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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del II fascicolo 2001


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

Il Punto di Vista di Boccardi

Scoliosi e corsetti: risultati, effetto psicologico, qualità della vita
Lombalgia ed ortesi: meccanismi d'azione ed effetti stabilizzanti
Alla ricerca della genesi del dolore acuto e cronico: i problemi del controllo neuromotorio
La sensibilità al dolore, la paura del movimento: concetti basilari nel dolore cronico
Colpo di frusta cervicale: influenza sul risultato delle modalità di risarcimento del danno ed efficacia di un trattamento multimodale in fase cronica e di uno attivo in fase acuta
Di più è di meno: parliamo un po' di noi
Pagine verdi: ancora stabilizzazione, esercizi per la fibromialgia e McKenzie
Indice

Nel pieno dell'estate, eccoci all'appuntamento canonico con il secondo fascicolo di materiale scientifico del nostro Gruppo di Studio. Continua l'esperienza della pubblicazione via Internet su "GSS Online" del materiale soprannumerario che negli anni scorsi doveva essere inesorabilmente scartato. Si tratta di lavori comunque molto interessanti e totalmente commentati come gli altri in questo editoriale, dove sono riconoscibili per il carattere corsivo adottato nel Paragrafo relativo. Speriamo che questa sia un'ulteriore spinta ai Soci che ancora non dispongono di un accesso a Internet per procurarselo, in quanto si sta moltiplicando il materiale disponibile sul Sito ad uso esclusivo dei Soci e non presentato sui fascicoli, fermo restando che questi sono la nostra punta di diamante, insieme alla monografia, e continuano ad offrire materiale di elevatissimo livello, certamente il migliore: ma oramai il GSS non è più tutto qui.

Scoliosi e corsetti: risultati, effetto psicologico, qualità della vita

Korovessis a pag. 107 presenta uno studio di notevole interesse, che rivede in dettaglio la storia del trattamento con ortesi basse (TLSO - ortesi toraco-lombo-sacrali - secondo la dizione anglosassone) per scoliosi idiopatica e la loro efficacia su un gran numero di parametri patologici ed estetici. L'impostazione dell'autore è pienamente condivisibile, ed il concetto espresso per cui il Milwaukee è da loro stato da tempo abbandonato, è anche nostro. Come non sottolineare infatti che, sempre ammesso che i risultati fossero gli stessi, una ortesi meno invasiva non può che essere preferita? Senza contare che, se è meno invasiva, oltre a non dare effetti psicologici collaterali che a volte possono essere anche molto pesanti, viene sicuramente più portata e quindi diventa automaticamente più efficace. Eppoi, con una TLSO si può rispettare più facilmente il piano sagittale, si può fare qualunque attività sportiva ludica e non (con migliori risultati fisici - l'ortesi spinge di più - e psicologici - il ragazzo resta nel suo gruppo). L'unica pecca dello studio è la non eccezionale numerosità del campione e ci chiediamo se gli autori abbiano fatto fare un qualche tipo di attività fisica e/o di cinesiterapia specifica, dato questo non specificato.

Il lavoro di Olafsson a pag. 113 ci consente di completare le considerazioni sopra riportate. In questa popolazione viene infatti ad essere smentito il risultato oramai classico riportato da Nachemson per cui l'ortesi crea un danno dell'immagine del sé nel ragazzo in crescita. Quello studio si riferiva infatti al corsetto di Milwaukee, mentre questo alla TLSO. C'è però da sottolineare sia l'ambiente in cui entrambi sono stati condotti (la Svezia, paese di elevata cultura "sociale"), sia soprattutto il fatto che, per qualche motivo non precisato, i soggetti studiati qui erano tutti provenienti da famiglie di cultura elevata e questo potrebbe aver favorito in qualche modo il risultato finale. Risultato quindi da verificare ulteriormente in futuro.

Questa triade di studi estremamente interessanti per chi si occupa di ortesi e scoliosi si conclude con un contributo di Climent a pag. 115 che indaga un argomento di studio francamente poco considerato in tutto il campo delle patologie vertebrali: il risultato in termini di qualità della vita dei trattamenti proposti. Anche qui il Milwaukee ne viene fuori con le caratteristiche di maggiore invasività che chiunque può notare, con un conseguente drastico calo della qualità della vita dei ragazzi rispetto alle ortesi confrontate: TLSO e Charleston. Quest'ultimo risulta il migliore, ma date le sue caratteristiche esso può essere prescritto solo di notte e quindi risulta inevitabilmente meno invasivo. Mancano in questo studio un gruppo di controllo non trattato, come pure un follow-up nel tempo, oltre a non esserci un dato relativo ad un risultato di trattamento, ma solo all'impatto in corso di trattamento. L'interesse non ne risulta però sminuito e il dato deve essere ben tenuto a mente.

