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Aggiornamento scientifico sulle patologie vertebrali

Editoriale del III fascicolo 2000


Il materiale scientifico presentato sul sito è indirizzato agli operatori del settore interessati alle patologie vertebrali. Per i pazienti le informazioni disponibili in queste pagine hanno solo un valore indicativo e non possono sostituire un parere medico.

I Punti di Vista di Boccardi e Trevisan

Scoliosi. Cinematica del torace, osteopenia e segno di Risser
Carichi sul rachide: lavorativi, modalità di distribuzione normale, asimmetrie pelviche
Premesse all'artrodesi. Situazioni post-chirurgiche: limitazioni dei carichi e ritorno al lavoro
Efficacia per la lombalgia di: agopuntura, Back School Attiva, esercizi e riabilitazione attiva
Approccio alla lombalgia: come prevedere una possibile evoluzione verso la cronicità, un caso clinico basato sulle evidenze scientifiche
Dolore e fisioterapia
Pagine verdi: stabilizzazione lombare, colpo di frusta e sacro-iliaca
Indice

Dopo il solito doveroso saluto, vorrei proporre un piccolo sondaggio tra i soci con accesso a Internet: ritenete che questo editoriale possa essere utile ? E' troppo lungo ? E' troppo breve ? Cosa pensate che sia meglio potenziare: il riassunto dei lavori, il loro commento, altre analisi ? Pensate che sia meglio smembrare tutte queste considerazioni come brevi punti di vista dopo ogni singolo articolo oppure va lasciato tutto così com'è ? Fatemi sapere cosa ne pensate inviando una mail al nostro sito all'indirizzo gss@gss.it, così vedremo cosa eventualmente cambiare per il prossimo anno.

Scoliosi. Cinematica del torace, osteopenia e segno di Risser

La gabbia toracica del paziente scoliotico va incontro ad una deformazione che è, insieme alla riduzione della cifosi sul piano sagittale, uno dei momenti essenziali del deficit respiratorio. Il lavoro di Leong a pag. 207 approfondisce questo aspetto, sottolineando che la rigidità del sistema torace aggiunge un ulteriore fattore di deficit respiratorio. Un'azione cinesiterapica preventiva è sicuramente utile, anche semplicemente in termine di elasticizzazione costale come inducibile attraverso appositi esercizi, una volta scartata ovviamente una mobilizzazione vertebrale, possibile fautrice di aggravamenti della patologia scoliotica.

Per la seconda volta ci troviamo ad affrontare il tema dell'osteopenia nel paziente affetto da scoliosi idiopatica (vedi fascicolo 2/1998, pag. 111). Cheng a pag. 209 propone come la quantità di pazienti scoliotici affetta da osteopenia sia troppo elevata rispetto a soggetti di controllo per non destare il sospetto che ci si possa trovare di fronte ad una patologia associata. Inoltre, in questo lavoro viene prospettato come la carenza di calcio osseo tenda a permanere nel tempo e viene proposto che ci possa essere una qualche forma di correlazione con l'evolutività o comunque con un sotto-gruppo particolare di soggetti, che potrebbe avere una sua individualità classificatoria rispetto alla popolazione totale. Forse è giunto il momento di cominciare a considerare anche la MOC DEXA tra gli esami utili nei pazienti affetti da deformità del rachide ed a pensare se non sia il caso di intervenire in qualche modo da un punto di vista terapeutico (sempre tenuto presente che gli esercizi sono un primo presidio essenziale).

Eccoci di nuovo al segno di Risser, tanto discusso, tanto criticato, ma tanto costantemente (e giustamente) usato. Noordeen a pag. 213 propone un lavoro di chiaro interesse, correlando questo segno con la reale crescita ossea istologicamente determinata a livello del piatto vertebrale. Ne deriva in fondo una rivalutazione del segno di Risser, ed una puntualizzazione su cui da tempo insistiamo, sulla scorta dell'insegnamento del nostro direttore scientifico, Sibilla: un segno di Risser 4 non vuole assolutamente significare una ossificazione definitiva. Peraltro, ci interesserebbe anche un approfondimento di questo stesso studio, andando a considerare da quanto tempo il Risser 5 è stato ottenuto: siamo infatti convinti che in una percentuale sia pure ridotta di pazienti, anche il Risser 5 appena raggiunto non significa una ossificazione definitiva del piatto vertebrale (vedi fascicolo 3/1993, pag. 209).

