale sull’evidenza scientifica
Pagine verdi: nuoto, sincronizzato e non, e disturbi dell’equilibrio
Indice

Chi tutela la salute dei bambini e degli adolescenti a livello politico ?

Iniziamo con il titolo del primo nostro lavoro (Aynsley-Green a pag. 307, dal prestigioso British Medical Journal), per contribuire anche noi a denunciare un’amara verità: abbiamo la tendenza a dimenticarci del nostro futuro, di chi lo impersona. Questo certamente è meno vero a livello familiare, ma tende ad esserlo a livello delle decisioni di salute pubblica che poi il nostro futuro determineranno. La forte denuncia che viene da oltremanica, calata nella realtà politica del Regno Unito, dipinge una caratteristica della letteratura medica, dove per anni ad esempio non si studia il problema degli zainetti, enormemente sentito a livello pubblico, perché giudicato triviale, superficiale, assolutamente non influente sulla salute pubblica: e quando lo si fa si scopre che non è così. Oppure dove si disquisice di interventi, di corsetti e raramente ci si ricorda dei soggetti che questi pesanti atti terapeutici devono subire: meglio questo o quello ? costa di più questo o quello ? ma chi si chiede che cosa realmente pensano di questo e quello i ragazzi ed i loro genitori ? "I bambini e i giovani sono la risorsa più preziosa di una nazione e la loro salute è vitale per il futuro successo della nostra società. Nonostante questo, il miglioramento della salute dei bambini inglesi non è un obiettivo chiave del governo". E in Italia? Da leggere per riflettere un po’.

Come del resto s’ha da fare con Winter a pag. 310, che riflette sull’importanza in ortopedia pediatrica di proiettarsi in un futuro talmente poco vicino che con difficoltà è possibile sapere se quanto oggi fatto è realmente efficace. Come sapere che le terapie invasive siano realmente utili a scopo preventivo e quindi come sapere se ciò che si propone deve realmente essere proposto ? Leggendolo inviterei a riflettere comunque sulla facilità con cui vengono indicate a scopo preventivo soluzioni chirurgiche in ortopedia pediatrica, come anche in questo testo si accenna quando si discute di scoliosi gravi. Ma veramente una chirurgia può essere considerata preventiva ? Soprattutto una chirurgia così invasiva come quella della scoliosi, che provoca un’artrodesi, ossia impedisce per sempre una delle funzioni essenziali del rachide in uno dei suoi tratti ? La seconda riflessione ci porta a ricordare che, pur riconoscendo che gli studi prospettici sono fondamentali, è anche vero che informazioni preziose possono derivarci da casi clinici e osservazioni particolari.

Finalmente un po’ di lavori, anche se non conclusivi, su attività fisica (sport – cinesiterapia) e scoliosi !

Preziosissima per noi cultori del trattamento conservativo della scoliosi idiopatica questa sezione del nostro fascicolo. E’ la prima volta in tanti anni che ci troviamo, in un solo anno, a poter commentare ben quattro studi sperimentali, sia pure non definitivi, sul rapporto tra attività fisica, sia essa sport o cinesiterapia, e scoliosi. Era ora !

Si comincia con Tanchev a pag. 311 che affronta un campo di estremo interesse, quello della ginnastica ritmica. Personalmente ricordiamo una bravissima ginnasta bulgara con una grave scoliosi idiopatica, che fece la scelta di non essere trattata con ortesi pur di continuare la sua carriera estremamente brillante, per poi finire artrodesizzata alla fine dell’attività sportiva agonistica. Abbiamo da anni sostenuto che le attività mobilizzanti intensive potessero essere pericolose per il rachide scoliotico in età di accrescimento, e questo sulla scorta in realtà del parere della maggior parte degli scoliosologi e di qualche piccolo risultato sperimentale. Questo lavoro porta un forte sostegno a questa possibilità (12% di incidenza in agonisti di alto livello rispetto all’1,1% nei soggetti di controllo), anche se gli autori puntano più la loro attenzione sulla possibilità che ci sia un’origine direttamente dovuta alla ginnastica ritmica più che un fattore fortemente favorente (o forse una forte predisposizione genetica) in chi riesce bene in questo sport. Ipotesi peraltro smentita per primo da Jackson nel Punto di vista a pag. 313. In ogni caso non essendo questo uno studio prospettivo si può pensare sia che la ritmica favorisca l’evoluzione attraverso l’intensa mobilizzazione del rachide, sia che chi fa ritmica sia talmente mobile che abbia grosse difficoltà a stabilizzare il rachide e quindi una maggiore possibilità di andare incontro ad un’evoluzione. Le altre due ipotesi proposte riguardano il lavoro in estensione e la prevalenza del carico asimmetrico. Mentre per quest’ultimo è veramente il primo dato in letteratura e ci pare un’ipotesi estremamente debole, anche perché l’asimmetria della ginnastica ritmica è di gran lunga inferiore a quella di altri sport come il tennis, la scherma, etc.), sul primo ci possono essere chiare convergenze con quanto sostenuto sin dai primi lavori di Perdriolle sull’importanza della evoluzione in lordosi della patologia scoliotica. In questo senso da anni si insiste sulla necessità fondamentale di lavorare in cifotizzazione nelle scoliosi, siano esse in trattamento libero o ortesico: il solo autoallungamento è un autogol, quando si guarda la scoliosi nei tre piani dello spazio ! Su un altro punto vale infine la pena di soffermarsi, un punto che scaturisce dalla bella e condivisibile analisi in introduzione sull’eziologia della scoliosi e dalla discussione tutta. Si ipotizzano qui infatti diversi "tipi" di scoliosi, cioè che al di là della sua multifattorialità possano esistere nell’ambito della scoliosi idiopatica delle sottocategorie differenti: questo è diverso dalla semplice multifattorialità e non è necessariamente in essa ricompresso. Condividiamo anche questo punto di vista.