Lombalgia ed ortesi: meccanismi d'azione ed effetti stabilizzanti

Lo studio di van Poppel a pag. 190 dovrebbe far parte della biblioteca di chiunque usi le ortesi per trattare i pazienti lombalgici. Non viene qui discusso se esse siano efficaci (e non si può non sottolineare che i dubbi in merito continuano ad esserci e a non essere proprio pochi), ma quali siano i possibili meccanismi d'azione, ossia cosa essi in realtà facciano da un punto di vista fisiologico, attraverso una metanalisi completa della letteratura. Risultato: limitano il movimento in flesso-estensione e flessione laterale, ma non in rotazione; non riducono l'attività mioelettrica né aumentano la pressione intraddominale, di conseguenza non dovrebbero nemmeno a lungo termine influire riducendo la forza della muscolatura del tronco, ma questo dato è una estrapolazione dal dato grezzo e non il vero risultato, nonostante quanto affermato dagli autori. L'aver messo l'articolo on line ci ha anche consentito di presentare per esteso le tabelle di revisione, in cui vengono riportati i risultati dei singoli articoli da cui deriva il dato finale. E' tutto molto interessante, ma ricordiamo sempre che in una metanalisi vengono messi insieme più studi che spesso non coinvolgono popolazioni o metodi totalmente sovrapponibili: in particolare in questo caso non venivano usate sempre le stesse ortesi. Inoltre, che ne è, alla luce di questi risultati, di quel dato sempre riportato dei pazienti che, se portano per anni una ortesi, fanno poi fatica a toglierla senza farsi del male, dato sempre giustificato con la perdita di forza della muscolatura? In realtà non è negato del tutto, ma non possiamo fare a meno di sottolineare che probabilmente ciò che si perde, data la limitazione di articolarità (qui provata), ed il possibile effetto propriocettivo (qui neanche accennato), determinato dalle ortesi lombari, è la capacità di controllo del rachide, la coordinazione e questo, e non la semplice forza pura, causa secondo noi i successivi disturbi.

Complementare al precedente, lo studio di Cholewicki a pag. 118, approfondisce con una metodologia ingegnosa ed originale l'argomento. Sia l'ortesi che l'incremento della pressione intraddominale sono in grado di ridurre le perturbazioni del rachide lombare, quindi di aumentarne la stabilità. Questo elemento è direttamente correlato da un lato al controllo propriocettivo e coordinativo, dall'altro alle forze in gioco. E' quindi possibile che i due fattori siano tra essi complementari: l'incremento della pressione intraddominale aumenta le forze di stabilizzazione, mentre la fascia (ammesso secondo quanto sopra riportato che quest'ultima non sia in grado di incrementare la prima) aumenta il controllo neuromotorio da cui dipende poi in ultima analisi la stabilità. Una dimostrazione sicuramente elegante.

Anche questa triade si conclude con un lavoro interessante, soprattutto se considerato a completamento dei precedenti. Il contributo di Lavender a pag. 190 è accompagnato dal PdV di Osebold che ne tratteggia tutti i pregi ed i limiti (in verità non molti, e ben presentati dagli autori stessi): c'è proprio poco da aggiungere e soprattutto sulla conclusione pratica e sul modo in cui viene posta. Ricordando la priorità della scelta del paziente e della necessità di avere nei suoi confronti un corretto approccio educativo, non si può che essere pienamente d'accordo.

Alla ricerca della genesi del dolore acuto e cronico: i problemi del controllo neuromotorio

Inizia qui il "core" di questo fascicolo, con una serie di lavori di enorme interesse concettuale, ed i cui risvolti pratici sono già presenti nella clinica quotidiana dei più accorti tra i Soci del GSS. Questi studi imporranno invece a chi già oggi non dedica gran parte del proprio trattamento al recupero delle capacità funzionali neuromotorie di dedicarsi ad esse con maggiore attenzione.

Anne Mannion, uno delle più giovani realtà (vincitrice del Volvo Award nel 1999) della ricerca sulle problematiche del rachide lombare, insieme a due "mostri sacri" come Adams e Dolan, a pag. 191, studia il comportamento meccanico del rachide a fronte di un carico improvviso inaspettato. Il lavoro è da gustare sin dall'introduzione, nella revisione attenta dell'argomento, e conferma i dati di lavori precedenti che avevano dimostrato come carichi improvvisi possano determinare picchi compressivi al rachide di notevole entità. Questo lavoro delucida il contributo dei vari gruppi muscolari, sia pure ridimensionando l'entità del sovraccarico. Attenzione però, per ovvie ragioni etiche la prove previste in questo studio erano ampiamente in un ambito di sicurezza. E' lecito pensare che in condizioni di carico diverse, con anche lievi allontanamenti del carico dall'asse più corretto, oppure con perturbazioni sia pure modeste ma significative del corretto assetto, si possano dover fronteggiare nella vita quotidiana e professionale situazioni molto più complesse e pesanti di queste in laboratorio.

Radebold a pag. 122 riprende la metodologia già vista nel precedente lavoro a pag. 118, di cui era coautore, per documentare una volta di più le alterazioni neuromuscolari in corso di lombalgia cronica. Il ritardo di reazione al carico e la continua presenza di una co-contrazione (presumibilmente un fenomeno difensivo, ma che di fatto induce da un lato stanchezza e minore reattività e dall'altro maggiore compressione cronica) sono due fenomeni qui ben documentati con dovizia di particolari. La conclusione sulla utilità, e diremmo noi la necessità, di orientare il trattamento con esercizi su questi due aspetti, per da un lato facilitare il rilasciamento e dall'altro migliorare la prontezza della risposta, è assolutamente condivisibile.