Carichi sul rachide: lavorativi, modalità di distribuzione normale, asimmetrie pelviche

Tapio Videman, plurivincitore del Volvo Award, è un convinto assertore dell'origine genetica della degenerazione del rachide. A pag. 215 rivede tutta la letteratura sul ruolo dei carichi occupazionali nella possibile origine della degenerazione discale definendone una scarsa importanza: rimangono però forti dubbi, anche perché la misurazione precisa del carico rimane uno degli elementi più difficili. Da cultori della riabilitazione non possiamo poi fare a meno di vedere che il medesimo carico avrà effetti completamente diversi in base a come viene applicato e alle condizioni fisiche di chi lo subisce. Eviteremmo quindi la posizione manichea dell'autore, per il quale il lavoro non conta nulla, e più prudentemente proponiamo che, su un rachide le cui caratteristiche meccaniche intrinseche di resistenza sono sicuramente geneticamente determinate, si innestano tre fattori (il carico di per sé, le condizioni in cui il carico viene applicato e la risposta fisica di chi subisce il carico, strettamente vincolata di nuovo ad aspetti genetici ma anche ad un allenamento successivo) che insieme vanno a determinare la risultante degenerazione.

Oramai solo raramente selezioniamo per la pubblicazione lavori strettamente biomeccanici come quello di "Pat" Patwardhan a pag. 219: in questo caso però il valore intrinseco e le notevoli implicazioni pratiche dello studio hanno imposto una doverosa eccezione. L'autore illustra un proprio esperimento che ha permesso di dimostrare una delle modalità che permettono al rachide di affrontare i carichi cui quotidianamente viene sottoposto. Sino ad oggi infatti, su cadavere, non era mai stato possibile neanche avvicinare i carichi reali senza incorrere in un cedimento delle strutture. Egli qui dimostra che, se si riesce a fare in modo che il carico passi per il centro di rotazione delle vertebre e dei dischi intervertebrali attraverso una serie di tiranti appositamente predisposti, è possibile avvicinarsi alle condizioni presenti "in vivo". Questo lavoro definisce una volta di più il ruolo essenziale del controllo neuro-motorio del rachide, l'unico garante di una adeguata distribuzione delle forze in vivo, fondamentale quindi nel soggetto normale (in quanto anche un piccolo errore di controllo, conseguente p.e. ad affaticamento o ad una piccola lesione muscolare, può determinare con facilità una lesione anche a fronte di carichi esterni minimi), ma determinante nel paziente da riabilitare in quanto, se non recuperato adeguatamente, impedisce una completa restituzione alla vita quotidiana normale.

Il lavoro di Levangie a pag. 223 è interessante, ma personalmente ci porta a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle dell'autore: l'associazione tra asimmetrie pelviche statiche e lombalgia è talmente debole che non può essere considerata clinicamente rilevante, pur essendo possibile in un numero limitato di pazienti. Certamente l'argomento è stuzzicante, ma sarebbe necessaria una maggiore finezza di indagine e di classificazione per poter concludere qualcosa con maggior certezza.

Premesse all'artrodesi. Situazioni post-chirurgiche: limitazioni dei carichi e ritorno al lavoro

Il lavoro di Hanley pag. 226 è un'ottima e complessiva revisione sull'argomento artrodesi per il rachide lombare. Abbiamo scelto di eliminare la parte più "tecnica", ossia quella strettamente chirurgica (N.d.r.: chi fosse interessato può richiederla in Segreteria), mantenendo tutte le premesse, quelle di maggior interesse per i riabilitatori. Quando effettuare l'intervento ? Sicuramente se esiste una instabilità vertebrale vera. Ma quando è possibile definire con precisione l'esistenza di una instabilità ? Anche qui, come si vede dal testo, l'incertezza è maggiore delle certezze. A parte le condizioni conclamate e dimostrabili con radiografie dinamiche, certamente non così frequenti quanto sono le prescrizioni di artrodesi, personalmente non possiamo prescindere da alcune considerazioni: per esserci instabilità il dolore DEVE essere presente principalmente in movimento, e comunque in tutte quelle situazioni che pongono in stress di MOBILITA' il rachide; può esserci anche in condizioni statiche, ma se queste prevalgono o sono presenti esclusivamente, è difficile e tutto sommato scorretto, secondo noi, pensare ad una instabilità. Certo, leggendo queste revisioni, magari anche la parte da noi tagliata, che riporta come i risultati oggi presenti in letteratura sono generalmente insufficienti e con scarso follow-up, ci si chiede come sia possibile che, con tutti questi dubbi, si proponga l'intervento con una discreta facilità. Il problema esiste per noi "conservativi", che al massimo spendiamo denari inopinatamente, e difficilmente facciamo grandi danni, dovrebbe a maggior ragione esistere per chi provoca variazioni così radicali da non poter tornare indietro. Eppoi, perché i tagli in sanità devono sempre colpire la riabilitazione, che avrebbe scarse indicazioni positive in letteratura, e non la chirurgia, quando i risultati sono di siffatta (scarsa) portata ?