Ed eccoci alla cinesiterapia, dapprima con de Boer a pag. 314, che ha studiato il classico movimento di "side-shift" o spostamento-traslazione laterale di Min Mehta a confronto (udite-udite, e peraltro complimenti per il coraggio anche di non porsi una qualche difficoltà sul piano etico) con il corsetto. I risultati sono abbastanza strabilianti e francamente molto incoraggianti per chi si occupa di cinesiterapia, anche se vanno sottolineati una serie di limiti dello studio, molto correttamente riportati dagli autori nel testo, che probabilmente hanno loro precluso la possibilità di pubblicazione sulla più prestigiosa Spine, per ripiegare sullo European Spine Journal. A parte l’attenta lettura che consigliamo, invitiamo anche a soffermarsi sul protocollo, riportato in esteso, che prevedeva non solo lo side-shift, ma un’ampia integrazione con una serie di esercizi di rinforzo e di controllo neuro-muscolare che hanno fatto di questo studio un qualcosa di più ampio in realtà di quanto inteso dai proponenti; di fatto un lavoro completo con un’ampia dose di autocorrezione, oltretutto non sul solo piano frontale, come si potrebbe pensare: infatti nel testo si ricorda un lavoro di apprendimento del controllo sul piano sagittale che ci pare indicativo. A proposito poi dell’autocorrezione, importante sottolineare l’ipotesi che la ripetizione continua di uno schema motorio di autocorrezione (anche se solo sul piano frontale) possa essere memorizzato dal cervello (che cosa si usa peraltro per l’apprendimento di un nuovo gesto motorio, p.e. nello sport ?) e, forse, integrato inconsciamente nei "movimenti abituali" (da non confondere con le posture!) della vita quotidiana. Peraltro, sulla base anche delle considerazioni riportate nel paragrafo precedente, una autocorrezione che aggiunga la cifotizzazione alla deflessione sul piano frontale ci sembra più completa ed efficace sotto l’aspetto biomeccanico.

Lo studio sperimentale di Mooney a pag. 317 è più primitivo, ma paradossalmente ancor più importante perché sfonda un muro negli Stati Uniti, laddove da sempre la cinesiterapia come trattamento libero è stata vista con sospetto – molto più che in Europa. Di fatto è realmente un lavoro rudimentale, totalmente preliminare, con pochi soggetti, con curve tra loro molto diverse, senza un gruppo di controllo. L’autore correttamente illustra questi aspetti, ma presenta anche alcuni dati oggettivi sull’attività svolta, ne discute le premesse fisiologiche e documenta i danni presenti nei soggetti con la scoliosi. In ogni caso è molto interessante questa indagine perché documenta che tutto il gruppo di scoliosi in trattamento, esclusa una grave (60°), o non sono evolute o sono migliorate sensibilmente dopo un anno di intenso rafforzamento muscolare. Val la pena qui citare per contrapposizione l’indagine di Ducongé presentata qualche anno fa ad un convegno del GEKTS (il progenitore della SIRER) su un gruppo di scoliosi trattate secondo il metodo Mézières classico, vale a dire con esercizi di stiramento ripetuti in modo intensivo senza alcuna postura di rinforzo, in quello che alla fine diventa un protocollo mobilizzante: il risultato finale è esattamente opposto, con tutte le scoliosi peggiorate dopo un anno di trattamento (in media da 20° a 28°). In pratica, per il trattamento libero, rinforzo (in autocorrezione) è meglio di mobilizzazione. Anche questo lavoro va letto.

Per analogia in base all’argomento trattato, inseriamo infine in questa sezione del nostro commento il lavoro sul nuoto sincronizzato proposto nelle Pagine Verdi. Se appare debole dal punto di vista scientifico, lo studio di Mahaudens a pag. 348 ha però il merito di riportarci a riflettere su un’altra categoria di movimento in acqua che non sia il nuoto. Possiamo quindi discutere un po’ anche di nuoto. Dopo anni infatti di smitizzazione dello stesso (non è vero che sia una toccasana per la colonna, anzi la fisiologia della colonna umana necessita della forza di gravità per avere un corretto sviluppo e quindi anche una corretta funzione: dove si deve riabilitare ad una funzione è necessario confrontarsi con essa), ci troviamo a volte adesso ad assistere a posizioni di demonizzazione del nuoto che francamente non condividiamo. In realtà, il nuoto è per lo scoliotico come qualunque altro sport, con alcuni pregi ed alcuni difetti: sarà nostro compito individuare modalità per diminuire i difetti ed esaltare i pregi, tra i quali va però anche inserito con forza il fatto che lo sport è un momento ludico per il ragazzo, un momento di socializzazione essenziale, che deve essere toccato da un bravo rieducatore (che come tale non si rivolge solo alla patologia, ma alla persona nella sua totalità) solo se è assolutamente necessario. Veniamo ora al nuoto sincronizzato che, analogamente alla pallanuoto, non ha il problema di confrontarsi solo con l’ambiente acquatico ma anche con la forza di gravità. Spesso in entrambe queste discipline è infatti necessario compiere una serie di gesti ben fuori dall’acqua con tutto il tronco, a tutto vantaggio della schiena. Vi rimando quindi per ulteriori riflessioni all’articolo, soprattutto nella sua prima parte teorica.