Jull e Ricardson a pag. 127 conducono una revisione orientata alle scelte terapeutiche su tutti i dati presenti in letteratura sulla necessità di un attento controllo neuromotorio del rachide. I due autori hanno presentato questo contributo su una rivista per fisioterapisti, da cui deriva un taglio molto pratico; essi sono però anche protagonisti di una proposta terapeutica precisa su modalità concrete di sviluppare la stabilizzazione del rachide lombare insieme ad altri, tra i quali in particolare va ricordato Hodges (pag. 191). Questa tecnica è oggetto della nostra attenzione nelle pagine verdi da diversi fascicoli, tra cui anche questo (pag. 137): questa impostazione li porta ovviamente a proposte concrete che non necessariamente sono le uniche possibili. Per altro la loro prospettiva è molto interessante e fermamente basata sulla ricerca. Insieme alle ormai storiche proposte di McKenzie, che hanno però fronteggiato un certo freno ultimamente nella tuttora insufficiente documentazione di efficacia, ed a quella delle due scuole di riabilitazione funzionale intensiva (americana intraospedaliera: Gatchel e Hazard ne sono i più qualificati rappresentanti; finlandese ambulatoriale: Taimela con la ditta Documentation Based Care International) questa scuola di origine australiana si presenta come una delle più documentate ed importanti per il trattamento chinesiterapico dei problemi del rachide.

Elegante il contributo di Brumagne a pag. 129 che studia in particolare i fusi neuromuscolari paraspinali utilizzando un congegno appositamente sviluppato che, sottoponendo a vibrazione il passaggio lombosacrale, li manda in crisi e quindi ne impedisce la corretta funzione nella chinestesia, ossia nel controllo del movimento. Le premesse e la discussione sono interessanti, anche perché offrono un taglio leggermente diverso da quello dei lavori precedenti, soffermandosi tra l'altro su un concetto teorico, quello di "zona neutrale", che effettivamente sta alla base delle necessità di stabilizzazione del rachide.

Il lavoro di Stokes a pag. 132, uno dei più bravi studiosi di biomeccanica del rachide oggi vivente, è molto interessante, pur non essendo di facile ed immediata lettura. Può così essere tradotto: una colonna vertebrale "attivata" muscolarmente è più stabile e meno soggetta a perturbazione, oltre ad essere in assoluto meno perturbabile. In una colonna a riposo, invece, anche modesti disturbi dell'assetto richiedono interventi correttivi muscolari più imponenti. Si potrebbe dedurre quindi che una colonna impreparata possa incorrere più facilmente in un danno anche a fronte di modeste perturbazioni. Forse in questo meccanismo fisiologico risiede il perché della pre-attivazione costante di agonisti ed antagonisti presente nella muscolatura del paziente lombalgico cronico su cui ci siamo prima soffermati: come sempre, una risposta fisiologica che diviene patologica nel momento in cui non è più finalizzata e diventa una costante in una forma di difesa esagerata, che automaticamente fallisce e diventa addirittura fonte di ulteriori danni.

Il lavoro di Hodges a pag. 191 proviene dalla medesima scuola australiana già discussa in precedenza, ed approfondisce in questo caso il ruolo del muscolo traverso dell'addome nella stabilità lombo-pelvica, secondo temi già percorsi in precedenti capitoli. La revisione è ampia e dettagliata ed in realtà la summa di conoscenza scientifica qui presentata risulta condivisibile e porta inevitabilmente alla conclusione che sul traverso dell'addome è importante insistere. A questo punto è però necessario soffermarci un attimo su una delle basi su cui questa scuola si muove: l'allenamento specifico ed artificiale di singoli muscoli al fine di recuperare la funzionalità stabilizzante del rachide. Non possiamo fare a meno di ricordare e ricordarci che i muscoli stanno scritti più sui manuali di anatomia e nella testa dei cultori di alcuni metodi/tecniche, più che nel sistema di controllo neuromotorio dei nostri pazienti. Ci chiediamo quindi fino a che punto si debba necessariamente passare attraverso allenamenti specifici di singoli muscoli per migliorare una funzione e non piuttosto attraverso un recupero funzionale meno specifico, ma probabilmente più fisiologico ed alla fine utile.

Concludendo questa ampia sezione del fascicolo, determinata da un raggruppamento di numerosi articoli comparsi nell'anno 2000 sulle problematiche di controllo neuromotorio del rachide, si deve rilevare la consonanza generale sottesa a tutti questi contributi, che ha portato recentemente autori di diverse estrazioni (biomeccanici, medici, fisioterapisti…) e nazioni (Svizzera, Inghilterra, vari stati degli USA, Australia, Belgio) a studiare questo aspetto, che si viene a configurare come una nuova, interessante frontiera per la ricerca, oltre ad esserlo inevitabilmente per il trattamento. Questa presa di coscienza della comunità scientifica internazionale non può e non deve sfuggire ai nostri Soci, cui peraltro da anni è nota l'importanza di questi aspetti: siamo in un certo senso stati favoriti dal dover fronteggiare anche la scoliosi, oltre alla lombalgia, che con tutti i suoi problemi neuromotori, ci ha portato inevitabilmente a riflettere a lungo sull'argomento ed a scoprire assonanze tra i disturbi del rachide ben più ampie di quel che si potrebbe a prima vista supporre. Chi ha ancora dei dubbi sull'importanza di questi aspetti, legga questi lavori e rifletta con attenzione; invece, chi non ha più dubbi si fermi per favore un attimo e rifletta ancor di più, perché come sempre in medicina sta sicuramente per arrivargli un paziente che costituirà un'occasione per un bel bagno di umiltà, a ricordargli quanto i dubbi siano salutari ed utili.