Movimento, ancora movimento, e se non bastasse, un po' di movimento. Ultimamente, quasi dovunque ci si volga per il rachide, emerge che i pazienti devono essere limitati un po' di meno e che li si deve far muovere un po' di più. Ecco dunque il turno della riabilitazione post-chirurgica, o meglio delle limitazioni poste al movimento dopo il trattamento cruento, che ha scarse basi scientifiche (Magnusson a pag. 231) e che può essere tranquillamente proposto sulla base di prove scientifiche altrettanto precise (Pope a pag. 235). Esistono poi oggi prove, in un ambiente potenzialmente "ostile" come quello della richiesta di indennizzo lavorativo, che l'approccio riabilitativo (che è diverso dalla riabilitazione intesa come avviene normalmente come una serie di prassi poste in atto per il recupero fisico, mentre è riabilitazione nel senso totale della parola, di recupero del soggetto a 360°, sue paure incluse) riesce a ridurre alla metà il tasso di assenza del lavoro a un anno nei soggetti operati (Donceel a pag. 240, con relativo, illuminante e totalmente condivisibile PdV di Fordyce a pag. 263). La considerazione che ne deriva è che la professione medica in generale e quella del riabilitatore in particolare è ricchissima di prassi prive di ogni riscontro scientifico, ma basate su tradizioni talmente consolidate da essere date per scontate. Negli ultimi tempi, tutto ciò viene sondato e posto in discussione e spesso le sorprese non mancano, confermando la validità di questo passo in avanti. Il problema successivo, non secondario, è quello di diffondere queste nuove prassi tra gli operatori. L'esperienza dell'inutilità dell'allettamento per lombalgia ci sta sempre più insegnando quanto sia difficile.

Efficacia per la lombalgia di: agopuntura, Back School Attiva, esercizi e riabilitazione attiva

L'agopuntura per il mal di schiena secondo la Cochrane Collaboration, questa meritoria associazione che si pone l'obiettivo di proporre revisioni sistematiche (metanalisi) secondo una metodologia assolutamente accurata e rigorosa, viene per noi rivista da van Tulder a pag. 264, condita e insaporita dal solito, pregnante, caustico e piacevole PdV di Boccardi a pag. 267. Non ne viene fuori un quadro pienamente confortante, perché i dubbi in materia restano molti, e questo porta gli autori a concludere che è meglio preferire altro a questa pratica non più totalmente esoterica. Mancanza di prove di efficacia non significa però mancanza di efficacia, anche se logicamente, laddove esistono prove per altri tipi di trattamenti, è meglio preferire questi ultimi. Personalmente penso che l'agopuntura possa e debba avere un suo spazio preciso, nell'ambito delle tecniche antalgiche con grossa valenza reflessoterapica. Pensare quindi di utilizzarla laddove un dolore è di chiara origine meccanica è tutto sommato un controsenso (ovviamente sino a prova contraria), mentre può avere un ruolo anche estremamente importante in certe forme di algie croniche difficilmente superabili, in cui vi sono circuiti di mantenimento della sintomatologia che necessitano di essere spezzati. Certamente, però, sempre di trattamento antalgico (e mai causale) si tratta, quindi riservato a situazioni comunque particolari, perché per il resto il nostro compito come riabilitatori non è semplicemente (come troppi pensano) togliere il dolore. A noi tocca riabilitare, e quindi restituire ad una migliore funzione, ad una vita più attiva: i nostri strumenti principe sono e devono essere altri, non solo degli "antalgici" (come mi disse una volta una terapista: "non si può essere solo un'aspirina !", anche perché, aggiungo io, l'aspirina costa molto di meno !).