Esercizio e problematiche del rachide: osteoporosi, lombalgia, cervicalgia

Il lavoro di Karlsson a pag. 321 è interessante ma, pur essendo stato pubblicato su una rivista prestigiosa come Lancet, merita qualche riflessione critica. Si sostiene qui che possa non essere così vero, come ritenuto comunemente, che l’esercizio fisico effettuato durante la gioventù possa proteggere dall’osteoporosi tramite un innalzamento della massa ossea. Gli elementi critici comprendono: lo studio è stato effettuato sui maschi, dove l’incidenza delle fratture è molto più bassa e quindi la casistica da considerare avrebbe dovuto essere molto più ampia – in questo senso l’apparente tendenza protettiva (2.1% contro 3.7% di fratture) potrebbe avere un significato; non sono ben definite le fratture considerate, ossia non si sa se vengono considerate solo quelle da fragilità ossea; è possibile che vi sia un beneficio nella prevalenza cumulativa, se è vero che sino a 15 anni dal ritiro il beneficio nella massa ossea era del 50%; infine si deve considerare che l’esercizio effettuato in gioventù può avere un effetto protettivo non solo in termini di massa ossea, ma anche di capacità fisiche (di base: chi fa esercizio potrebbe averne già di più; ed allenate in seguito al movimento).

Hagen a pag. 322 ci porta a riflettere con interesse e con uno studio formalmente ineccepibile (randomizzato controllato) sulla validità di un intervento anche molto blando, come informazioni e consigli di effettuare attività fisiche leggere, rispetto ad un classico approccio da parte del medico di medicina generale (che peraltro, senza intervento dello specialista, potrebbe comunque offrire un aiuto di questo genere). Va osservato dapprima che si tratta di una popolazione non grave, con lombalgia sub-acuta o sub-cronica, quindi con dolori che già durano da più di 1 mese, ma comunque meno di 3 mesi: si tratta di quella tipica popolazione di confine, in cui è determinante intervenire per evitare la cronicizzazione. Però si deve anche notare che ben il 31.6% dei pazienti nel gruppo trattato non aveva ancora ripreso il lavoro al follow-up ad un anno, entrando quindi in pieno nel gruppo della cronicità, contro il 43.4% del gruppo di controllo: c’è quindi sì un’efficacia, ma ci sembra ancora ridotta rispetto a quello che sarebbe veramente necessario. Quindi si può dire che questo intervento comportamentale blando è utile, ma che l’effetto ottenuto non è ancora sufficiente, e che si deve cercare qualcos’altro di maggior impatto.

Si rivolge ad una popolazione di pazienti sub-acuti (anche se in fase più precoce: 7 giorni-7 settimane) anche lo studio di Chok a pag. 372, dove viene indagata a fondo e con uno studio randomizzato controllato l’efficacia degli esercizi di recupero della capacità di resistenza della muscolatura del tronco. Altrettanto in questa fase così precoce essi si dimostrano importanti, anche se all’approfondita discussione vorremmo per parte nostra aggiungere qualche altra considerazione: è possibile che l’effetto di miglioramento a breve termine del dolore e della disabilità sia da ascrivere al fatto che i pazienti che fanno gli esercizi si "rassicurano" più rapidamente circa la loro condizione perché mettono alla prova precocemente e con successo la propria schiena dolorante, oppure in qualche modo mantengono l’efficienza del sistema di controllo neuromotorio combattendo le possibili interferenze del dolore e della immobilità protratta. Sostengono questa ipotesi il fatto che non vi è un aumento della resistenza allo sforzo nei soggetti sottoposti ad allenamento e che c’è una correlazione nei controlli tra dolore e disabilità (evito per paura), assente nei soggetti allenati.

Anche in questo fascicolo dobbiamo occuparci di questa scuola di riabilitazione finlandese, la DBC (Documentation Based Care) che sta esprimendo una tale gran quantità di lavori scientifici in letteratura che inevitabilmente porta a concentrare l’attenzione nella sua direzione. Questo primo studio (Taimela a pag. 324) di una triade che vedremo ora in successione riguarda il follow-up a due anni dei pazienti che avevano completato il trattamento DBC per verificarne le ricadute dolorose e le assenze dal lavoro nel tempo. Lo studio è stato completato da un’analisi non secondaria, ossia se i pazienti avevano o meno continuato ad esercitarsi, a fare attività fisica regolarmente dopo il trattamento: in pratica alla fase riabilitativa era seguito il mantenimento ? Il primo punto da sottolineare è che a 1 anno di distanza i dati sono veramente lusinghieri, con un tasso di ricadute dolorose del 12% nel gruppo che si esercita e del 30% in quello che non lo fa, tale da provocare assenze dal lavoro nel 8% e nel 18% dei casi rispettivamente. A due anni invece queste percentuali diventano di 26% e 62% di dolore e 17% e 48% di assenze. Anche questi dati, soprattutto per chi continua ad esercitarsi, non sono assolutamente secondari, perché si tratta di pazienti con dolore cronico ed elevata disabilità, i tipici pazienti in cui è difficile ottenere qualcosa. Peraltro il punto centrale è secondo me nel concetto di mantenimento, ossia nella necessità fondamentale che i nostri pazienti, dopo aver effettuato un’attività riabilitativa, mantengano i risultati ottenuti attraverso una attività fisica finalizzata, più o meno precisa, più o meno attenta in base all’entità dei problemi iniziali ed alla validità del risultato ottenuto. Troppi temono a lasciare andare i loro pazienti in una palestra dopo il trattamento (perché potrebbero far male gli esercizi) e non fanno altro che rinforzare quella paura del movimento che già i lombalgici cronici hanno per conto loro, senza sedarne le ansie, anzi incrementandole. Molto meglio dir loro di affidarsi ad un bravo insegnante di educazione fisica (oggi dottore in scienze motorie), che possa guidarli adeguatamente in una attività di gruppo finalizzata, con esercizi più o meno individualizzati in base alle loro necessità.