La sensibilità al dolore, la paura del movimento: concetti basilari nel dolore cronico

Dalla sfera fisica a quella psicologica della lombalgia cronica. E' da anni noto come apparentemente si fronteggino due scuole in questo campo: coloro che sostengono che il dolore lombare cronico sia di origine fisica, o comunque con una importante componente fisica, e quanti pensano invece che la componente psicologica e sociale siano preponderanti. In questo interessantissimo fascicolo quasi monograficamente dedicato all'argomento, passiamo quindi dal versante fisico a quello psicologico, prima di andare ad abbozzare una nostra risposta a sommario di tutti i lavori visti. In particolare, il primo contributo di Vlaeyen a pag. 136 ci porta ad una revisione sistematica di tutto l'argomento. Questo articolo, sviluppato per una rivista eminentemente pratica come "Manual Therapy", rivolta quindi a lettori potenzialmente non familiari con l'argomento, ne fa una lettura ampia e, attraverso molteplici spunti dalla letteratura degli anni più recenti, offre un quadro d'insieme di estremo interesse. Il modello proposto è molto convincente e la lettura è fortemente consigliata a chi vuole avere tutte le basi sull'argomento.

Il lavoro di Al-Obaidi a pag. 171 dimostra una volta di più che la mente guiderà sempre il corpo. Chi soffre da tempo e presuppone che alcune prestazioni gli possano provocare dolore e quindi ne ha paura inevitabilmente sarà meno "prestante" rispetto ad una persona normale. Detto così, il succo di questo lavoro è addirittura scontato, ma la dimostrazione numerica è elegante e convincente. Ne consegue anche però che rimane valida l'antica logica riabilitativa, per cui è necessario far vedere al paziente quanto è nuovamente in grado di fare in seguito al cambiamento della sua condizione fisica indotto dalla patologia prima e dal trattamento riabilitativo poi: è questo un gradino essenziale del recupero, che è sempre psicologico oltre che fisico. Ecco allora che, come nell'anziano con esiti di frattura di femore è necessario portarlo a fare le scale in compagnia del terapista per essere sicuri che egli poi cammini da solo, altrettanto nel lombalgico sarà necessario ottenere prestazioni fisiche notevoli (ma ben guidate e controllate) con il terapista perché egli possa poi convincersi di poter in futuro avere prestazioni meno valide da solo evitando comunque il dolore. Quanto è diverso e concreto e riabilitativo questo tipo di approccio rispetto ad alcune terapie semi-magiche (stira di qui, postura di là, normalizza sopra, manipola sotto): tutto si può fare ma, signori, non scordiamoci che qui ci sono pazienti che soffrono e devono recuperare non solo dal dolore, ma soprattutto tornare ad una vita normale con il nostro aiuto.

A pag. 174 Claw presenta un lavoro di estremo interesse che merita attenta lettura e meditazione. In particolare tra i messaggi da cogliere uno è molto critico rispetto ad una delle mode diagnostiche imperanti oggi, quella sulla fibromialgia, un'entità nosologica per lo meno alquanto dubbia. Chi infatti si occupa di lombalgia cronica sa che molti di questi pazienti possono essere classificati tra i fibromialgici, di fatto togliendo loro la possibilità di cercare una soluzione terapeutica utile, visto che questa patologia non ne ha. Peraltro, questo studio sottolinea come vi sia un continuum di persone rispetto alla sensibilità al dolore: che alcune persone siano più sensibili al dolore di altre è esperienza quotidiana comune, non solo dei medici o di chi si occupa di dolore cronico. Certamente chi è più sensibile si trova ad andare incontro al dolore con più facilità e più facilmente può pure sviluppare comportamenti di evitamento o paura del dolore stesso, tutti elementi di rischio per il perpetuare la condizione patologica. E' stato dimostrato esistere però anche il versante opposto: chi soffre da molto tempo si "sensibilizza" al dolore e questo potrebbe non riguardare solo il rachide, per quanto ne sappiamo. A questo punto la fibromialgia potrebbe diventare solo la conseguenza del dolore cronico e non la sua origine. D'altra parte il terapeuta deve tenere presente l'ipersensibilità al dolore che caratterizza alcuni paziente, e già verbalizzare questo aspetto in modo positivo può essere un primo aiuto, pur non essendo il più importante. Anche perché esistono una serie di condizioni (tra cui lo stress, la mancanza di attività fisica, il primo periodo post-menopausale, il disagio lavorativo o sociale o rispetto alla propria condizione di salute) che abbassano ulteriormente la soglia del dolore e su cui si può intervenire per ottenere un primo risultato.