Toh, qualcun altro che si ricorda che la Back School può non essere soltanto educazione, così come non deve essere soltanto stupida esecuzione di esercizi in flessione. Il bel lavoro di Lonn a pag. 268 pone in dubbio le ultime revisioni sistematiche che criticavano la Back School, portando un risultato interessante e positivo applicando una metodica di trattamento che sconfina dall'educazione alla riabilitazione, ossia una Back School che magari non sarà completamente quella originale della Zachrisson-Forsell, ma di certo risponde di più alle idee odierne di chi di riabilitazione se ne intende. L'altro aspetto importante è quello del tempo di trattamento, appositamente prolungato per ottenere il massimo risultato in termini riabilitativi, ed accompagnato dall'insegnamento e dal controllo di esercizi domiciliari, cui i terapisti sembrano spesso allergici. Si parte infatti dal presupposto che, se non controllati adeguatamente, i pazienti finiranno certamente per far male gli esercizi e quindi per ricavarne dei danni. E' come se un insegnante non facesse fare i compiti a casa perché gli studenti correrebbero il rischio di farli male e quindi di disimparare !: ma non è forse esattamente il contrario, ossia che solo l'esercitazione costante paga ? Ossia, gli esercizi a casa non sono altro che un potenziamento di quanto viene effettuato in un ambiente protetto: certo è magari necessario proporre solo alcuni esercizi, ben selezionati, e controllarli nel tempo, e pianificare anche questa fase dell'intervento. E' poi soprattutto necessario pensarci e cambiare le proprie abitudini, cosa non sempre facile.

Il gruppo di Mooney è uno dei più attenti alla riabilitazione ed il lavoro a pag. 277 lo testimonia ancora una volta. Pur non essendo totalmente privo di critiche, in quanto manca un vero gruppo di controllo, lo studio dimostra l'efficacia di una riabilitazione attiva, svolta in due centri anche fisicamente molto distanti da loro, seguendo metodologie analoghe ma non sovrapponibili. La "sindrome da decondizionamento" può apparire come una vera e propria "via finale comune" delle rachialgie croniche. Noi medici, a furia di impegnarci a cercare di fare una diagnosi impossibile nella imperscrutabile sindrome lombalgica, continuiamo spesso ad ostinarci ad "appiccicare etichette", come direbbe Alf Nachemson, che: servono soltanto a noi per convincerci di essere bravi; pensiamo possano servire al paziente, perché dice loro che il medico ha capito che cos'ha; mentre in realtà non fanno altro che aumentargli la confusione in testa e contribuire a congelarlo in una paralizzante immobilità perché "nessuno ha capito che cos'ho", quindi "nessuno è in grado di curarmi" e, come minimo, "non mi muovo per non farmi del male". A questo punto non rimane che la riattivazione, accanto ad un lungo percorso di recupero psicologico, di cui la riattivazione non è che un passaggio, secondo noi essenziale, perché non c'è nulla come affrontare e superare le difficoltà (in questo caso di muoversi) che insegna che si è in grado di farlo. Da leggere anche il PdV di Sihvonen a pag. 278, che serve ad aggiungere qualche utile dubbio, pur non eliminando i pregi dell'articolo commentato.

Ecco un altro articolo sulla riabilitazione funzionale per il paziente lombalgico cronico. Ecco un altro lavoro della prolifica équipe finlandese che fa capo alla metodica DBC (Documented Based Care) ed al suo responsabile Simo Taimela. Kankaanpää a pag. 279 dimostra ad un anno di distanza l'efficacia di questo approccio a confronto con un classico approccio passivo al trattamento del paziente lombalgico. Il tipo di riabilitazione effettuato viene presentato in sufficiente dettaglio (sia pure non a livello di Pagine Verdi) e quindi si rimanda all'apposito capoverso.