Di grande spessore scientifico è il lavoro di Mannion a pag. 328, non per niente vincitore del Volvo Award nel 1999. Anche questo studio affronta la problematica del trattamento riabilitativo dei pazienti lombalgici cronici, con uno studio elegante randomizzato controllato, dove si pongono a confronto il trattamento DBC, la fisioterapia classica ed una semplice attività aerobica, considerata come il gruppo di controllo. In altri termini, potremmo dire un confronto tra una riabilitazione funzionale intensa (DBC), la classica terapia manuale individualizzata con ausilio di terapie fisiche strumentali, e una attività fisica di mantenimento. Da notare che tutti questi trattamenti sono stati prescritti dai medici ed effettuati in ambito ospedaliero per una durata analoga: l’effetto placebo quindi era sovrapponibile. Il problema principale sta nella metodologia di selezione, ossia nella scelta di pazienti che avevano dei problemi ma che non stavano ricercando in quel momento un trattamento, anche perché stavano continuando regolarmente la loro attività lavorativa. Si trattava quindi di pazienti cronici, ma con ridotta disabilità. I risultati alla fine del trattamento sono risultati sovrapponibili (vale a dire, in questo tipo di pazienti: fisioterapia = recupero funzionale = mantenimento), mentre si sono differenziati a 6 mesi di distanza per la disabilità (recupero funzionale = mantenimento > fisioterapia: in pratica chi ha fatto un trattamento individuale andava incontro ad un incremento progressivo della disabilità, con necessità di ulteriore trattamento – c’è da chiedersi sino a che punto per problemi fisici o di dipendenza psicologica). Ovviamente determinante, data l’efficacia sovrapponibile, è lo studio dei costi, ossia dell’efficienza del trattamento: in questo caso l’aerobica risulta di gran lunga la meno costosa. Pertanto, in un gruppo di pazienti con dolori cronici non disabilitanti, cioè senza una componente di reale difficoltà pesante nella vita quotidiana, è più che sufficiente indurre ad effettuare dell’attività fisica ben guidata e controllata per ottenere un ottimo risultato, sovrapponibile a quello di altri trattamenti molto più costosi. Diverso sarà invece in caso di elevata disabilità, come altri studi hanno ben dimostrato.

Per chiudere la triade di studi sulla DBC, passiamo a pag. 361 dove nuovamente Taimela ci presenta un altro studio randomizzato controllato di grosso interesse sulla riabilitazione funzionale del rachide cervicale con ausilio strumentale. Questo studio è molto importante perché per questo distretto c’è una carenza di lavori scientifici, più volte riferita, che porta a grosse difficoltà quando si tratta di voler scegliere terapie sulla base di evidenze precise. Il dato però interessante è che quanto applicabile per il rachide lombare, ossia la ricetta informazione, coinvolgimento attivo e recupero funzionale intensivo completo (che includa controllo neuromuscolare della qualità del movimento, ma anche articolarità e rinforzo muscolare), sembra che funzioni egregiamente anche a livello cervicale.

In realtà non ci sembra strano, una volta che si accetti che il fenomeno doloroso cronico a livello del rachide non è soltanto dovuto ad una lesione tissutale precisa (questa è sicuramente il primum movens determinante nella fase acuta, ma qualunque tessuto della schiena ripara dopo 4-6 settimane) quanto piuttosto soprattutto ad un malfunzionamento generale di un meccanismo motorio complesso, come quello che governa il sistema multi-articolare della colonna vertebrale.

Il lavoro di Hagberg a pag. 336 è interessante nei suoi presupposti, ma curioso per come è stato condotto. L’idea era quella di confrontare due tipi di allenamento, teoricamente sviluppati per potenziare le due diverse funzioni del muscolo (capacità di sviluppare forza esplosiva – fibre fasiche – rispetto a capacità di sviluppare resistenza – fibre toniche), nell’ipotesi di fondo che in ambito occupazionale dove si debba lavorare a lungo in certe posizioni con le braccia lo sviluppo della capacità di resistenza sia più importante di quella della capacità di produrre forza dinamica. Il presupposto è fondamentalmente corretto, peccato che il risultato contraddica l’ipotesi: ossia l’allenamento fasico ha un effetto marginalmente superiore. L’altro grosso problema è però secondo me nel fallimento dell’applicazione: entrambi gli esercizi proposti sono infatti per me in grado di sviluppare le fibre toniche e non quelle fasiche. Si tratta infatti di contrazioni resistite, con l’unica differenza che quelle ipoteticamente toniche secondo gli autori implicano un mantenimento molto più prolungato, mentre quelle fasiche richiedono la contrazione resistita per meno tempo. D’altra parte, qualunque cultore dell’attività fisica sa che un allenamento fasico si compie con gesti dinamici contro resistenza e non con contrazioni mantenute. Presumo che la maggior efficacia dell’esercizio supposto fasico possa dipendere dalla minor ipossia causata al muscolo in questo tipo di contrazione rispetto a quella confrontata.