Per concludere sulla lombalgia cronica, sicuramente non è oggi possibile scartare a priori né l'ipotesi fisica né quella psico-sociale. Anzi, l'originale definizione di Waddell di "patologia bio psico-sociale", che assomma in sé tutte le componenti, è la più condivisibile a tutt'oggi. Sbaglia chi pensa di curare il lombalgico cronico guardando solo al suo fisico, ma sbaglia in pieno anche chi la butta tutta sullo psicologico o sul sociale (spesso è la miglior scusa per non far nulla). L'approccio non può che essere combinato e solo chi è in grado di giocare le proprie armi su tutti i versanti potrà avere le risposte migliori (sempre tenendo presente che in ogni singolo paziente ci saranno sbilanciamenti verso una o l'altra delle componenti della triade, con in più la complicazione che quando la richiesta è di una risposta per una patologia supposta fisica è quantomeno difficile non dare una risposta fisica, oltre che psicologica e sociale).

Colpo di frusta cervicale: influenza sul risultato delle modalità di risarcimento del danno ed efficacia di un trattamento multimodale in fase cronica e di uno attivo in fase acuta

Eccoci alla classica breve sezione annuale dedicata al colpo di frusta, di fatto l'argomento principe trattato in letteratura sull'approccio conservativo ai disturbi del rachide cervicale. Di estremo interesse il lavoro di Cassidy a pag. 177 che è venuto a trovarsi in una situazione sperimentale ideale in seguito ad una modifica del sistema assicurativo di una provincia del Canada. In questa occasione, non è più stato riconosciuto il risarcimento del danno al rachide in conseguenza del colpo di frusta in seguito alla dimostrazione del torto, ma solo il pagamento di tutte le cure e delle assenze dal lavoro in seguito alla dimostrazione dell'assenza di colpa. Il modello teorico sotteso è quello di disincentivare il paziente dallo sviluppo di una sindrome da indennizzo, consentendo così una riduzione delle sue problematiche. Un PdV di Boccardi a pag. 181 particolarmente ispirato in chiave scientifica e letteraria (tutto da assaporare) accompagna questo studio e di fatto ne propone il commento migliore. A noi preme però riflettere su un punto: anche qui apparentemente sembra che gli autori si concentrino su interventi e risultati di tipo economico, al fine di ridurre l'impatto di una patologia molto costosa. Non ci si deve far trarre in inganno: in realtà intervenire sulla sfera economica (in questo caso assicurativa) produce dei vantaggi economici oggettivi, ma anche dei vantaggi fisici soggettivi ai pazienti. I critici di un approccio attivo al trattamento delle patologie vertebrali, di un approccio "poco pesante", del famoso "passo indietro" da parte dei terapeuti, portano spesso avanti la bandiera dell'umanesimo (più attenzione al paziente, cura più attenta) contrapposto ad una supposta disumanizzazione che l'attenzione (da loro immaginata esclusiva) agli aspetti economici avrebbe. Assolutamente non è così ! Fare un passo indietro richiede ed impone al terapeuta maggiore umanità ed attenzione. In più: è il paziente che si giova del nostro passo indietro, perché non costa di meno alla società per caso, ma costa di meno perché sta meglio ! Infine: signori non si possono continuare a disperdere risorse a curare (male e a lungo) dolorini e doloretti, quando tutti oramai sappiamo che la coperta è corta e non ci sono poi soldi a sufficienza per curare altri problemi ben più gravi. Quindi, curiamo sicuramente, ma bene ed in breve tempo e con le minori risorse possibili, tutte queste patologie ad alto impatto: naturalmente, le minori risorse possibili non vuol dire risorse minimali e mal date (come spesso viene tradotto da alcuni economi sanitari - che non sono economisti), ma risorse giuste e ben date. Un'ultima riflessione: in questo lavoro il primo medico che vede il paziente ha un impatto determinante sui risultati finali. Il medico che accetta più facilmente l'idea di fare un passo indietro è quello che fa star meglio i pazienti: val la pena riflettere anche su questo.

Vendrig a pag. 182 ci presenta l'applicazione nel campo degli esiti a distanza del colpo di frusta di un approccio oramai diventato tipico per la lombalgia cronica: un trattamento multimodale con particolare attenzione agli aspetti cognitivi e comportamentali. L'analogia colta dagli autori è certamente esistente e la pratica clinica quotidiana ci aveva già confortato in questi termini, ma certamente la prova scientifica è l'ultima e vera risposta per poter affermare la validità di questo approccio. Si tratta qui comunque di uno studio iniziale, che non ha ancora la forza di un lavoro randomizzato controllato, che peraltro gli autori auspicano, e che attendiamo con relativa tranquillità. Articolo da leggere e trattamento da adottare.