Approccio alla lombalgia: come prevedere una possibile evoluzione verso la cronicità, un caso clinico basato sulle evidenze scientifiche

Chi tra i miei pazienti ha la possibilità di diventare un lombalgico cronico ? Chi necessita di una maggiore attenzione ? La risposta di Thomas a pag. 284, ricercata nella medicina di base con un attento studio prospettico è: età più avanzata, episodi pregressi di lombalgia, sesso femminile, stress, autovaluzione di salute scarsa, bassi livelli di attività fisica, fumo, insoddisfazione professionale, lunga durata dei sintomi, dolore molto esteso, dolore irradiato agli arti inferiori, limitazione della mobilità articolare. Abbiamo riportato in dettaglio questi dati sia perché sono importanti a scopo prognostico, sia perché alcuni sono modificabili attraverso il nostro approccio. Appare comunque chiaro che è predisposto al dolore cronico chi ha un episodio di dolore più grave (bio-), chi si cura poco (-psico-), chi ha condizioni di disagio più o meno precise (-sociale): in tutto ciò è in realtà contenuto il significato della lombalgia, ossia una situazione di ordine bio-psico-sociale che richiede un intervento su tutta la triade per ottenere un risultato.

Il contributo di Ash a pag. 288 è interessante come solo questi lavori di revisione di un caso clinico basato sulle evidenze scientifiche sa essere. Di fatto viene qui presentato come usare la letteratura, le Linee Guida e le informazioni disponibili sulla Rete (Internet)per pervenire alla risposta ad un quesito clinico (in questo caso semplicemente una lombalgia). E' qui estremamente utile la lettura non solo per il merito, ma anche e soprattutto per il metodo che, sottolineando ancora una volta come la medicina sia un'arte sì, ma scientifica, spiega a tutti con dovizia di particolari come ci si può muovere nel mondo scientifico oggi sempre più aperto, anche grazie ad Internet, per ottenere le informazioni che si desiderano e quindi rispondere adeguatamente alle nostre esigenze cliniche e, soprattutto, alle richieste che i pazienti ci formulano.

Dolore e fisioterapia

I contributi originali si chiudono con un lavoro ineludibile, una delle punte di questo Fascicolo. Si tratta di un editoriale di Simmonds a pag. 290, pubblicato originariamente su Physical Therapy Review, sulla gestione del dolore. A parte il piacere della lettura, le riflessioni sono molto approfondite e richiedono una attenta meditazione, anche perché profondamente moderne nell'approccio pienamente riabilitativo che si propone al problema dolore che non viene trascurato, che non viene considerato secondario, ma che viene letto per quello che è, ossia nei casi cronici una variabile impazzita, una funzione che ha perso la propria originaria funzione (avvisare che sta intervenendo un danno organico) per divenire un ostacolo al recupero e quindi in definitiva uno dei principali contributi al proprio mantenimento. La sottolineatura che "lascia che il dolore sia la tua guida" è in questi casi uno dei più grossi errori in cui possa incorrere il riabilitatore, non è solo condivisibile, ma addirittura fondamentale per chi, come noi, con il dolore ha quotidianamente a che fare. Questo ovviamente non significa non provare empatia per il paziente, non essergli vicini: vuole solo significare avere un atteggiamento attivo, e proporre al paziente la strada concreta per uscire dai suoi problemi.

Pagine verdi: stabilizzazione lombare, colpo di frusta e sacro-iliaca

Molto spesso abbiamo parlato di stabilizzazione. E' uno dei punti essenziali del lavoro del riabilitatore che si occupa di rachide. La scuola australiana di Hodges, cui si deve il contributo di Richardson a pag. 241, posto tra i primi capitoli del libro scritto da questi autori, è guidata da operatori che hanno sviluppato una serie di tecniche valutative per misurare in primo luogo quanto si proponevano di riabilitare (in questo caso la funzione di stabilizzazione). Questo lavoro rivede tutte le basi teoriche in dettaglio e offre una serie di considerazioni di estrema importanza per tutti. Da leggere assolutamente.

Cosa serve dopo un colpo di frusta ? Croft a pag. 247 ci offre un lavoro molto pratico ed utile sul massaggio, in particolare trasversale profondo. Quest'ultimo è una tecnica a volte vagamente crudele, ma di discreta efficacia. Certamente, dopo un colpo di frusta, principalmente se trattato con l'universale (sia pure in letteratura provato inefficace, anzi spesso controproducente) collarino più o meno rigido, non si può prescindere da un intenso lavoro di stabilizzazione, che comprende il rafforzamento, pur senza in esso concludersi, molto prima di arrivare al massaggio. Ammorbidire una contrattura funzionale determinata da un'insufficiente capacità di sostegno è infatti spesso la prima garanzia dello scatenamento di sintomi vertiginosi più o meno pesanti.