Ancora su psiche e colonna

Psiche e rachide, un rapporto difficile. I vari lavori rivisti in questi anni portano continuamente a riconsiderare questo punto con attenzione, e tutti noi sappiamo come sia importante considerarlo nella clinica quotidiana. Molto bello in questo senso il lavoro di Linton a pag. 365, perché rivede tutta la letteratura in merito per trarne delle conclusioni sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, dando loro quindi una "forza dell’evidenza" come comunemente si fa nelle Linee Guida. Val quindi la pena di leggere queste Conclusioni, riportate in poche righe a pag. 365. Se ne evince l’importanza cruciale delle problematiche psicologiche, dell’atteggiamento verso il dolore e verso il proprio corpo e la propria salute nello sviluppo/mantenimento della cronicità e più in generale della disabilità, ma anche una correlazione tra alcuni fattori psicologici e l’insorgenza dei dolori. Peraltro la mancanza di evidenza di una personalità incline al dolore, di tratti personali decisivi in quanto fattori di rischio portano a riflettere sulla possibilità (peraltro sostenuta dall’autore) che veramente la psiche possa venire prima del primo dolore. Ossia, c’è differenza tra il dire "quando sono teso, stressato, stanco mi ricompare il dolore" e dire "la prima volta che ho avuto dolore in vita mia mi è venuto esclusivamente per colpa della tensione, dello stress, della stanchezza". Peraltro un’altra sottolineatura dell’autore mi sembra essenziale: non possiamo mai trascurare la psiche quando curiamo la schiena; non possiamo non aiutare il paziente a percepire meglio il proprio corpo e la propria salute; non possiamo dimenticarci di insegnargli che la paura del dolore è uno dei suoi peggiori nemici, perché in realtà contribuisce a incrementare la disabilità ed in ultima analisi il dolore.

Gemello del lavoro precedente è quello di Hoogendoorn a pag. 393, condotto con la medesima metodologia di revisione sistematica, concentrandosi però più sulle problematiche psicosociali nella vita lavorativa e privata. Le cinque righe sui risultati dovrebbero essere fatte leggere a tutti i datori di lavoro, in quanto sottolineano che più che l’intensità del lavoro (non ci sono evidenze sufficienti per: ritmo di lavoro, alte richieste qualitative, pochi doveri, scarso controllo/supervisione) conta l’ambiente in cui uno lavora (evidenza di importanza del sostegno sociale e della soddisfazione circa il proprio impiego). Viceversa la vita privata sembra contare poco. Quindi la lombalgia che si conferma malattia bio-psico-sociale, elemento di confronto con le richieste della nostra società, moderna ed accettata via di fuga per tensioni che non si riescono più ad affrontare.

Fisiologia del movimento e dolori

Se l’allenamento, se il recupero funzionale completo funziona, allora dovrebbero esserci anche dati sui danni fisiologici presenti in caso di lombalgia cronica. Ecco che in questi anni si sono moltiplicati i contributi in questo senso, e in questa sezione abbiamo alcuni validi esempi. Per esempio Mannion a pag. 368 approfondisce elegantemente dal punto di vista istologico il perché sia già stata da tempo documentata una perdita di forza e di resistenza muscolare nei dolori cronici del rachide, verificando una alterazione nei rapporti tra i tipi di fibre, con una prevalenza maggiore del tipo IIX facilmente affaticabile, che oltretutto peggiora con il perdurare della lombalgia. Questo secondo gli autori confermerebbe un possibile rapporto diretto con la patologia e, cosa ancor più importante, giustificherebbe l’impiego più precoce possibile di misure atte a prevenirne la comparsa. Altro elemento interessante è poi la dimostrazione di una analogo tipo di degenerazione con l’età, che potrebbe confermare da un lato perché la lombalgia cronica sia più comune negli anziani, dall’altro perché ci sia la tendenza ad una progressiva evoluzione cifotizzante con il passare degli anni, ed infine a spingere sempre più a far fare una attività fisica adeguata anche in questo gruppo di età.

Il bacino ed i suoi rapporti con il rachide lombare. Questo il tema dello studio di Leinonen a pag. 393. Egli approfondisce in particolare i tempi dei rapporti tra la muscolatura propria lombare e la muscolatura glutea ed ischio-crurale durante il movimento di flessione: il famoso ritmo lombo-pelvico di Caillet. Si tratta in realtà di alcuni dei primi embrionali tentativi per indagare la coordinazione durante i movimenti: embrionali perché i metodi risultano tuttora inadeguati per giungere ad una comprensione vera dei fenomeni. Interessante però, sia pure nella limitatezza della casistica, notare come la riabilitazione abbia portato ad un miglioramento significativo del timing di attivazione della muscolatura di controllo del bacino, a testimoniare che è comunque possibile influire su questi meccanismi con l’esercizio terapeutico, ancorché tuttora non completamente conosciuti e da indagare.

Interessante è infine anche il lavoro di Holm a pag. 393, che ha infiltrato le articolazioni interapofisarie posteriori nella sede della lombalgia verificando con un test isocinetico del tronco se il dolore influiva sulla prestazione muscolare. La risposta è no, ossia non è vero che il dolore limita la possibilità di produrre forza muscolare. Interessante sarebbe fare lo stesso test per valutare l’articolarità e la cinestesia, ossia la capacità di controllare il movimento: due funzioni fisiologiche sulle quali il dolore potrebbe influire più pesantemente. Peraltro già preliminarmente si può negare una delle paure più forti dei terapisti: se non si recupera il dolore non si può recuperare la funzione. Questo risultato sperimentale conferma quindi quello che chi si occupa di riabilitazione funzionale aveva visto praticamente sul campo: il dolore può recuperare anche dopo e concentrarsi su di esso può ottenere l’effetto di rinforzare le paure del paziente.