Giungiamo infine finalmente ad uno degli articoli più destinati a "sconvolgere", ovviamente in senso buono, la maggioranza dei nostri Soci (come del resto ha colpito Boccardi nel suo PdV a pag. 181). Rosenfeld dimostra a pag. 186, senza tema di smentita o di dubbio, sulla scorta inoltre di altri lavori ben documentati presentati in precedenza anche su riviste prestigiose, che una mobilizzazione attiva del rachide cervicale IN FASE ACUTA, immediatamente dopo il trauma - e non a distanza, SENZA RICORRERE AD ALCUN COLLARE è più efficace di un trattamento classico che invece preveda collare, opuscolo di rassicurazione ed esercizi dopo qualche tempo. Secondo un approccio totalmente condivisibile ed ormai diventato classico in letteratura, il trattamento con esercizi viene inoltre effettuato a domicilio quasi senza supervisione. Eppure i pazienti stanno molto meglio ! Meditiamo, gente. Meditiamo. E soprattutto abbandoniamo una medicina difensiva (perché il collare nei traumi minori non è altro che medicina difensiva) per dare spazio al coraggio di essere medici che si assumono le proprie responsabilità terapeutiche sino in fondo: per il bene dei nostri pazienti. Poco da aggiungere resta poi al PdV di Cassidy a pag. 189 che completa egregiamente il lavoro dandogli ulteriore forza e coerenza con una visione più complessiva dell'approccio al paziente con colpo di frusta.

Di più è di meno: parliamo un po' di noi

L'editoriale di Cowell a pag. 191 pubblicato originariamente su "The Journal of Bone and Joint Surgery", la più importante rivista ortopedica, è molto interessante e per noi fonte di riflessione. L'autore ci porta infatti a soffermarci sulla sovrabbondanza di informazioni mediche (pseudo)scientifiche acritiche oramai reperibili con diverse fonti informatiche, in particolare su Internet, che non possiedono alcuna garanzia di scientificità. Questa infatti è data per le riviste internazionali dal percorso di revisione tra pari (peer-review), quel percorso che fa sì che una pubblicazione venga letta in cieco (senza sapere gli autori) da almeno tre ricercatori affermati del settore e sottoposta ad una serie di critiche che possono terminare o con il rifiuto del lavoro o con una sua revisione più o meno pesante. Questo percorso metodologico è la garanzia di scientificità che le riviste si danno. L'assenza di questo percorso implica una maggiore probabilità che quanto pubblicato sia di scarso o nullo valore scientifico, sino a poter arrivare addirittura ad un possibile falso, ancor più grave quando chi lo millanta è un presunto esperto. Certamente nel mercato dell'editoria italiana nel nostro campo questo valore è pressoché ignoto: i lavori pubblicati senza alcuna peer-review, da parte di esperti più o meno veri, è la norma per non dire la totalità delle pubblicazioni. Questo è uno tra i tanti motivi che hanno portato il GSS praticamente sin dalla nascita a rivolgersi alla letteratura straniera (tutta indicizzata, tutta con peer-review): certamente nel lontano 1978 prevaleva la non conoscenza della lingua inglese, e l'associarsi permetteva di limitare i certamente ingenti costi di traduzione. Oggi però non è più così. Infatti il GSS non si limita a TRADURRE SINTETIZZANDO la letteratura. Soprattutto la SELEZIONA, scegliendo i lavori più importanti, con un ulteriore lavoro di peer-review da parte di un collegio di esperti, andando a pescare solo dalle riviste più serie (quindi riviste indicizzate con percorso formale di peer-review). Ed oggi tutti sappiamo che il tempo per andare a guardare la letteratura di nostro interesse non c'è, e restare aggiornati è diventata un'impresa titanica quasi impossibile. Un Socio quindi dispone di più garanzie e di un Servizio che nessun'altra rivista italiana oggi gli dà, oltre ad avere una visione della letteratura (ovviamente solo sui nostri argomenti) molto più ampia di quella che potrebbe avere abbonandosi anche a due o tre riviste indicizzate. Certamente viene così a perdere una gran quantità di lavori "di contorno", che però possono essere superflui, ma non perde l'essenziale, ossia tutti i lavori più importanti e "pesanti" dell'anno, oltre a trovarseli raggruppati per argomento e commentati. Non è poco.

Pagine verdi: ancora stabilizzazione, esercizi per la fibromialgia e McKenzie

Mettiamo assieme per comodità di lettura i due contributi di Richardson a pag. 137 e O'Sullivan a pag. 147 sulla stabilizzazione del rachide lombare, cui abbiamo già ampiamente accennato sopra. Il primo discute con dovizia di particolari, soprattutto elettromiografici, le basi teoriche del coinvolgimento del traverso dell'addome. Il secondo invece rivede il concetto di instabilità, si addentra nel terreno minato della diagnosi con una propria originalità e notevole capacità didattica, per giungere infine ad una seria proposta terapeutica. Soprattutto quest'ultimo lavoro risulta interessante per chi voglia disporre di un approccio pratico e concreto e desideri avere una revisione abbastanza completa sull'argomento di cui da tempo ci stiamo occupando con lavori certamente più dettagliati e precisi, ma meno completi.

Di fibromialgia abbiamo già discusso (e dubitato, per lo meno nell'estensione di incidenza che anche il lavoro di Clark a pag. 155 propone): qui troviamo un contributo pratico di estremo interesse per quei pazienti (secondo noi pochi) che ne soffrono. E' infatti indubitabile anche da un punto di vista teorico il vantaggio che può dare a questi pazienti una tecnica come l'esercizio fisico, che migliora le prestazioni di un soggetto che tende a ridurle a causa del dolore cronico e innalza la soglia del dolore in pazienti in cui per definizione essa è diminuita. Interessante è la scala funzionale proposta, analoga ad altre già note, ma in questo caso "personalizzata" sul problema. In ogni caso le annotazioni pratiche finali, oltre ad essere genericamente utili, essendo basate sull'esperienza clinica individuale, dimostrano come ci sia ampia necessità di ricerca e di approfondimenti in questo settore.