La sacro-iliaca, questa sconosciuta. Il lavoro di Hesch a pag. 252 non ha una valenza scientifica, quanto piuttosto un grosso valore pratico. Tutte le disfunzioni elencate, infatti, possono forse esistere, ma la loro dimostrazione non è mai avvenuta. Non si trascura quindi l'utilità di lavori come questo, che spesso possono offrire lo spunto per ottenere una risoluzione in alcuni, selezionati pazienti. Di certo anche qui è il caso di sottolineare che tutti questi contributi pratici dovrebbero trovare un retroterra culturale un po' più solido e che urge sempre di più un lavoro scientifico attento di verifica di efficacia anche da parte di chi è un tecnico e come tale si approccia alla parte più concreta del trattamento riabilitativo, dove spesso c'è ancora di più da dimostrare di quanto ci sia nell'empireo delle diagnosi e dei processi di valutazione.

Prima di augurare, come di prassi, una buona lettura, ricordo (anche qui come sempre) il trimestrale sforzo del nostro Carlo Trevisan a pag. 293, che rivede in questo numero una serie di Casi Clinici non solo interessanti, ma addirittura affascinanti per le potenzialità educative e di crescita che ci pongono.

Arrivederci al prossimo Fascicolo.

Il Segretario Scientifico
Stefano Negrini


Indice del III fascicolo 2000

  1. Cinematica del torace e del rachide durante la respirazione, in soggetti sani e in pazienti affetti da scoliosi idiopatica
    Estratto da: Leong JCY, Lu WW, Luk KDK, Karlberg EM. Kinematics of the Chest Cage and Spine During Breathing in Healthy Individuals and Patients With Adolescent Idiopathic Scoliosis. Spine 1999: 24(13); 1310-5 (Referenze Bibliografiche n. 16).

  2. Osteopenia persistente nella scoliosi idiopatica adolescenziale. Uno studio di riscontro longitudinale
    Estratto da: Cheng JCY, Guo X, Sher AHL. Persistent Osteopenia in Adolescent Idiopatic Scoliosis. A Longitudinal Follow-Up Study. Spine 1999: 24(12); 1218-22 (Referenze Bibliografiche n. 34).

  3. Crescita vertebrale e valutazione istologica del grado di Risser nella scoliosi idiopatica
    Estratto da: Noordeen MHH, Haddad FS, Edgar MA, Pringle J. Spinal Growth and Histologic Evaluation of the Risser Grade in Idiopathic Scoliosis. Spine 1999: 24(6); 535-8 (Referenze Bibliografiche n. 25).

  4. L'influenza del lavoro sulla degenerazione lombare
    Estratto da: Videman T, Battié MC. Spine Update. The Influence of Occupation on Lumbar Degeneration. Spine 1999: 24(11); 1164-8 (Referenze Bibliografiche n. 31).

  5. Un carico aderente aumenta la capacità del rachide lombare di sopportare carichi in compressione
    Estratto da: Patwardhan AG, Havey RM, Meade KP, Lee B, Dunlap B. A Follower Load Increases the Load-Carrying Capacity of the Lumbar Spine in Compression. Spine 1999: 24(10); 1003-9 (Referenze Bibliografiche n. 18).

  6. L'associazione tra asimmetria pelvica e lombalgia
    Estratto da: Levangie PK. The Assocition Between Static Pelvic Asymmetry and Low Back Pain. Spine 1999: 24(12); 1234-42 (Referenze Bibliografiche n. 77).

  7. Artrodesi lombare per il trattamento del mal di schiena
    Estratto da: Hanley EN, David SM. Current Concepts Review. Lumbar Arthrodesis for the Treatment of Back Pain. The Journal of Bone and Joint Surgery 1999 : 81-A(5) ; 71630 (Referenze Bibliografiche n. 228).

  8. Limitazioni di sollevamento dopo intervento chirurgico. Le conoscenze attuali
    Estratto da: Magnusson ML, Pope MH e al. Is there a rational basis for post-surgical lifting restrictions? 1. Current understanding. Eur. Spine J 1999: 8; 170-8 (Referenze Bibliografiche n. 93).

  9. Un possibile approccio scientifico alle limitazioni di sollevamento dopo intervento chirurgico
    Estratto da: Pope MH, Magnusson ML e al. Is there a rational basis for post-surgical lifting restrictions? 2. Possible scientific approach. Eur Spine J 1999: 8; 179-186 (Referenze Bibliografiche n. 75).