Trazione lombare e una discussione finale sull’evidenza scientifica

Lo studio di Krause a pag. 382 è interessante per il metodo e per il merito. Si tratta di un lavoro di revisione sistematica attenta che rivaluta una forma terapeutica caduta progressivamente in disuso anche sulla base della mancanza di evidenza indicata dalle Linee Guida internazionali. D’altra parte, mancanza di evidenza non significa evidenza di inefficacia: proprio questo lavoro dimostra che un ruolo per la trazione ci può anche essere. Il problema principale è quello di definire in quali pazienti possa veramente essere utile. Certamente anche da qui se ne traggono risultati sconfortanti per i casi cronici e sub-acuti. Interessanti infine le pagine finali, dove vengono proposti alcuni attenti elementi di riflessione sull’utilizzo corretto della trazione: interesse principalmente pratico.

Chiudiamo l’anno con il botto. E in questo caso il botto sta nell’interessante editoriale di Di Fabio a pag. 389 pubblicato su JOSPT e nel relativo Punto di vista di Boccardi a pag. 392.

La pratica della medicina basata sulle Evidenze ha due attori principali: l’Evidenza (con la E maiuscola) ed il Clinico (con la C maiuscola). La prima offre i risultati ottenuti in asettiche condizioni sperimentali, oltretutto validi per il 95% dei pazienti e non per tutti, ricavati nelle situazioni ideali, dove si cerca di minimizzare il ruolo dell’effetto placebo e dell’osservatore, e dove magari c’è anche un convinto assertore di una delle due metodiche a confronto (e pensate che questo non influisca ?). Il secondo ha le mani sporche della sua quotidiana realtà, dove non c’è nulla di ideale, dove ogni singolo paziente può essere in quel 5% per cui non c’è significatività statistica: insomma si scende dai laboratori alle officine, e la realtà sembra cambiare. Eppure è solo dall’armonico confluire di queste due realtà, l’Efficacia ed il Clinico, che si possono trarre i Risultati utili per i nostri Pazienti. Sarà sempre il Clinico ad avere l’ultima parola, ad interpretare l’Efficacia oltre ed al di là di quanto propone l’estensore dell’articolo dove l’Efficacia viene discussa, perché dovrà calarsi nella realtà del suo singolo, individuale, irripetibile Paziente (e non Caso Clinico) per trarre le giuste conclusioni. Ma se le cose stanno così, dove sta il problema ? Beh, quando entra il Politico, l’Economo, l’Amministrativo che, dall’Evidenza, vuole trarre le sue conclusioni, altrettanto doverose. Problema irrisolvibile, però. Perché sin da quando l’uomo ha voluto iniziare a capire qualcosa della realtà intorno a sé, ha voluto misurarla, ha dovuto accettare il limite delle proprie interpretazioni. E non c’è verso, le scelte politiche in senso lato, ossia basate su dati incompleti, sull’inferenza più che sulla deduzione, purtroppo prevarranno sempre: in politica sanitaria come nella clinica quotidiana. Ma l’unica strada corretta per inferire correttamente è quella di avere quanti più dati possibili per poter sbagliare il meno possibile: in fondo siamo uomini e non automi. Dire che si tratta di leggere e riflettere è retorico, addirittura quasi usuale in questi nostri Editoriali. Ma qui si tratta di riflettere sul serio !

Pagine verdi: nuoto, sincronizzato e non, e disturbi dell’equilibrio

Il recupero dell’equilibrio e/o il suo allenamento: uno dei problemi che il riabilitatore che si occupa di rachide si trova a dover affrontare più comunemente, sia che si tratti di prevenire l’aggravamento di una scoliosi, sia che si debba migliorare il controllo neuro-motorio di un paziente lombalgico, sia che ci si debba confrontare con una sindrome vertiginosa. Di grande aiuto può quindi essere il lavoro di Abatzides a pag. 341, dove si parte dai corretti presupposti teorici per giungere ad una serie di proposte concrete valide, condivisibili e ben illustrate.

Nuoto: toccasana, inutile o addirittura dannoso per chi ha problemi al rachide? Nulla di tutto ciò: semplicemente una forma di attività fisica che, come tutte le altre, ha pregi e difetti. In base alle problematiche del paziente che abbiamo di fronte dovremo potenziarne i pregi e minimizzarne i difetti se intendiamo utilizzarlo a scopo riabilitativo e/o se il paziente ama questa forma di esercizio così particolare. Di certo non potenzia la funzione antigravitaria della muscolatura del tronco, in quanto in ambiente governato da leggi diverse da quella di gravità; altrettanto certamente non migliora qualità di controllo neuro-motorio complesse, in quanto non richiede movimenti molto differenziati in base a richieste e stimoli esterni; ma certamente offre un ambiente protetto, "ovattato" in cui muoversi e una forma di stimolazione estero e propriocettiva talmente anomala che soprattutto nelle prime fasi della riabilitazione acuta ed immediatamente post-acuta può essere di grosso interesse. L’importante come sempre è non fare dei mezzi un fine, ma di piegarli invece alle esigenze del paziente e renderli utili strumenti disponibili per trattarlo. Queste precisazioni ci sembravano indispensabili prima di affrontare il lavoro di Cole a pag. 355, che peraltro si occupa anche delle lesioni al rachide del nuotatore e delle modalità riabilitative che vanno per lui proposte. Interessante quindi per tutti quanti si occupano di questo sport a livello terapeutico.