A pag. 160 Sagi ci accompagna in una rapida ma ben fatta revisione dell'approccio secondo McKenzie al trattamento del paziente lombalgico. L'argomento è certamente abbastanza noto ad alcuni dei nostri Soci, anche se questo lavoro costituisce un bel riassunto che può contribuire a sottolineare una volta di più quello che questo approccio è o non è, visto il perdurare di numerosi preconcetti di norma basati sull'ignoranza della realtà. Interessante poi che lo presenti un autore francese, vista la lontananza culturale di questa tecnica rispetto a quelle che normalmente ci giungono da oltralpe.

Infine spazio al sempre più stimato contributo che Carlo Trevisan come al solito ci presenta a pag. 192. Il tema trattato è questa volta la revisione completa di un gran numero di articoli che si sono concentrati nel 2000 sulle capacità fisiche nei vari stadi della vita, su come mantenerle e svilupparle al meglio: questa trattazione, che terminerà nel prossimo fascicolo, è tra i temi basilari per il nostro GSS.

Buona lettura.

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del II fascicolo 2001

  1. Gli effetti dell'ortesi dorso-lombo-sacrale su deformità spinali, asimmetria del dorso e gabbia toracica frontale inferiore nella scoliosi
    Estratto da: Korovessis P, Kyrkos C, Piperos G, Soucacos PN. Effects of Thoracolumbosacral Orthosis on Spinal Deformities, Trunk Asymmetry, and Frontal Lower Rib Cage in Adolescent Idiopathic Scoliosis. Spine 2000:25(16); 2064-71 (Referenze Bibliografiche n. 39).

  2. Il corsetto influenza l'immagine di sé stessi? Uno studio prospettivo su 54 pazienti con scoliosi idiopatica dell'adolescenza
    Estratto da: Ólafsson Y, Saraste H, Ahlgren RM. Does bracing affect self-image? A prospective study on 54 patients with adolescent idiopathic scoliosis. Eur Spine J 1999: 8; 402-5 (Referenze Bibliografiche n. 19).

  3. L'impatto del tipo di corsetto sulla qualità della vita degli adolescenti con deformità vertebrali
    Estratto da: Climent JM, Sànchez J and the Group for the Study of Quality of Life in Spine Deformities. Impact of the Type of Brace on the Quality of Life of Adolescents With Spine Deformities. Spine 1999: 24(18); 1903-8 (Referenze Bibliografiche n. 37).

  4. La stabilità del rachide lombare può essere aumentata con una cintura addominale e/o con una maggiore pressione intra-addominale
    Estratto da: Cholewicki J e al. Lumbar spine stability can be augmented with an abdominal belt and/or increased intra-abdominal pressure. Eur Spine J 1999: 8; 388-95 (Referenze Bibliografiche n. 72).

  5. Tipi di reazione muscolare a un carico improvviso del dorso in individui sani e in pazienti con mal di schiena cronico
    Estratto da: Radebold A, Cholewicki J, Panjabi MM, Patel TC. Muscle Response Pattern to Sudden Trunk Loading in Healthy Individuals and in Patients with Chronic Low Back Pain. Spine 2000: 25(8); 947-54 (Referenze Bibliografiche n. 32).

  6. Problemi di controllo motorio in pazienti con LBP: una nuova direzione per l'esercizio terapeutico
    Estratto da: Jull GA, Richardson CA. Motor Control Problems in Patients With Spinal Pain: A New Direction for Therapeutic Exercise. JMPT 2000: 23(2); 115-7 (Referenze Bibliografiche n. 20).

  7. Il ruolo dei fusi neuromuscolari sul senso di posizione lombo-sacrale in soggetti con e senza LBP
    Estratto da: Brumagne S, Cordo P, Lysens R, Verschueren S, Swinnen S. The Role of Paraspinal Musce Spindles in Lumbosacral Position Sense in Individuals With and Without Low Back Pain. Spine 2000: 25(8); 989-94 (Referenze Bibliografiche n. 51).

  8. Diminuzione della risposta muscolare del tronco alla perturbazione con preattivazione della muscolatura spinale lombare
    Estratto da: Stokes IAF, Gardner-Morse M, Henry SM, Badger GJ. Decrease In Trunk Muscular Response to Perturbation With Preactivation of Lumbar Spinal Musculature. Spine 2000: 25(15); 1957-64 (Referenze Bibliografiche n. 30).

  9. La paura del movimento o di una nuova lesione, il comportamento rinunciatario e la disabilità data dal dolore in pazienti con un mal di schiena cronico
    Estratto da: Vlaeyen JWS, Crombez G. Fear of Movement/(re)injury, avoidance and pain disability in chronic low back pain patients. Manual Therapy 1999: 4(4); 187-195 (Referenze Bibliografiche n. 64).