  10. Ritorno al lavoro dopo un'operazione chirurgica di ernia del disco. Approccio orientato alla riabilitazione nella medicina assicurativa
    Estratto da: Donceel P, Du Bois M, Lahaye D. Return to Work After Surgery for Lumbar Disc Herniation. A Rehabilitation-Oriented Approach in Insurance Medicine. Spine 1999: 24(9); 872-6 (Referenze Bibliografiche n. 18).

  11. L'efficacia dell'agopuntura nella cura del mal di schiena acuto e cronico. Una rassegna sistematica
    Estratto da: van Tulder MW, Cherkin DC, Berman B, Lao L, Koes BW. The Effectiveness of Acupunture in the Management of Acute and Chronic Low Back Pain. Spine 1999: 24(11); 1113-23 (Referenze Bibliografiche n. 36).

  12. Back School Attiva: trattamento profilattico della lombalgia. Uno studio randomizzato e controllato
    Estratto da: Lonn JH, Glomsrod B, Soukup MG, Bo K, Larsen S. Active Back School: Prophylactic Management for Low Back Pain. A Randomized, Controlled, 1-Year Follow-Up Study. Spine 1999: 24(9); 865-71 (Referenze Bibliografiche n. 40).

  13. Esercizi per il mal di schiena clinico. Uno studio in due centri con un follow-up di un anno
    Estratto da: Legget S, Mooney V, Matheson LN, Nelson B, Dreisinger T, Zytveld JV, Vie L. Restorative Exercise for Clinical Low Back Pain. A Prospective Two-Center Study With 1-Year Follow-Up. Spine 1999: 24(9); 889-98.

  14. Efficacia della riabilitazione attiva nella lombalgia cronica. Effetto sull'intensità del dolore, sulla disabilità e sull'affaticabilità lombare
    Estratto da: Kankaanpää M, Taimela S, Airaksinen O, Hänninen O. The Efficacy af Active Rehabilitation in Chronic Low Back Pain. Effect On Pain Intensity, Self-Experieced Disability, and Lumbar Fatigability. Spine 1999: 24(12); 1034-42 (Referenze Bibliografiche n. 61).

  15. Prevedere chi sviluppa la lombalgia cronica nella medicina di base
    Estratto da: Thomas E, Silman AJ, Croft PR, Papageorgiou AC, Jayson MIV. General practice. Predicting who develops chronic low back pain in primary care: a prospective study. BMJ 1999: 318; 1662-7. (Referenze Bibliografiche n. 24).

  16. Caso clinico basato sull'evidenza. Mal di schiena: come procedere?
    Estratto da: Ash S, Beardsley J. Evidence based case report. Low back pain: which is the best way forward?. BMJ 1999: 318; 1122-3 (Referenze Bibliografiche n. 15).

  17. Trattamento del dolore: come ci stiamo muovendo? Quanto sappiamo?
    Estratto da: Simmonds MJ. Pain management: How are we doing? How do we know? Phys. Ther. Rev. 1999: 4; 3-6.

  18. Tecnica 1) Stabilizzazione lombopelvica: il ruolo del sistema muscolare locale
    Estratto da: Richardson C, Jull G, Hodges P, Hides J. Back pain and lumbopelvic stabilization: the case for the local muscle system. In Therapeutic Exercise for Spinal Segmental Stabilization in Low Back Pain. Scientific Basis and Clinical Approach, pp 11-19, Churchill Livingstone, United Kingdom, 1999

  19. Tecnica 2) Esercizi di stretching e massaggio profondo per il trattamento del colpo di frusta
    Estratto da: Croft AC. Traditional Stretching. In Whiplash Injuries: Cervical Acceleration/Deceleration Syndrome, pp 472-476 (Referenze Bibliografiche n. 181), Williams & Wilkins, Baltimore, Usa, 1995

  20. Tecnica 3) Valutazione e trattamento dei tipi più comuni di disfunzione dell'articolazione sacro-iliaca
    Estratto da: Hesch J. Evaluation and treatment of the most common patterns of sacroiliac ioint dysfunction. In Movement Stability and Low Back Pain, pp. 535-45 (referenze Bibliografiche n. 17), Churchill Livingstone, New York, 1997


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