Nella sezione dedicata alle Pagine Verdi non parliamo di un lavoro qui inserito (Mahaudens a pag. 348) perché già considerato nella sezione in cui si parlava di scoliosi, mentre trattiamo di uno studio non riportato qui per motivi di spazio (Baudes a pag. 378) per la grossa valenza pratica di questo contributo, che riporta in dettaglio tutto il programma terapeutico di un Istituto che ha ricreato in casa, con poche strumentazioni, il medesimo programma di rieducazione funzionale che altri hanno adottato con apparecchiature ben più costose (vedi introduzione del lavoro). Questo percorso è condivisibile nel metodo, ma la mancanza di strumentazioni che consentano un accurato monitoraggio del percorso adottato, certamente meno costoso in termini assoluti, non consente da un lato di "osare" il massimo, quindi anche di ottenere il massimo – come i risultati riportati documentano – e dall’altro di controllare sino in fondo tutto il percorso riabilitativo, avendo quell’effetto di sedazione delle ansie dei pazienti così importante quando la patologia è avanzata. Collateralmente va sottolineato la possibilità di disporre dello stesso percorso terapeutico intensivo, pienamente controllato, anche in regime ambulatoriale, come i lavori DBC testimoniano.

Buona lettura e felice Anno Nuovo per tutti (mi raccomando, sempre con il GSS: anzi, ricordate che un maggior numero di Soci significa servizi migliori – consigliate il GSS ai vostri colleghi).

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del IV fascicolo 2001

  1. Educazione e dibattito. Chi tutela i bambini, gli adolescenti e la loro salute a livello politico?
    Estratto da: Aynsley-Green A, Barker M, Burr S, Macfarlane A, Morgan J, Sibert J, Turner T, Viner R, Waterston T, Hall D. Education and debate. Who is speaking for children and adolescents and for their health at the policy level? BMJ 321;229-32 (Referenze Bibliografiche n. 8).

  2. Commento. La fallacità dell’analisi dei risultati a breve termine nell’ortopedia pediatrica
    Estratto da
    : Winter RB. Commentary. The Fallacy of Short-Term Outcomes Analysis in Pediatric Orthopaedics. The Journal of Bone and Joint Surgery 1999:81-A;1499-50 (Referenze Bibliografiche n. 1).

  3. La scoliosi nelle ginnaste della ritmica
    Estratto da
    : Tanchev PT, Dzherov AD, Parushev AD, Dikov DM, Todorov MT. Scoliosis in Rhythmic Gymnasts. Spine 2000:25(11); 1367-72 (Referenze Bibliografiche n. 15).

  4. Il trattamento della scoliosi idiopatica con la traslazione laterale (TL): confronto con il trattamento in corsetto
    Estratto da
    : den Boer WA, Anderson PG, Limbeek Jv, Kooijman MAP. Treatment of idiopathic scoliosis with side-shift therapy: an initial comparison with a brace treatment historical cohort. Eur Spine J 1999:8; 406-10 (Referenze Bibliografiche n. 20).

  5. Effetto dell’allenamento della forza nella scoliosi idiopatica dell’adolescenza
    Estratto da: Mooney V, Gulick J, Pozos R. A Preliminary Report on the Effect of Measured Strength Trainig in Adolescent Idiopathic Scoliosis. Hournal of Spinal Disorders 2000:13(2); 102-7 (Referenze Bibliografiche n. 25).

  6. L’esercizio durante la crescita, la densità minerale ossea e le fratture nell’età avanzata
    Estratto da
    : Karlsson MK, Linden C, Karlsson C, Johnell O, Obrant K, Seeman E. Exercise during growth and bone minerl density and fractures in old age. The Lancet 2000:355; 469-70.

  7. Un intervento precoce con un programma di mobilizzazione leggera può ridurre l’assenza a lungo termine per malattia causata da lombalgia?
    Estratto da: Hagen EM, Eriksen HR, Ursin H. Does Early Intervention With a Light Mobilization Program Reduce Long-Term Sick Leave for Low Back Pain? Spine 2000:25(15);1973-76 (Referenze Bibliografiche n. 19).

  8. Influenza dell’esercizio fisico e dell’inattività sulla ripresa del dolore e sull’assenteismo dal lavoro dopo riabilitazione attiva ambulatoriale per lombalgia ricorrente o cronica
    Estratto da: Taimela S, Diederich C, Hubsch M, Heinricy M. The Role of Physical Exercise and Inactivity in Pain Recurrence and Absenteeism From Work After Active Outpatient Rehabilitation for Recurrent or Chronic Low Back Pain. Spine 2000:25(14);1809-16 (Referenze Bibliografiche n. 28).

  9. Studio clinico randomizzato su tre terapie attive per la lombalgia cronica. Vincitore del premio Volvo 1999
    Estratto da: Mannion AF, Müntener M, Taimela S, Dvorak J. 1999 Volvo Award Winner in Clinical Studies. A Randomized Clinical Trial of Three Active Therapies for Chronic Low Back Pain. Spine 1999: 24(23); 2435-48 (Referenze Bibliografiche n. 41).