  10. Il ruolo dell'anticipazione e della paura del dolore nella persistenza del comportamento che porta a evitare sforzi in pazienti con mal di schiena cronico
    Estratto da: Al-Obaidi SM, Nelson RM, Al-Awadhi S, Al-Shuwaie N. The Role of Anticipation and Fear of Pain in the Persistence of Avoidance Behavior in Patients With Chronic Low Back Pain. Spine 2000: 25(9); 1126-31 (Referenze Bibliografiche n. 26).

  11. La sensibilità al dolore come un elemento correlato allo stato clinico in individui con mal di schiena cronico
    Estratto da: Claw DJ, Williams D, Lauerman W, Dahlman M, Aslami A, Nachemson AL, Kobrine AI, Wiesel SW. Pain Sensitivity as a Correlate of Clinical Status in Individuals With Chronic Low Back Pain. Spine 1999: 24(19); 2035-41 (Referenze Bibliografiche n. 36).

  12. L'effetto dell'eliminazione dell'indennizzo per dolore e sofferenza sull'esito delle domande di risarcimento per il colpo di frusta
    Estratto da: Cassidy JD, Carroll LJ, Côté P, Lemstra M, Berglund A, Nygren A. Effect of Eliminating Compensation for Pain and Suffering on the Outcome of Insurance Claims for Whiplash Injury. The New England Journal of Medicine 2000: 342(16): 1179-86 (Referenze Bibliografiche n. 46).

  13. Risultati di un programma di trattamento multimodale per pazienti con sintomi cronici dopo una lesione da colpo di frusta cervicale
    Estratto da: Vendring AA, van Akkerveeken PF, McWhorter KR. Results of a Multimodal Treatment Program for Patients With Chronic Symptoms After Whiplash Injury of the Neck. Spine 2000: 25(2); 238-44 (Referenze Bibliografiche n. 37).

  14. Primo intervento nel colpo di frusta: confronto di due protocolli di trattamento
    Estratto da: Rosenfeld M, Gunnarsson R, Borenstein P. Early Intervention in Whiplash-Associated Disorders. A Comparison of Two Treatment Protocols. Spine 2000: 25(14); 1782-87 (Referenze Bibliografiche n. 18).

    Tecnica

  15. Una nuova prospettiva sul ruolo di stabilizzazione del trasverso dell'addome (Ia parte)
    Estratto da: Richardson C, Jull G, Hodges P, Hides J. A new perspective on the stabilization of the trasversus abdominis. In Therapeutic Exercise for Spinal Segmental Stabilization in Low Back pain. Scientific Basis and Clinical Approach, pp 41-59, Churchill Livingstone, United Kingdom, 1999

  16. "Instabilità" segmentale lombare: presentazione clinica e trattamento con esercizi specifici stabilizzanti
    Estratto da: O'Sullivan PB. Lumbar segmental "instability": clinical presentation and specific stabilizing exercise management. Manual Therapy 2000: 5(1) 2-12 (Referenze Bibliografiche n. 53).

  17. Gli esercizi nel trattamento della fibromialgia
    Estratto da: SR Clark, CS Burckhardt, RM Bennett. The Use of Exercise to Treat Rheumatic Disease. In Exercise for Prevention and Treatment of Illness (L Goldberg DL Elliott, eds), pp 97-106, F.A. Davis Company, Philadelphia, 1994 (Referenze Bibliografiche n.95).

  18. Approccio al metodo McKenzie
    Estratto da: Sagi G. Une introduction a la methode McKenzie. La Revue de Médecine Orthopédique 2000: 61;7-11 (Referenze Bibliografiche n. 12)

    Online:

  19. I meccanismi di azione dei sostegni lombari. Una rassegna sistematica
    Estratto da: Van Poppel MNM, De Looze MP, Koes BW, Smid T, Bouter LM. Mechanisms of Action of Lumbar Supports. A Systematic Review. Spine 2000: 25(16); 2103-13 (Referenze Bibliografiche n. 63).

  20. Gli effetti di una cintura di sollevamento sulla colonna vertebrale e sul reclutamento muscolare dopo un carico improvviso e inaspettato
    Estratto da: Lavender SA, Shakeel K, Andersson GBJ, Thomas JS. Effect of a Lifting Belt on Spine Moments and Muscle Recruitments After Unexpected Sudden Loading. Spine 2000:25(12); 1569-78 (Referenze Bibliografiche n. 31).

  21. Il carico improvviso e inaspettato genera alte forze sul rachide lombare
    Estratto da: Mannion AF, Adams MA, Dolan P. Sudden and Unexpected Loading Generates High Forces on the Lumbar Spine. Spine 2000; 25(7); 842-52 (Referenze Bibliografiche n. 40).

  22. Esiste un ruolo per il muscolo trasverso dell'addome nella stabilità lombo-pelvica?
    Estratto da: Hodges PW. Is there a role for trasversus abdominis in lumbo-pelvic stability? Manual Therapy 1999: 4(2); 74-86 (Referenze Bibliografiche n. 84).

  23. Editoriale. L'enigma del millennio: più informazioni e meno conoscenza
    Estratto da: Cowell HR. Editorial. The Millenium Enigma: More is Less. The Journal of Bone and Joint Surgery 1999:81-A(11); 1509-10.


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