  10. La riabilitazione del dolore cervico-brachiale: confronto tra l’allenamento della resistenza isometrica con l’allenamento della forza isometrica
    Estratto da: Hagberg M, Harms-Ringdahl K, Nisell R, Wigaeus Hjelm E. Rehabilitation of Neck-Shoulder Pain in Women Industrial Workers: A Randomized Trial Comparing Isometric Shoulder Endurance Training With Isometric Shoulder Strength Trainig. Arc Phys Med 2000: 81; 1051-8 (Referenze Bibliografiche n. 23).

  11. Trattamento attivo della cervicalgia cronica. Un intervento randomizzato prospettico
    Estratto da
    :
    Taimela S, Takala E-P, Asklőf T, Seppälä K, Parviainen S. Active Treatment of Chronic Neck Pain. Spine 2000:25(8);1021-7 (Referenze Bibliografiche n. 34).

  12. Una revisione dei fattori di rischio psicologici nel mal di schiena e nella cervicalgia
    Estratto da
    : Linton SJ. A Review of Psychological Risk Factors in Back and Neck Pain. Spine 2000:25(9);1148-56 (Referenze Bibliografiche n. 75).

  13. L’influenza dell’età e della durata dei sintomi sulla distribuzione del tipo di fibra e sulla dimensione dei muscoli in pazienti con mal di schiena cronico
    Estratto da: Mannion AF, Käser L, Weber E, Rhyner A, Dvorak J, Müntener M. Influence of age and duration of symptoms on fibre type distribution and size of the back muscles in chronic low back pain patients. Eur Spine J 2000:9; 273-81 (Referenze Bibliografiche n. 37).

  14. Allenamento della resistenza dei muscoli estensori del tronco in persone con lombalgia subacuta
    Estratto da
    : Chok B, Lee R, Latimer J, Tan SB. Endurance Training of the Trunk Extensor Muscles in People With Subacute Low Back Pain. Physical Therapy 1999:79(11);1032-42 (Referenze Bibliografiche n. 53).

  15. Ricondizionamento allo sforzo dei lombalgici cronici all’interno di un reparto di rieducazione dell’ospedale Cochin
    Estratto da
    : Baudes C, Lambert A, Fougeroux M, Simonnet-Dikaios M. Reconditionnement à l’effort des lombalgiques chroniques au sein du service de rééducation de l’hôpital Cochin. Kinesiterapie Scientifique 2000:401; 6-10 (Referenze Bibliografiche n. 9).

  16. Trazione del rachide lombare: valutazione degli effetti e applicazione raccomandata per il trattamento
    Estratto da: Krause M, Refshauge KM, Dessen M, Boland R. Lumbar spine traction: evaluation of effects and recommended application for treatment. Manual Therapy 2000:5(2);72-81(Referenze Bibliografiche n. 86).

  17. Che cosa è l’"evidenza"?
    Estratto da: Di Fabio RP. What Is "Evidence"? Journal of Orthopaedic & Sports Physical Therapy 2000:30(2); 52-5 (Referenze Bibliografiche n. 17).

    Tecnica

  18. Il ruolo della riabilitazione nel trattamento dei disturbi dell’equilibrio
    Estratto da: Abatzides GJ, Kitsios A. The role of rehabilitation in the treatment of balance disorders. Journal of Back and Musculoskeletal Rehabilitation 1999:12(2); 101-12 (Referenze Bibliografiche n. 28).

  19. Apporto terapeutico del nuoto sincronizzato nel trattamento ortesico della scoliosi idiopatica dell’adolescenza
    Estratto da: Mahaudens Ph, Becquet J. Rééducation des scolioses idiopathiques de l’adolescent. Apport thérapeutique de la natation synchronisée. Ann. Kinésithér. 1999: 26(8); 360-8 (Referenze Bibliografiche n. 27).

  20. La prevenzione e il trattamento dei danni alla colonna vertebrale nel nuoto (Ia parte)
    Estratto da: Cole AJ, Eagleston RE, Moschetti M. Swimming. In: Spine Care, pp 727-45, Mosby, New York, 1995 (Referenze Bibliografiche n. 83).

    Online

  21. Influenza minima dell’anestesia a livello dell’articolazione vertebrale posteriore sulla prestazione muscolare isocinetica in pazienti con disturbi lombari degenerativi cronici
    Estratto da
    : Holm I, Fiis A, Brox JI, Gunderson R, Steen H. Minimal Influence of Facer Joint Anesthesia on Isokinetic Muscle Performance in Patients With Chronic Degenerative Low Back Disorders. Spine 2000:25/15);2091-4 (Referenze Bibliografiche n. 22).

  22. Attività degli estensori dell’anca e della schiena durante la flessione/estensione del tronco: effetti della lombalgia e della riabilitazione
    Estratto da
    : Leinonen V, Kankaanpää M, Airaksinen O, Hänninen O. Back and Hip Extensor Activities During Trunk Flexion/Extension: Effects of Low Back Pain and Rehabilitation. Arch Phys Med Rehabil 2000:81(1);32-37 (Referenze Bibliografiche n. 29).

  23. Revisione sistematica di fattori psicosociali sul lavoro e nella vita privata come fattori rischio per il mal di schiena
    Estratto da
    : Hoogendoorn WE, van Poppel MNM, Bongers PM, Koes BW, Bouter LM. Systematic Review of Psycosocial Factors at Work and Private Life as Risk Factors for Back Pain. Spine 2000:25(16);2114-25 (Referenze Bibliografiche n. 67).


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